unione degli avvocati d'Italia

UNIONE DEGLI AVVOCATI D’ITALIA

Sezione Distrettuale di Bari,
aderente alla Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo
con il Patrocinio dell’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BARI

BARI 20 DICEMBRE 2002 - ATTI DEL CONVEGNO
LEGGE “PINTO”: “CONFLITTO TRA CASSAZIONE 
E CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO”

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Premiazione della  dott. Annalisa RENZULLI vincitrice della quarta  edizione del PREMIO 
alla memoria  dell’Avv. Guido CERVATI per la migliore TESI DI LAUREA SUI DIRITTI DELL’UOMO 
 

Il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bari, avv. Vito NANNA

 

Il Relatore avv. Maurizio de Stefano

   

 

BARI PALAZZO DI GIUSTIZIA, 20 DICEMBRE 2002- INCONTRO DI STUDIO <<Legge “Pinto”: conflitto tra Cassazione e Corte Europea dei Diritti dell’Uomo>>Il principio di   sussidiarietà nel sistema giuridico del Consiglio d’Europa.

Relatore : avv. Maurizio de Stefano (Segretario emerito della Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo)

Lo Stato italiano è membro del Consiglio d’Europa, fin dalla sua fondazione a Londra nell’anno 1949. A questo organismo sopranazionale, costituito ancor prima delle Comunità Europee (attuale Unione Europea),  hanno aderito -fino all’anno 2002- ben quarantaquattro Stati europei, quindici dei quali sono anche contestualmente membri dell’Unione Europea.

Tutti  i nuovi Stati “candidati” all’ingresso nell’Unione Europea, sono già da tempo membri del Consiglio d’Europa, come ad esempio la Turchia, e proprio per la Turchia  permangono alcuni ostacoli al suo ingresso nell’Unione Europea, anche in considerazione delle sue persistenti e  reiterate violazione dei diritti umani  accertate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  di Strasburgo.

Infatti,  l’unico requisito per l’ammissione di uno Stato nell’Unione Europea è quello del rispetto dei diritti umani, come pure per gli Stati già membri è prevista la sanzione della sospensione di alcune facoltà (diritto di voto nelle istituzioni comunitarie), in caso di persistenti, reiterate e gravi violazioni.

Anche il Consiglio d’Europa prevede l’espulsione di  uno Stato in considerazione delle sue persistenti e  reiterate violazione dei diritti umani, siccome accertate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Può trarsi una prima considerazione:  la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 4 novembre 1950,  costituisce un coacervo di “norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”  fino all’anno 2002 da ben quarantaquattro Stati europei che si sono obbligati a garantirne il rispetto nell’ambito dei loro ordinamenti giuridici interni, a vantaggio di tutte le persone fisiche e giuridiche soggette alla loro giurisdizione.

L’obbligo dei singoli Stati non si limita al riconoscimento pieno ed incondizionato delle norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ma si integra con il riconoscimento della facoltà per coloro che si proclamano vittime di ricorrere direttamente alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per l’accertamento di eventuali violazioni,  che i giudici nazionali non abbiano saputo ravvisare nell’applicazione del diritto interno.  In caso di eventuale sentenza di accertamento della violazione, da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lo Stato è obbligato non solo ad adottare le misure individuali (di regola il pagamento di un’equa riparazione a favore della vittima), ma anche a predisporre le riforme di carattere generale (anche legislative) per evitare il reiterarsi della stessa violazione nei confronti di altre persone.

L’obbligo dei singoli Stati si completa con la previsione dell’articolo  13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che impone all’ordinamento interno di offrire alla potenziale vittima un ricorso effettivo quanto alla pretesa violazione, davanti ad un giudice nazionale, prima che la vittima debba adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  di Strasburgo.

Nell’ipotesi in cui sussista, come di regola negli ordinamenti più avanzati, ai sensi dell’articolo  13 della Convenzione, la possibilità di un ricorso davanti ai giudici nazionali per rimuovere le conseguenze della violazione dei diritti umani,  la vittima non può adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  di Strasburgo, se non previo esaurimento delle vie di ricorso interno (art.35 della stessa Convenzione).

