caso cooperativa la Laurentina

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo - Strasburgo
CASO  Cooperativa LA LAURENTINA  contro ITALIA
SENTENZA del 02 agosto 2001 ricorso n. 23529/94. Non violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (protezione della proprietà) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in ipotesi di diniego della licenza o concessione edilizia per la durata di trentacinque anni, a seguito della mancata adozione da parte di un comune del piano urbanistico particolareggiato, ancorché il piano regolatore generale prevedesse l’edificabilità del terreno interessato

 

La sentenza così motiva

(traduzione a cura della dott.ssa  Loredana Tassone)

SECONDA SEZIONE

Sentenza del 02 agosto 2001

(Sul ricorso n° 23529/94)

presentato dalla Cooperativa  La Laurentina 

contro l’Italia

Sul caso Cooperativa La Laurentina c. Italia,

La Corte Europea dei diritti dell’Uomo (seconda sezione), riunitasi in una camera

composta da:

A.B. Baka, presidente, G. Bonello, V. Straznicka, P. Lorenzen, M. Fischbach, A. Kovler, V. Zagrebelsky, giudici, e dal sig. E. Fribergh, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 15 gennaio 1997 e il 10 luglio 2001,  rende la seguente sentenza, adottata in quest’ultima data:

 PROCEDURA

1. All’origine del  caso vi è un ricorso (n° 23529/94) indirizzato contro la Repubblica italiana, della quale una  società cooperativa a responsabilità limitata di diritto italiano, la società Cooperativa La Laurentina (<<la ricorrente>>), aveva adito la Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo (<<la Commissione >>) il 31 maggio 1993 in virtù del vecchio articolo 25  della Convenzione per la  salvaguardia dei Diritti  dell’Uomo  e delle Libertà fondamentali (<<la Convenzione>>).

2. La ricorrente è rappresentata davanti alla Corte dall’avv. M. de Stefano, avvocato in Roma. Il Governo italiano (<<Il Governo >>) è rappresentato dal suo agente U. Lenza e dal suo coagente V. Esposito.

3. La ricorrente denunciava in particolare  la violazione del suo diritto al rispetto dei beni per il fatto che le era stato impossibile ottenere un  permesso di costruire sul suo terreno.

4. La Commissione ha dichiarato il ricorso in parte irricevibile il 6 settembre 1995 ed in parte ricevibile il 15 maggio 1996.

5. Un’udienza sul merito si è svolta in pubblico al Palazzo dei Diritti dell’Uomo, a Strasburgo, il 15 gennaio 1997.

6. Non avendo potuto concludere l’esame di questo ricorso  anteriormente al primo novembre 1999, la Commissione l’ha deferito alla Corte in questa data, conformemente all’articolo 5 § 3, seconda   frase, del Protocollo n° 11 alla Convenzione.

7. Il ricorso è stato attribuito alla seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). In seno alla quale, la  camera incaricata di esaminare la questione (articolo 27 § 1 della Convenzione) è stata costituta conformemente all’articolo 26 § 1 del regolamento.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE

8. La ricorrente è una società cooperativa a responsabilità limitata, costituita a Roma nel 1955  secondo il diritto italiano. Il suo oggetto sociale  è di costruire alloggi per  i  soci. Nel 1960, la ricorrente acquistò un terreno di circa 2.000 metri quadrati, situato nella città di Roma (iscritto al catasto, foglio 852, particelle 58, 316, 317), sul quale esisteva un piccolo immobile comprensivo di cinque alloggi, sempre in locazione.

9. All’epoca, il terreno della ricorrente era edificabile, in conformità al vecchio piano urbanistico di Roma (legge n° 1433 del 1940).

10. Il 21 settembre 1960 ed il 4 dicembre 1961, la ricorrente presentò al Comune di Roma due progetti di costruzione di un immobile elaborato conformemente al piano urbanistico  allora in vigore e chiese la  corrispondente licenza edilizia.

11. Il 21 maggio 1962 il comune di Roma espresse un parere favorevole al secondo progetto di costruzione a condizione  che la dimensione dell’immobile fosse ridotta.

12. Il 26 novembre 1962, la ricorrente presentò il progetto modificato secondo le indicazioni del Comune e reiterò la domanda licenza edilizia.

13. Il 17 dicembre 1963, non essendosi il Comune di Roma pronunciato sulla richiesta di licenza edilizia, la ricorrente introdusse un ricorso davanti al Consiglio di Stato.

14. Nel frattempo, il 18 dicembre 1962, il Comune aveva deliberato in vista dell’adozione di un nuovo piano regolatore generale. In questo nuovo piano, il terreno della ricorrente era stato destinato nella zona I/2, ed era dunque sempre edificabile ma nei limiti più rigorosi fissati dalle norme tecniche di   attuazione del piano regolatore generale (in seguito PRG).

15. Con un’ordinanza del 12 maggio 1965, il Comune di Roma  informò la ricorrente che tutte le decisioni relative alla licenza edilizia erano state sospese,  costituendo questa sospensione una misura di salvaguardia ai sensi della legge n° 1902 del 1952.

16. La ricorrente introdusse un ricorso contro tale ordinanza davanti al Consiglio di Stato, denunciando che il nuovo piano regolatore generale  non si applicava al suo terreno, che continuava ad essere regolamentato dal vecchio piano regolatore generale e dal vecchio  piano particolareggiato. Sussidiariamente, la ricorrente sosteneva che fosse fuori luogo l’adozione di una misura di salvaguardia, poiché il progetto presentato non era incompatibile con il nuovo piano regolatore.

17. Il 16 dicembre 1965, il nuovo piano regolatore generale di Roma fu approvato con decreto del Presidente della Repubblica.

18. Il PRG di Roma destinava il terreno della ricorrente nella zona I/2, cioè come terreno edificabile, nei limiti fissati dalle norme tecniche  di  attuazione del piano. Una licenza edilizia  poteva essere ottenuta per i terreni inclusi in questa zona sotto riserva  dell’approvazione di un piano di  attuazione del PRG, cioè sia di un piano urbanistico particolareggiato di iniziativa pubblica, sia  di una convenzione di  lottizzazione di iniziativa privata.

La prima sentenza del Consiglio di Stato

19. Con una sentenza del 4 marzo 1966, il Consiglio di Stato  pronunciò sui due ricorsi introdotti dalla ricorrente.

20. Quanto al primo ricorso, il Consiglio di Stato ritenne che non era necessario  statuire poiché con l’ordinanza del 12 maggio 1965, l’amministrazione aveva rotto il suo silenzio.

21. Quanto al secondo ricorso, il Consiglio di Stato precisò in primo luogo che il terreno della ricorrente rientrava nell’ambito del nuovo PRG, che era stato adottato in applicazione della legge urbanistica del 1942  e aveva dunque sostituito il vecchio piano regolatore   conformemente al principio della successione delle leggi nel tempo. Di conseguenza il Comune aveva il potere di prendere delle misure di salvaguardia dopo la delibera del 18 dicembre 1962 in vista dell’adozione del PRG.

Tuttavia, il Consiglio di Stato constatò un vizio di forma, dal momento che la misura di salvaguardia era stata adottata da un organo incompetente. Per questa ragione e senza pronunciarsi sulla compatibilità con il PRG del progetto di costruzione presentato dalla ricorrente, annullò la misura di salvaguardia.

Misure posteriori a  questa sentenza

22. Il 17 ottobre 1967, il Comune di Roma deliberò in vista di adottare una variante al PRG. Questa variante classificava come  zona di completamento, cioè come  zona largamente costruita e già interamente urbanizzata, una zona vicina al terreno della ricorrente. In data ulteriore questa variante fu definitivamente approvata.

23. Il 31 gennaio 1969, la ricorrente chiese che il suo terreno fosse  classificato in questa zona di completamento. Tale richiesta non ebbe seguito.

24. Il 21 dicembre 1970, la ricorrente insieme ai proprietari dei due terreni vicini, presentò un nuovo progetto di costruzione, da realizzare sui tre terreni di cui la superficie globale era di 9 000 metri quadrati, e richiese la concessione edilizia corrispondente. Il Comune non si pronunciò.

25. Davanti al silenzio dell’amministrazione, la società ricorrente e i suoi vicini adirono il tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio.

26. Il 3 aprile 1971, il sindaco di Roma rifiutò formalmente la concessione  edilizia, motivando che il progetto in questione era in contrasto con il PRG relativo alla  zona I/2, zona che non era sottomessa ad un progetto unitario di pianificazione urbanistica.

27. La ricorrente e i proprietari dei terreni vicini presentarono ricorso davanti al TAR contro questa decisione.

28. Successivamente, la ricorrente e i suoi vicini depositarono una nuova domanda di concessione  edilizia in virtù di un progetto di costruzione in parte modificato. Il 23 novembre 1971, il sindaco di Roma si rifiutò di rilasciare la concessione  edilizia , in ragione dell’assenza di un piano di   attuazione del PRG, sotto forma di   piano urbanistico particolareggiato o di una convenzione di lottizzazione .

29. La ricorrente ed i proprietari dei terreni vicini presentarono ricorso contro questa decisione davanti al TAR.

30. Con la sentenza del 26 marzo 1975, il TAR ritenne non vi fosse luogo a procedere sul primo ricorso, avendo l’amministrazione rotto il silenzio con le decisioni di rifiuto  rese il 3 aprile ed il 23 novembre 1971; gli altri due ricorsi furono rigettati. 

31. La ricorrente ed i suoi vicini, interposero appello a questa  sentenza davanti al Consiglio di Stato, denunciando in particolare che il nuovo PRG non aveva abrogato il vecchio piano regolatore particolareggiato, che continuava a regolamentare il terreno; di conseguenza, la condizione posta dal nuovo PRG, cioè l’esistenza di un piano particolareggiato urbanistico per ottenere la concessione  edilizia, era stata rispettata. Sussidiariamente, la ricorrente sosteneva che essendo il suo terreno interamente urbanizzato e attorniato da terreni  urbanizzati e edificati, doveva essere automaticamente considerato come edificabile indipendentemente dalle condizioni poste dal PRG; essa aggiungeva che, in qualsiasi stato della causa, il Comune non avrebbe mai adottato un progetto omogeneo  di pianificazione del territorio.

La seconda sentenza del Consiglio di Stato

32.Con la sentenza del 14 marzo 1980, il Consiglio di Stato rigettò il ricorso della ricorrente

33.Da questa sentenza si evince che il terreno in questione era assoggettato al nuovo piano regolatore generale di Roma, dato che tale piano era stato adottato dal Comune in virtù dei poteri che gli erano stati conferiti dalla legge urbanistica del 1942. Di conseguenza, conformemente al principio della successione della leggi nel tempo, i piani regolatori anteriori erano divenuti inefficaci.

34.Ora, il PRG in vigore prevedeva che il rilascio di una concessione  edilizia  nella zona in questione era condizionata dall’adozione di un complementare piano di attuazione del PRG, sotto forma o di un piano particolareggiato o di una lottizzazione convenzionata (vedi § 46). Il terreno della ricorrente era dunque sottoposto ad un divieto condizionato di costruire.

35. E’ vero che a questa situazione , secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, si sottraevano i terreni che de facto fossero automaticamente edificabili, come nel caso, ad esempio, di una piccola particella attorniata da costruzioni. In questo caso non era necessario avere un piano di   attuazione del PRG per ottenere la concessione  edilizia indipendentemente dalla condizione posta dal PRG (vedi § 47).