I diritti umani sono, quindi, delle norme costituzionali internazionali e la loro compatibilità con quelle (anche di livello costituzionale) di diritto interno è  dettata dal  principio della clausola di miglior favore per la persona,  nel senso che soltanto se la norma di diritto interno assicura una più ampia protezione essa può prevalere sulla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; in caso di dubbio, l’ultima parola, ratione temporis,  spetta alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha il potere di dichiarare che i giudici nazionali, anche quelli della Corte Costituzionale e della Corte Suprema di Cassazione, nell’applicare la norma nazionale hanno violato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, oppure ne hanno dato un erronea interpretazione. L’accertamento di questa  violazione comporta la condanna dello Stato ad un’equa riparazione a favore della vittima, non potendo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riformare la sentenza definitiva di diritto interno.

Il sistema giuridico del Consiglio d’Europa affida, quindi, agli Stati ed ai loro giudici interni il primario compito di proteggere i diritti umani, siccome consacrati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del  4 novembre 1950 e siccome interpretati anche evolutivamente dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  di Strasburgo.

I giudici nazionali, anche e soprattutto quelli della Corte Costituzionale e della Corte Suprema di Cassazione,  sono i primi destinatari della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, sono per primi chiamati ad applicarla nei confronti delle persone soggette alla loro giurisdizione, in virtù dell’articolo  1 (che dispone : « Le  Alte   Parti  contraenti  riconoscono ad ogni  persona sottoposta alla loro   giurisdizione  i Diritti e  le  libertà enunciati nel Titolo primo   della presente  Convenzione »), in una parola, i giudici nazionali sono e devono sentirsi  una “sezione distaccata” della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  di Strasburgo, anche perché l’intervento di quest’ultima a tutela di una platea di ottocento milioni di persone che vivono e soffrono in Europa sarebbe materialmente e logicamente impossibile. Infatti, il meccanismo di denuncia davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riveste  un carattere eccezionale e  sussidiario in rapporto ai sistemi nazionali di  salvaguardia dei Diritti Umani.

Se la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo forma parte integrante dell’ordinamento giuridico nazionale, in maniera addirittura  preminente sullo stesso e se esiste il predetto principio di sussidiarietà, appare arrogante, ai limiti dell’oltraggio alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (contempt of Court”), quanto statuito recentemente dalla Corte di Cassazione italiana in tema di prima applicazione della cosiddetta legge Pinto (legge italiana n. 89 del marzo 2001), sull’equa riparazione dovuta per la violazione del termine ragionevole di durata dei processi, sancito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Infatti, in queste sentenze la Cassazione italiana ha escluso la diretta vincolatività della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, giungendo ad affermare che  quest’ultima  non ha la stessa vincolatività delle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo, ignorando in tal modo che in aggiunta all’adesione all’Unione Europea, lo Stato italiano è membro di un altra istituzione: il Consiglio d’Europa. 

Al fine di far conoscere ai giudici italiani tutto quello che avrebbero dovuto conoscere sul sistema giuridico sopranazionale istituito dal Consiglio d’Europa e perché tali giudici italiani non restino nell’ignoranza del principio di sussidiarietà che vige in Europa e che deve valere anche in Italia, e per l’Italia, proponiamo alcuni “documenti giuridici” del Consiglio d’Europa e della sua Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ben più autorevoli delle nostre considerazioni, che però  riteniamo le confermino integralmente.

 Maurizio de Stefano (avvocato in Roma)

 

Quarta edizione del PREMIO 
alla memoria  dell’Avv. GUIDO CERVATI
per la migliore TESI DI LAUREA SUI DIRITTI DELL’UOMO

 

Il Presidente dell’Unione degli Avvocati d’Italia, avv. Alfredo GAROFALO consegna il Premio alla vincitrice dott. Annalisa RENZULLI

 

 

Il premio è stato  erogato dall’U.D.AI. Unione degli Avvocati d’Italia, nel corso della cerimonia di premiazione tenutasi in BARI, Palazzo di Giustizia, il  20 dicembre duemiladue

La Vincitrice Dott.ssa Annalisa RENZULLI, (nata il 27/01/1976)  si è laureata il 31 ottobre 2001, a NAPOLI- Università Federico II, Facoltà di Scienze Politiche, con voti  centodieci e lode.