36.Tuttavia, dalla perizia effettuata nel corso del processo era emerso che l’urbanizzazione della zona I/2 non era interamente effettuata. Di conseguenza, il terreno della ricorrente non poteva essere considerato de facto automaticamente edificabile e quindi suscettibile di ottenere la concessione  edilizia. Il Consiglio di Stato osservò che la ricorrente ne era d ’altronde cosciente, avuto riguardo alla  sua domanda del 1969, che era stata rigettata, la quale era volta ad ottenere l’inclusione del suo terreno nella <<zona di completamento>> del PRG, interamente urbanizzato, per la quale delle concessioni edilizie erano state,di conseguenza, rilasciate nonostante l’assenza di un piano  d’attuazione del PRG.

37.In conclusione, il rilascio di una concessione edilizia sul terreno in questione era sottoposto alle condizioni imposte dal PRG. Di conseguenza, in assenza di un piano d’attuazione del PRG, a ragione il Comune aveva rigettato le domande della ricorrente.

Ulteriori vincoli incombenti sul terreno della ricorrente

38.Nel frattempo, con la delibera del 26 ottobre 1972, il Comune di Roma aveva deciso di espropriare il terreno della ricorrente. Tuttavia questa delibera divenne caduca, perché difettava dell’approvazione da parte delle autorità competenti.

39.L’8 agosto 1974, il Comune di Roma aveva adottato una variante del PRG, in virtù della quale il terreno della ricorrente rimaneva edificabile; tuttavia, non era più possibile edificare costruzioni residenziali; potevano essere costruiti però soltanto degli immobili destinati al settore terziario (uffici, hotel). La ricorrente non introduce alcun ricorso per impugnare questa variante del PRG che fu definitivamente approvata nel 1979.

40.All’udienza del 15 gennaio 1997, la ricorrente ha indicato che, con una delibera del 12 dicembre 1996, il Comune di Roma aveva, deciso una nuova destinazione al  suo terreno, cioè la creazione di spazi verdi, in vista della sua espropriazione. Questa delibera sarebbe stata trasmessa il 27 dicembre 1996 al Comitato regionale di controllo  (CORECO), per l’approvazione.

41.Nel  novembre del 2000, la ricorrente ha fatto sapere che la situazione del suo terreno rimaneva invariata dopo l’udienza.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

42.Ai sensi dell’articolo 42 §§ 2 e 3 della Costituzione italiana, << […] la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale>>.

La legge urbanistica (legge n° 1150 del 1942 e sue modifiche) regolamenta lo sviluppo urbanistico del territorio e conferisce ai Comuni il potere di adottare dei piani regolatori  che devono concernere il territorio comunale nella sua integralità.

Il piano regolatore  generale

43.Il piano regolatore generale (in seguito PRG) è un atto avente durata indeterminata. La procedura di adozione di un PRG ha inizio mediante una delibera del Comune (delibera di adozione), in seguito alla quale ha inizio un periodo di salvaguardia, durante il quale è sospesa ogni decisione relativa alle domande di concessione edilizia che potrebbero essere in contrasto con la realizzazione del PRG (Legge 1902 del 1952 e  articolo 10 della Legge n° 765 del 1967). L’approvazione del PRG appartiene attualmente alla competenza delle Regioni (art. 1 del decreto presidenziale (DPR) n°8 del 1972 e articoli 79 e 80 del DPR n°616 del 1977), mentre in precedenza vi si provvedeva mediante decreto del Presidente della Repubblica. Dopo che il PRG è stato approvato, esso viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e depositato in Comune.

44.Allorquando il PRG regola in modo preciso il territorio, esso può essere seguito de plano. Tuttavia, molto spesso, il PRG ha bisogno per la sua applicazione  di un atto complementare. Quest’ultimo può dipendere dall’iniziativa pubblica, come segnatamente nel caso di un piano   particolareggiato; o di iniziativa dei privati, come nel caso di una lottizzazione convenzionata.

Il piano  particolareggiato

45.Il piano  particolareggiato ha una durata determinata. In effetti, in seguito alla sua adozione, equivale allora ad una dichiarazione di pubblica utilità e l’amministrazione dispone di un termine perentorio (che non può superare i dieci anni, ai sensi dell’articolo 16 della Legge urbanistica) per procedere alle espropriazioni  ed, in ogni caso, alla attuazione  a pena di decadenza del piano. Allorché il PRG  ha bisogno di un piano  particolareggiato per la sua applicazione, il comune è obbligato a adottarne uno. Tuttavia, non viene previsto alcun termine perentorio per l’adozione del piano particolareggiato. L’inerzia dell’amministrazione può essere impugnata da coloro che vi abbiano interesse davanti alle giurisdizioni amministrative. Quest’ultime possono, all’occorrenza, ordinare al comune di adottare un piano  particolareggiato e all’occorrenza nominare un commissario ad acta.

La  concessione  di costruire sotto condizione: prima ipotesi

46.Secondo la giurisprudenza, allorché il PRG può essere eseguito unicamente in conseguenza in presenza d’un piano particolareggiato, l’adozione del quale dipende esclusivamente dall’iniziativa pubblica, l’inerzia dell’amministrazione ha quindi sulla situazione dei proprietari dei terreni edificabili lo stesso effetto di un divieto assoluto di costruire. Allorché l’amministrazione tarda a adottare un piano particolareggiato, la giurisprudenza ha considerato che la possibilità  d’ottenere una  concessione   edilizia  a condizione che un piano urbanistico particolareggiato sia stato adottato equivale ad un divieto assoluto di costruire, suscettibile di colpire la sostanza del diritto di proprietà. In questo modo, a queste situazioni si applicano le disposizioni e la giurisprudenza in materia di divieto assoluto di costruire, ed in particolare l’articolo 2 della legge n°1187 del 1968, ai sensi del quale i limiti di questo tipo derivanti dal PRG  diventano caduchi al decorrere di cinque anni allorquando un piano particolareggiato non è stato adottato (vedere per esempio, le sentenze del Consiglio di Stato n°1058 del 22 ottobre 1992, Tovaglieri c. Comune di Gallerate; n° 1225 del 30 ottobre 1997, sez. V; n° 220 del 7 aprile 1989, sez. IV).

La  concessione edilizia sotto condizione: seconda ipotesi.

47.Allorché, come per il caso in specie, il PRG può essere eseguito in seguito all’adozione sia di un piano urbanistico di iniziativa pubblica sia di una lottizzazione convenzionata, secondo la giurisprudenza il diritto di costruire non è danneggiato nella sostanza: in effetti, l’opzione offerta tra le due soluzioni permette ai privati di attivarsi in vista di concludere una convenzione di lottizzazione e di mitigare così un’eventuale inerzia e i ritardi dell’amministrazione nell’adozione di un piano   particolareggiato (vedere per esempio, le sentenze del Consiglio di Stato n° 1090 del 3 ottobre 1994, sez. V; n° 414 dell’otto luglio 1987, sez. IV). Di conseguenza, i limiti al diritto di costruire che derivano dall’alternativa posta dal PRG non sono sottoposti ad una durata limitata, ai sensi della legge n° 1187 del 1986).

La concessione edilizia sotto condizione: terza ipotesi.

48.Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche allorché il rilascio di una concessione edilizia  è condizionata, esistono dei terreni che sono immediatamente suscettibili di ottenere  una concessione edilizia : si tratta dei terreni situati in una  zona ampiamente edificata e già interamente urbanizzata (vedere  la sentenza della adunanza plenaria del Consiglio di Stato  del 6 ottobre 1991; la sentenza n° 1273  del 18 agosto 1998, sez.V, n° 12 e le sentenze n° 1133 del 1973 e n° 801 del 1976). Di conseguenza, in questo caso, anche in assenza di un piano complementare al PRG, l’amministrazione è tenuta a rilasciare una  concessione  edilizia .

La lottizzazione convenzionata

49.Allorché il PRG prevede che una concessione  edilizia possa essere ottenuta se c’è una convenzione di lottizzazione tra l’amministrazione interessata ed i privati interessati, ai sensi dell’articolo 28 della legge urbanistica e della legge n° 765 del 1967, quest’ultimi hanno la possibilità di avviare delle trattative con il Comune al fine di raggiungere un accordo che permetta loro di definire il progetto di costruzione da realizzare ed ottenere la concessione  edilizia corrispondente. I costi, per lo meno parziali, dei lavori d’urbanizzazione sono a carico degli interessati.

IN DIRITTO

I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N°1.

50.La ricorrente denuncia il fatto che il Comune di Roma non abbia provveduto ad adottare un piano d’ attuazione del piano regolatore generale. Secondo la ricorrente, l’inerzia dell’amministrazione per più di trentacinque anni l’ha privata della possibilità di ottenere una concessione  edilizia   ed ha colpito il suo diritto di disporre del proprio terreno. La ricorrente vede nel comportamento dell’amministrazione una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n°1, così redatto:

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di  pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

A. Sull’eccezione preliminare del Governo dovuta  al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

51.In seguito alla decisione sulla ricevibilità della richiesta, il Governo, ha sollevato l’eccezione del mancato esaurimento delle vie di ricorso interne ed ha chiesto il rigetto del ricorso , ai sensi del vecchio articolo 29 della Convenzione. Per il caso in cui questa eccezione sia  rigettata, il Governo richiede a titolo sussidiario che l’inerzia della parte ricorrente sia presa in considerazione nella valutazione del merito del caso.

52.L’eccezione del Governo si basa su due argomentazioni. In primo luogo, sostiene che la ricorrente non ha mai fatto richiesta all’amministrazione di adottare un piano  particolareggiato. In seguito a questa domanda, davanti al rifiuto o all’inerzia dell’amministrazione, la ricorrente avrebbe potuto introdurre un ricorso davanti alle giurisdizioni amministrative; nel caso in cui la giurisdizione adita avesse giudicato l’inerzia dell’amministrazione illegale, la ricorrente avrebbe potuto far eseguire la sentenza amministrativa da parte di un commissario ad acta.

53.In secondo luogo, il Governo fa osservare che in nessun momento la ricorrente si è comportata diligentemente in vista di concludere una convenzione di lottizzazione con il Comune di Roma.

54.La ricorrente si oppone alle argomentazioni del Governo. La ricorrente fa valere, in primo luogo, che l’eccezione non  potrebbe essere accolta, dato che la stessa non è stata sollevata prima della decisione di ricevibilità.

55.La ricorrente ammette in seguito di non aver mai espressamente richiesto alle autorità amministrative di adottare un piano   particolareggiato   e di non aver impugnato  l’inerzia dell’amministrazione davanti al giudice amministrativo.

Tuttavia, la ricorrente osserva che il Governo non dimostra l’efficacia del ricorso che permette, a suo avviso, di rimediare all’inerzia dell’amministrazione. Inoltre, nessun precedente giurisprudenziale mostrerebbe il caso di un commissario ad acta che abbia adottato un piano particolareggiato. Infine, la ricorrente sostiene che una richiesta di concessione edilizia include implicitamente una richiesta di adozione di un piano  particolareggiato.

56.La ricorrente riconosce in seguito di non aver dispiegato alcuna attività in vista di concludere una convenzione di lottizzazione. Tuttavia, le chances di successo sarebbero state minime poiché la superficie del suo terreno non è abbastanza rilevante per avviare delle trattative  e sarebbe stato necessario cercare altri partner interessati.