Sintesi della migliore  TESI DI LAUREA SUI DIRITTI DELL’UOMO

La tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario

Il tema della protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nell’ordinamento comunitario è stato oggetto di ampio dibattito sin dagli esordi dell’esperienza comunitaria e costituisce, ad oggi, uno dei nodi centrali nel processo di integrazione europea.

Un efficace sistema di garanzia dei diritti dell’individuo, infatti, non solo si rende indispensabile in conseguenza della estensione del raggio d’azione comunitario a settori che incidono profondamente sulle posizioni soggettive dei singoli ed in conseguenza dell’irrisolto problema del deficit di democrazia delle istituzioni comunitarie, ma a fronte dell’allargamento, ormai prossimo, ai Paesi dell’Est-Europa, contribuisce alla creazione di uno spazio comune di valori e principi fondanti l’identità europea da cui i Paesi candidati non potranno evidentemente prescindere.

L’assenza di norme a tutela dei diritti umani nei trattati istitutivi delle Comunità Europee si è ulteriormente aggravata, nel corso degli anni, in seguito al graduale ampliamento delle competenze comunitarie che hanno investito in pieno il soggetto, non più soltanto in quanto homo oeconomicus, ma nella varietà dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni.

Quando, in due diverse sentenze degli anni 1963-64, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha sancito il principio dell’applicabilità diretta del diritto comunitario negli ordinamenti interni degli Stati membri ed il principio del primato della norma comunitaria sulla norma nazionale incompatibile, anche se posteriore o di rango costituzionale, si è reso, allora, maggiormente evidente che il diritto comunitario avrebbe inciso sulle Carte costituzionali nazionali e perciò anche sui diritti inviolabili della persona, sottraendoli al sindacato giurisdizionale delle Corti nazionali e rendendo, di fatto, i cittadini degli Stati membri inermi di fronte all’ipotesi di atti comunitari in violazione dei diritti umani.

 Tuttavia, in seguito alle pretese nazionali al controllo giudiziale residuo sulla normativa comunitaria che, in risposta a tale situazione, le Corti costituzionali italiana e tedesca hanno prepotentemente avanzato nel corso degli anni  ‘60, minacciando dal di dentro l’integrità stessa dell’ordinamento comunitario, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee si è preoccupata di sopperire all’assenza di un esplicito riconoscimento della tutela dei diritti umani a livello comunitario, inaugurando un nuovo corso giurisprudenziale che riconosceva i diritti fondamentali come parte dei principi generali del diritto comunitario, da individuarsi sulla scorta del duplice riferimento normativo alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri ed alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

D’altro canto, la tutela esclusivamente pretoria dei diritti fondamentali, garantita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, seppur aveva il grandissimo merito di introdurre a livello comunitario una forma di protezione dei diritti fondamentali della persona, lasciava quest’ultima, ancora negli anni  ‘80, priva di riferimenti normativi.

Difatti, solo nel 1993, l’art. F del Trattato di Maastricht ha tradotto per la prima volta in norma primaria il principio del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed ha codificato i due pilastri, dei principi costituzionali comuni agli Stati membri e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, intorno ai quali la Corte di Giustizia delle Comunità Europee aveva eretto tutto l’impianto della sua giurisprudenza in materia.

Nel 1997 sarà, invece, il Trattato di Amsterdam ad introdurre l’innovazione più vistosa in tema di diritti umani, affiancando al cit. art.F, due meccanismi sanzionatori: uno, politico, a carico degli Stati membri accusati di una violazione grave e persistente dei diritti fondamentali; l’altro, giurisdizionale, a carico delle istituzioni comunitarie soggette, nelle loro azioni, al giudizio di conformità ai diritti fondamentali da parte della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

Tuttavia, pur rafforzando la dimensione umana del progetto di integrazione europea, il Trattato di Amsterdam lasciava la costruzione europea ancora una volta priva di un “catalogo” puntuale dei diritti umani da tutelare in ambito comunitario e ciò proprio mentre le competenze dell’Unione Europea si espandevano ulteriormente e notevolmente.