57.La Corte stima che la tesi del Governo è così strettamente legata alla sostanza delle doglianze dei ricorrenti sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 che è d’uopo congiungere  l’eccezione al  merito (vedere, per esempio, la sentenza Kremzow c. Austria del 21 settembre 1993, serie A n° 268-B, p.41, §42; Althanassaloglou e altri c. Svizzera [GC], n°27644/95, CEDH 2000-IV).

B. Sull’ottemperanza dell’articolo 1 del Protocollo n°1

1.Sull’esistenza di un’ingerenza nel diritto di proprietà della ricorrente.

58.La Corte nota che le parti concordano nel dire che c’è stata un’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni della ricorrente.

59.Rimane da esaminare se la suddetta ingerenza ha infranto o meno l’articolo 1 del Protocollo n° 1.

2.Sulla giustificazione dell’ingerenza nel diritto di proprietà della ricorrente

 

a)La regola applicabile

60.La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo n° 1 contiene tre norme distinte: <<la prima, che è espressa nella prima frase del primo comma e  riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella  seconda frase dello stesso comma, prevede la privazione della proprietà e la sottomette a determinate condizioni; quanto alla terza, collocata  nel secondo comma, riconosce agli Stati, il potere tra gli altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale (…). Non si tratta pertanto di regole sprovviste di  un collegamento tra loro. La seconda e la terza sono tratte da esempi particolari di violazione del diritto di proprietà; perciò, devono essere interpretate alla luce del principio consacrato nella prima>> (vedere, tra le altre, la sentenza James e altri c. Regno Unito del 21 febbraio 1986, sere A n° 98-B, p. 29-30, § 37, il quale riprende in parte i termini dell’analisi che la Corte ha sviluppato nella sua sentenza Sporrong e Lonnroth c. Svezia  del 23 settembre 1982, serie A n° 52, p. 24, § 61; vedere anche le sentenze I santi monasteri c. Grecia del 9 dicembre 1994, serie A n° 301-A, p. 31, § 56, e Iatridis c. Grecia [GC], n° 31107/96, § 55, CEDH 1999-II).

61.La ricorrente non contesta la legalità intrinseca del piano regolatore generale  né del danno al territorio ma contesta il comportamento generale delle autorità: rimprovera all’amministrazione di non aver mai adottato un piano d’attuazione del PRG e si lamenta delle conseguenze di questa inerzia, che, secondo la ricorrente, ha comportato  un’espropriazione de facto del suo terreno.

62.Il Governo ritiene che la controversia non rientra nella regolamentazione dell’uso dei beni.

63.La Corte nota che la possibilità per la ricorrente di ottenere una concessione edilizia era sottoposta a delle condizioni imposte dal piano regolatore generale e dipendeva dalla realizzazione di queste.

64.Ora, queste misure non hanno comportato una privazione della proprietà, ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 1 poiché il diritto di proprietà della ricorrente è rimasto giuridicamente intatto. Le misure controverse non dipendono nemmeno dalla regolamentazione dell’uso dei beni, perché essa non persegue questo scopo. La Corte considera perciò che la situazione denunciata dalla ricorrente dipende  dalla prima frase del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n° 1( sentenza Phocas c. Francia del 23 aprile 1996, Recueil 1996-II, p. 542, §52).

 

b)Il rispetto della norma enunciata alla prima frase del primo comma

65.Ai fini della prima frase del primo comma, la Corte deve ricercare se un giusto equilibrio è stato mantenuto tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (sentenza Sporrong e Lönnroth succitata, p. 26, § 69; sentenza Phocas succitata, p. 542, § 53; sentenza Katte Klitsche de la Grange c. Italia del 27 ottobre 1994, serie A n° 293, p. 35, § 42).

i.Tesi difesa dalla ricorrente

66.Per la ricorrente, il fatto che il Comune di Roma non abbia adottato alcun piano di attuazione del PRG è illegale ed ingiustificato. Secondo la ricorrente, al di là delle ragioni ufficiali, cioè l’obbligazione del Comune di trovare i fondi necessari per procedere ai lavori di urbanizzazione che vanno di pari passo con l’adozione di un piano urbanistico particolareggiato, l’inerzia dell’amministrazione dipende da altre cause, tra le quali il disaccordo tra i partiti politici.

67.Secondo la ricorrente, l’inerzia dell’amministrazione ha avuto per effetto in primo luogo di privarla della possibilità d’ottenere  una concessione edilizia; la ricorrente ritiene che in questo modo il suo diritto di costruire è stato annientato. Secondo la ricorrente questa situazione è assimilabile ad un’espropriazione di fatto, tale quale è quella che interviene nel caso di un terreno sottoposto ad un vincolo formale ed assoluto di costruire.

68.La ricorrente fa osservare che non disponeva di alcun rimedio davanti all’inerzia dell’amministrazione: da una parte, non poteva contare su un ricorso efficace per ottenere l’adozione di un piano  urbanistico particolareggiato (vedere §§ 51 e 54)

69.D’altra parte, pur ammettendo che il PRG di Roma le offriva la possibilità di stipulare una convenzione di lottizzazione, la ricorrente sostiene che le chances di concludere una tale convenzione con l’amministrazione erano minime, conto tenuto delle ridotte dimensioni del suo terreno e della necessità di ricercare degli altri partner interessati. In proposito, la ricorrente stima che, i 2.000 metri quadrati  del suo terreno con i 7.000 metri quadrati dei suoi due vicini non erano de facto sufficienti per proporre una lottizzazione convenzionata e che, perciò sarebbe stato necessario cercare degli altri partner.

70.In  ogni stato della causa la ricorrente osserva che una lottizzazione convenzionata avrebbe comportato delle spese rilevanti a suo carico.

71.La ricorrente fa osservare che il difetto di un piano urbanistico particolareggiato, privandola della possibilità di ottenere una concessione edilizia, le ha allo stesso tempo impedito di conseguire  il suo oggetto sociale, cioè di costruire degli alloggi per i suoi soci, e questo almeno fino al 1974.

72.La ricorrente ammette che a partire dal 1974 l’impossibilità per lei di realizzare il suo oggetto sociale dipende dalla modificazione delle previsioni del piano regolatore generale. In effetti, in seguito alla variante del PRG dell’otto agosto 1974, il terreno di cui è proprietaria non poteva più essere utilizzato per costruire degli alloggi,  essendo autorizzata soltanto la costruzione di edifici a uso commerciale (uffici, hotel).

73.Malgrado ciò la ricorrente indica che non ha introdotto il ricorso per contestare la variante del PRG poiché quest’ultima aveva per effetto di aumentare sensibilmente il valore del terreno. L’interessata stima che il valore del suo terreno era, in effetti, raddoppiato.

74.La ricorrente fa osservare che non poteva fare un altro uso del suo terreno, dato che il suo statuto di cooperativa gli impedisce di esercitare delle attività a scopo lucrativo.

75.Ora, a partire dal momento in cui il terreno in causa non poteva più soddisfare agli scopi  della ricorrente e che il valore di questo era aumentato, la ricorrente avrebbe pensato di vendere il terreno. Essa fa  osservare che il suo statuto di  società cooperativa le permetteva di mettere il terreno in vendita; la ricorrente avrebbe potuto reinvestire la somma ottenuta dalla vendita e acquistare un altro terreno compatibile col suo oggetto sociale.

76.Tuttavia, secondo  la ricorrente, il fatto che il Comune di Roma non ha adottato il piano  particolareggiato ha avuto delle gravi conseguenze sulla sua proprietà, anche dopo il 1974 e, in primo luogo, ha fatto del terreno in questione un bene non commerciabile.

77.In proposito, la ricorrente fa osservare che l’adozione di un piano particolareggiato da parte dell’amministrazione avrebbe facilitato la vendita, poiché l’acquirente avrebbe potuto ottenere una concessione edilizia.

78.La ricorrente ammette di non essere in grado di provare di aver fatto dei tentativi per vendere il terreno. Ciò nonostante, a suo avviso, l’impossibilità di trovare un acquirente può essere presunta, avuto riguardo al fatto che non ha mai ricevuto delle offerte di acquisto, in particolare dai suoi due vicini.

79.La ricorrente fa infine osservare di essersi trovata in ragione dell’inerzia dell’amministrazione in una situazione di incertezza quanto alla destinazione del terreno e alle possibilità di farne uso. Fu soltanto nel  dicembre 1996, allorquando il Comune di Roma ha deciso, in vista dell’espropriazione del terreno in questione, di destinarlo alla creazione di aree verdi, che questa incertezza sarebbe finita. La ricorrente ritiene che in seguito all’espropriazione potrà comprare un altro terreno compatibile con il suo oggetto sociale, anche nel caso in cui l’indennizzo d’espropriazione sarà nettamente inferiore al valore venale  del terreno.

 

80.In conclusione, la ricorrente chiede alla Corte di constatare la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1.

ii.Tesi difesa dal Governo

81.Il Governo sostiene che la situazione denunciata dalla ricorrente è compatibile con l’articolo 1 del Protocollo n°1.

82.In primo luogo, il Governo osserva che il diritto di costruire della ricorrente era subordinato alle condizioni poste dal piano regolatore  generale di Roma del 1965. Di conseguenza, una concessione edilizia poteva essere ottenuta in due modi diversi: in seguito all’adozione di piano urbanistico particolareggiato da parte del Comune di Roma o in seguito alla conclusione di una convenzione di lottizzazione, su iniziativa della ricorrente. Ciò è stato confermato dal Consiglio di Stato, che ha precisato che il rifiuto di ottenere una concessione edilizia era giustificato in assenza di  un qualunque piano complementare al PRG.

83.Trattandosi della prima condizione posta per il rilascio di una concessione edilizia , il Governo fa osservare che il fatto che il Comune di Roma non abbia adottato un piano particolareggiato non è contrario alla legge e si giustifica nell’interesse della collettività: dipende dal margine di apprezzamento delle autorità locali di decidere se e quando un piano particolareggiato deve essere adottato, tenuto conto del fatto che l’adozione di un tale piano, che diviene caduco se non viene eseguito entro un certo termine, presuppone la disponibilità dei fondi necessari per realizzarlo.Ciò significa che se il Comune adotta questo tipo di piano, la ricorrente deve avere i fondi necessari per effettuare in specie i lavori d’urbanizzazione (costruzione delle fogne e della rete di distribuzione dell’acqua) dei terreni classificati come edificabili o per pagare le indennità di espropriazione per i terreni che sono sottoposti ad un permesso di espropriare. Ora, in una grande città come Roma, la   cui popolazione è fortemente aumentata dopo l’entrata in vigore del piano  regolatore generale, l’amministrazione deve procedere ad una valutazione attenta dei bisogni della collettività, fare delle scelte ed agire secondo le priorità definite in materia di pianificazione del territorio

84.Il Governo fa in seguito osservare che la ricorrente si è limitata a richiedere le concessioni edilizie . In queste condizioni, le rimprovera di essere stata inattiva.

85.Secondo il Governo, da un lato, la ricorrente non ha sollecitato l’adozione di un piano urbanistico particolareggiato, ciò che le avrebbe permesso di   impugnare un eventuale rifiuto dell’amministrazione davanti alle giurisdizioni amministrative, di ottenere da queste una decisione che permettesse di chiarire le ragioni per le quali  c’era  stata inerzia e, in caso di constatazione d’illegalità, d’ottenere che un commissario ad acta sia nominato. Tuttavia, il Governo ammette di non essere in grado di fornire degli esempi in cui i commissari ad acta avrebbero proceduto all’elaborazione d’un piano urbanistico particolareggiato.