In effetti, con il parere 2/94 del 1996, la Corte di giustizia delle Comunità Europee si era espressa negativamente circa l’ipotesi di adesione dell’Unione Europea alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, mandando disilluse le speranze di quanti vi rinvenivano la possibilità di offrire una base sicura di diritto positivo all’opera della stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo, e rilanciando, nel contempo, con straordinario vigore, l’ipotesi di un Bill of Rights, interno alla Comunità, quale soluzione migliore all’annosa questione della tutela dei diritti umani nell’ordinamento comunitario.

Nuovo impulso all’ipotesi di un catalogo dei diritti fondamentali proprio della Comunità venne dal Rapporto del Comitato Simitis, presentato nel 1999, a conclusione del lavoro di approfondimento  sull’opportunità ed i limiti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che il gruppo di esperti aveva affrontato su incarico della Commissione Europea.

Le indicazioni del Comitato furono accolte dai Consigli europei di Colonia e Tampere del 1999, in cui capi di Stato e di governo deliberarono la predisposizione di una Carta dei Diritti fondamentali la cui elaborazione sarebbe stata affidata ad un organismo apposito e del tutto innovativo nel panorama istituzionale dell’Unione Europea, lontano dal modello classico della conferenza intergovernativa, ovvero la Convention.  

Il prodotto finale dei lavori della Convention era condensato in un documento di 54 articoli, raggruppati attorno ai sei valori fondamentali della dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.

In occasione del Consiglio europeo di Nizza del 7 dicembre 2000, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea veniva, così, solennemente proclamata ad opera del Consiglio, del Parlamento e della Commissione, senza che ad essa fosse conferito valore giuridico vincolante e deferendo alla futura Conferenza intergovernativa del 2004 il problema dell’individuazione del suo status.

Preme, a tal punto, sottolineare che, sebbene parte della dottrina concordi nel riconoscere alla Carta efficacia giuridica nonostante la mancanza di una espressa forza vincolante, in ragione del valore di testo privilegiato di riferimento cui la Corte di Giustizia delle Comunità Europee si richiamerebbe nella sua opera giurisprudenziale di ricostruzione dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il singolo rimane ugualmente privo della possibilità di adire il giudice europeo per lamentare la lesione di un suo diritto fondamentale da parte delle istituzioni comunitarie, la possibilità di ricorso individuale rimanendo prerogativa del sistema della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Da ultimo si vuole ricordare che la Carta di Nizza, ancor prima della sua proclamazione, aveva aperto un vigoroso dibattito sulle riforme costituzionali dell’Unione Europea che aveva attraversato tutte le istituzioni ed i soggetti politici comunitari e nazionali.

Si era fatta strada, cioè, l’idea che essa potesse rappresentare la prima parte di una futura costituzione del popolo unito d’Europa, una sorta di “Magna Charta”, strumento di tutela e di garanzia per i cittadini dell’Unione e, al contempo, manifesto dei valori e delle libertà fondanti la comune identità europea per quei Paesi che dell’Unione aspirassero a divenire membri.

Ne sarebbe risultato come la fonte ultima di legittimità delle istituzioni dell’Unione Europea risieda nei cittadini e come non possa esistere un’identità europea senza un’adesione piena ai valori fondamentali di democrazia e di libertà.

In sostanza, sebbene già all’indomani della sua proclamazione la Carta di Nizza risultasse ridimensionata nel valore giuridico e politico, le tante aspettative che intorno ad essa erano montate  non  mancarono di evidenziare come un sistema davvero funzionale di garanzia dei diritti dell’individuo nell’ordinamento comunitario non potesse prescindere da un apposito momento sostanzialmente costituente dell’Unione Europea.

            BARI, Palazzo di Giustizia 20 dicembre  2002

dott. Annalisa RENZULLI