86.D’altra parte, il Governo fa osservare che la ricorrente aveva la possibilità di rimediare ai ritardi del Comune nell’adozione di un piano urbanistico particolareggiato e che essa non l’ha fatto. In effetti, conformemente al piano regolatore  generale, la ricorrente avrebbe potuto concludere con l’amministrazione una convenzione di lottizzazione. Quest’ultima dipende dall’iniziativa privata, dalla capacità degli interessati di organizzarsi e di trovare un accordo tra di loro e di presentare un progetto ragionevole al Comune. Il vantaggio per l’amministrazione nel caso di una lottizzazione convenzionata è che le spese di urbanizzazione sono essenzialmente messe a carico del privato interessato.

87.Il Governo ammette che un terreno di 2.000 metri quadrati, come quello della ricorrente, anche se si aggiungono i 7.000 metri quadrati  dei due terreni vicini, non é probabilmente abbastanza grande per una lottizzazione convenzionata e che, in questo modo, la ricorrente  avrebbe dovuto cercare degli altri alleati.Il Governo riconosce anche che, nel quadro di una lottizzazione convenzionata, le spese di urbanizzazione sono essenzialmente messe a carico del privato interessato. Tuttavia, quest’ultimo ha numerosi vantaggi, nella misura in cui dispone di un margine di negoziazione con l’amministrazione e può realizzare rapidamente il suo progetto. Del resto numerose lottizzazioni convenzionate sono state concluse a Roma.

88.Ora, il Governo fa osservare che la ricorrente non ha mai iniziato i passi  necessari in vista della conclusione di una convenzione di lottizzazione. Secondo il Governo, ciò prova che il terreno della ricorrente non è rimasto indisponibile per trentacinque anni ma che la ricorrente aveva  la possibilità di intervenire nell’elaborazione del piano complementare al PRG.

89.Il Governo fa in seguito osservare che a partire dal 1974, conformemente alla variante del PRG, il terreno della ricorrente non poteva più essere utilizzato per costruirvi degli alloggi e non corrispondeva dunque più al suo oggetto sociale. Inoltre lo statuto della ricorrente non le permetteva che di costruire degli alloggi per  i suoi soci. Di conseguenza, il Governo non vede in cosa l’assenza di un piano particolareggiato  avrebbe avuto ripercussioni sul terreno della ricorrente .

90. Il Governo sottolinea che la ricorrente non ha impugnato  la variante del 1974, benché in virtù di questo testo non abbia più la possibilità di costruire sul suo terreno.

91.Il Governo fa in seguito osservare che la ricorrente non ha nemmeno tentato di vendere il terreno, nonostante il suo statuto le desse tale possibilità. Il Governo sostiene che l’assenza di un piano urbanistico particolareggiato non ha avuto influenza alcuna sulle chances di vendere il terreno in questione. Sottolinea che la ricorrente non ha fatto alcun tentativo per vendere il terreno.

92.Riassumendo, il Governo chiede alla Corte di constatare che non c’è stata rottura dell’equilibrio tra gli interessi della collettività e quelli della ricorrente.

iii.Valutazione della Corte

93.La Corte constata che il terreno della ricorrente è stato classificato nel 1965, dal piano regolatore  generale di Roma, come terreno edificabile e che il rilascio di una licenza edilizia  era sottoposto a determinate condizioni. Ora, la ricorrente lamenta  che una di queste condizioni, cioè l’adozione da parte del Comune di un piano d’attuazione, non è mai stata realizzata.

94.La Corte giudica naturale che in un ambito così complesso e difficile come la pianificazione delle grandi città, gli Stati contraenti godano di un ampio margine d’apprezzamento nel condurre la loro politica di urbanizzazione (sentenza Sporrong succitata, p. 26, § 69). La Corte ritiene accertato che l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni della ricorrente rispondeva alle esigenze di interesse generale.

95.E’ competenza della Corte di verificare che l’equilibrio voluto è stato preservato in maniera compatibile con il diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni, ai sensi della prima frase dell’articolo 1.

96.La Corte rileva che la ricorrente pretende di aver subito, per più di trentacinque anni, delle restrizioni smisurate nel  godimento del suo diritto di proprietà, restrizioni che a suo avviso, avrebbero tutte una sola causa: il fatto che il Comune di Roma non abbia adottato  un piano urbanistico particolareggiato.

97.La Corte constata che, in un primo periodo andando fino al 1974, il terreno della ricorrente corrispondeva perfettamente al suo oggetto sociale, poiché era suscettibile di essere utilizzato per la costruzione  di alloggi per i suoi soci.

98.La Corte rileva che il piano regolatore generale del 1965 non ha leso nella sostanza il diritto di costruire della ricorrente: non c’è stato un formale divieto assoluto di costruire; non c’è stata neanche una situazione assimilabile ad un divieto assoluto di costruire, dato che la possibilità di ottenere la predetta concessione non dipendeva esclusivamente dall’adozione di un piano d’attuazione del PRG su iniziativa pubblica (vedi § 45).

99.Il diritto di costruire della ricorrente era sottoposto a condizione: l’adozione  di un piano urbanistico particolareggiato ad iniziativa pubblica oppure l’adozione di una lottizzazione convenzionata ad iniziativa privata (vedi § 46).

100.A maggio del 1965, dopo la delibera  del Comune di Roma in vista dell’adozione di un piano regolatore  generale, la ricorrente si dovette scontrare con una decisione di rinvio della  domanda di licenza edilizia da lei presentata.

101.La Corte rileva che, in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato del 4 marzo 1966, la ricorrente aveva la certezza che il suo terreno dipendeva dal piano regolatore  generale nel frattempo entrato in vigore. La Corte stima che l’interessata poteva egualmente dedurne che, senza la realizzazione delle condizioni fissate dal piano regolatore  , le era impossibile ottenere una licenza edilizia . In queste condizioni, la Corte stima che non c’era alcuna incertezza quanto alla natura del terreno e alle possibilità di utilizzarlo.

102.Nel 1970 e nel 1971, la ricorrente ha presentato due nuove richieste di  concessione edilizia  e si è scontrata con due decisioni di rifiuto, dato  che né  un piano particolareggiato d’iniziativa pubblica né una lottizzazione convenzionata d’iniziativa privata erano stati adottati.

103.Ora, come ha constatato il Consiglio di Stato nella sentenza del 1980, le decisioni di rifiuto da parte dell’amministrazione erano legittime, poiché il diritto di costruire della società ricorrente era condizionato dall’esistenza di un piano complementare del PRG, cioè un piano urbanistico particolareggiato  o una lottizzazione convenzionata, e nessuna di queste condizioni si erano realizzate.

104.In queste circostanze, la Corte stima  innegabilmente, che l’assenza di un piano urbanistico particolareggiato ha portato l’amministrazione a rigettare le richieste di concessione edilizia  presentate dalla ricorrente. Pertanto, è compito della Corte di valutare l’effetto che l’inerzia dell’amministrazione ha avuto sulla situazione della ricorrente. Per fare ciò, la Corte deve determinare se la ricorrente ha avuto la possibilità di controbattere l’inerzia dell’amministrazione.

105.A questo proposito, la Corte constata in primo luogo che la ricorrente non ha fatto uso del ricorso invocato dal Governo, poiché non ha denunciato  l’inerzia dell’amministrazione davanti alle giurisdizioni  amministrative. Tuttavia la Corte è dell’avviso che il Governo non ha provato l’efficacia di questo ricorso e che, perciò, non si  potrebbe rimproverare alla ricorrente di non essersi avvalsa dello stesso.

106.La Corte rileva in seguito che la ricorrente disponeva di un’altra possibilità che le  era  offerta dal piano regolatore generale: la conclusione di una convenzione di lottizzazione. Certo, sarebbe stato necessario che la ricorrente ricercasse dei partner interessati, e quindi negoziare un accordo con il Comune e sopportare la maggior parte delle spese d’urbanizzazione.Tuttavia, la Corte stima che nulla nel dossier porta a credere che la ricorrente non avesse  alcuna chance di concludere una convenzione di lottizzazione e stima che questa condizione sarebbe stata sufficiente per assicurare la protezione del diritto al rispetto dei beni. In ogni stato della causa si evince dal dossier che in nessun momento la ricorrente ha dispiegato delle attività in questo senso e effettuato pratiche per giungere alla conclusione di una lottizzazione convenzionata.

107.Sembrerebbe che, anche se l’amministrazione ha tardato a adottare un piano particolareggiato, l’insuccesso  delle domande tendenti ad ottenere una concessione edilizia è nella stessa misura imputabile al comportamento della società ricorrente, che non si è avvalsa della possibilità che le offriva il piano regolatore generale.

108.In un secondo periodo, dopo il 1974, il terreno della ricorrente non corrispondeva più all’oggetto sociale della stessa, poiché non poteva più essere utilizzato per costruirvi degli alloggi. Tuttavia la Corte è dell’avviso che le prerogative essenziali di proprietario per l’interessata sono state preservate per i seguenti motivi.

109.La Corte rileva che la ricorrente,  pur essendo cosciente che il terreno in causa non poteva più soddisfare le esigenze dei suoi soci, era egualmente cosciente che il valore del detto terreno era sensibilmente aumentato.

110.Anche se la ricorrente, in ragione del suo statuto di società cooperativa, non ha potuto farne altro uso, a scopo lucrativo, ha potuto continuare a percepire l’affitto relativo agli immobili siti sul terreno.

111.Soprattutto essa poteva vendere il terreno.

112.La Corte non condivide la tesi della ricorrente in virtù della quale l’assenza di un piano urbanistico particolareggiato avrebbe fatto del terreno un bene fuori commercio. La Corte ritiene che il fatto che i due vicini della ricorrente non  abbiano fatto delle proposte di acquisto non costituirebbe una tale prova. La Corte è di avviso che sarebbe stato sufficiente cercare un acquirente interessato alla costruzione di edifici della categoria autorizzata, poiché quest’ultimo avrebbe potuto tentare di concludere una convenzione di lottizzazione con il Comune. Comunque sia, la ricorrente non ha dimostrato di aver fatto dei tentativi per vendere il terreno.

113.Vero che nel dicembre 1996 il Comune ha deciso di destinare il terreno della ricorrente alla creazione di spazi verdi in vista di espropriarlo in seguito. Tuttavia, supponendo che questa delibera sia stata in seguito approvata dalla regione, la Corte stima che questa nuova situazione –cioè la perdita di valore che ne sarebbe seguita e le eventuali difficoltà per vendere il terreno minacciato di espropriazione- non avrebbe un effetto retroattivo e quindi non ha alcuna incidenza sul ragionamento sopra esposto.

114.In queste circostanze, la Corte conclude che il comportamento delle autorità nazionali non ha reso, sul lungo periodo, il diritto di proprietà della ricorrente instabile ed aleatorio ad un punto tale da poter dire che c’è stata una rottura del giusto equilibrio  che deve sussistere  tra l’interesse pubblico e l’interesse privato.

115.Perciò, non c’è stata una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1.

P.Q.M., LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,

1.Riunisce al merito l’eccezione preliminare del Governo relativa al non esaurimento  di tutte le vie di ricorso interne e decide che non vi è luogo di statuire sulla detta eccezione.

2. Dichiara che non vi è  stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n°1.

Redatta  in francese, poi comunicata per iscritto il 2 agosto 2001 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Andràs BAKA Presidente

Erik FRIBERG    Cancelliere