sentenza 31 gennaio 2003

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)  Due Casi  CORDOVA  contro ITALIA. Sentenze del 31 gennaio   2003.  Ricorsi no 40877/98 e 45649/99.  Violazione dell’articolo  6 paragrafo 1   della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (diritto di accesso ad un tribunale) per  l’impossibilità per il ricorrente Cordova di querelare per diffamazione e chiedere il risarcimento dei danni al Deputato Sgarbi ed al Senatore Cossiga, in quanto l’immunità parlamentare espressamente concessa a quest’ultimi, dal Parlamento italiano, avrebbe coperto anche dispute tra individui privati. Lo Stato italiano deve versare al ricorrente complessivamente   16.000 (euro) a  titolo  di danno morale e 13.745(euro) per spese legali. (traduzione non ufficiale del comunicato stampa a cura dell’avv. Maurizio de Stefano).

 
    1. Principali fatti

La Corte europea  dei Diritti  dell’Uomo,  ha emesso due sentenze in data 31 gennaio 2003, sui Ricorsi no40877/98 e 45649/99, presentati  da Agostino  Cordova contro  Italia  , dichiarando all’unanimità  :

● che vi è stata violazione  dell’articolo  6 § 1 (diritto  d’accesso ad un tribunale) della  Convenzione  europea  dei Diritti  dell’Uomo  ;

● che non è necessario  esaminare  la doglianza  fondata  sull’articolo  13 (diritto  ad un ricorso  effettivo ) della  Convenzione  ;

● che non è  necessario  esaminare  se vi è stata violazione  dell’articolo  14 (divieto  della  discriminazione ) della  Convenzione .

In applicazione  dell’articolo  41 (equa soddisfazione) della  Convenzione , la Corte concede al ricorrente  in ognuno di questi casi  8.000 euro (EUR) a  titolo  di danno morale. Per spese legali, la Corte      concede al ricorrente  8.745 EUR per il  primo  ricorso e 5.000 EUR per il  secondo ricorso.

1.  Principali fatti

Agostino Cordova è un cittadino italiano, nato nel  1936 e residente a Napoli. All’epoca dei fatti , era Procuratore  della  Repubblica  presso la Procura di Palmi.

Cordova (n° 1) (n° 40877/98) Il ricorso scaturisce dai fatti  accaduti nel 1993 in occasione  d’una indagine che il ricorrente  conduceva nell’esercizio delle sue funzioni . La persona  indagata aveva intrattenuto dei rapporti con  Francesco Cossiga, già  Presidente  della  Repubblica  italiana, divenuto Senatore a vita.  Quest’ultimo inviò al ricorrente  molte lettere sarcastiche e gli fece dono di giocattoli. Ritenendo che Francesco Cossiga  avesse offeso il suo onore e la sua reputazione, il ricorrente lo querelò ed il Sig. Cossiga fu perseguito per oltraggio ad un magistrato. Inoltre, il ricorrente Cordova si costituì parte civile nel giugno 1997.

Il Senato  reputò che i fatti  incriminati erano coperti dall’immunità prevista dall’articolo  68 § 1 della  Costituzione  italiana, e che le opinioni erano state espresse nell’esercizio  delle funzioni  parlamentari. In applicazione  di questa  disposizione, il Giudice di primo grado di Messina si pronunciò per il non luogo a procedere nei confronti del Senatore Cossiga. Il ricorrente  chiese al Procuratore  della  Repubblica  di presentare appello contro questa sentenza, ma quest’ultimo rigettò l’istanza per il motivo che le ragioni invocate dal Senato  non erano né illogiche, né manifestamente arbitrarie.

Cordova (N° 2) (45649/99) Il ricorso riguarda alcuni discorsi tenuti in occasione  di due riunioni elettorali nel 1994 da Vittorio Sgarbi, deputato al Parlamento  italiano. In  occasione  di questi discorsi, il sig. Sgarbi  attaccava  in particolare la persona  del ricorrente  con termini volgari. Il sig. Cordova querelò il sig. Sgarbi per diffamazione  aggravata e si costituì parte civile.

Il sig.  Sgarbi fu condannato a due mesi di reclusione ed al risarcimento dei danni. Il Giudice di primo grado ritenne che i discorsi  in questione non erano stati pronunciati nell’esercizio  delle funzioni  parlamentari, e che essi non erano di conseguenza coperti dall’immunità  parlamentare dell’articolo  68 § 1 della  Costituzione.  L’imputato presentò invano appello  contro questa sentenza, e ricorse in cassazione . La Corte di cassazione  dispose la sospensione della  procedura  ed ordinò la trasmissione degli atti alla Camera  dei Deputati . Quest’ultima ritenne che il deputato aveva agito nell’esercizio  delle sue funzioni . Con una sentenza del 6 maggio 1998, la Corte di cassazione  cassò le sentenze dei giudici di merito. La Cassazione ritenne che l’interpretazione estensiva della  nozione di « funzioni  parlamentari » fatta dalla  Camera  dei Deputati , comprendeva tutti gli atti di ispirazione politica anche se compiuti fuori del Parlamento , non era manifestamente contraria allo spirito della Costituzione.

Nelle sue  decisioni sulla  ricevibilità del 13 giugno 2002 la Camera della Corte europea ha ritenuto che i presenti ricorsi ponevano innanzi tutto la questione se il ricorrente  avesse goduto del diritto  di  accesso ad  un tribunale garantito dall’articolo  6 § 1 della  Convenzione .

2.  Procedura  e composizione della  Corte

I ricorsi sono stati presentati davanti alla Commissione europea  dei Diritti  dell’Uomo  rispettivamente il 26 marzo ed il  31 ottobre 1998, e sono stati  trasmessi alla Corte europea  dei Diritti  dell’Uomo  il 1° novembre 1998. Essi sono stati dichiarati ricevibili con due decisioni del 13 giugno 2002. Una udienza è stata  tenuta per questi casi  il 17 ottobre 2002.

La sentenza è stata emessa da una camera  composta da  7 giudici, segnatamente :

Christos Rozakis (Greco), Presidente ,
Giovanni Bonello (Maltese),
Françoise Tulkens (Belga),
Nina Vajić (Croato),
Snejana Botoucharova (Bulgaro),
Anatoli Kovler (Russo),
Vladimiro Zagrebelsky (Italiano), giudici,

così come da  Søren Nielsen , cancelliere aggiunto di sezione.

3.  Riassunto della sentenza

Doglianze

Invocando gli articoli  6 § 1 (diritto a un equo processo ) e 13 (diritto  ad un ricorso  effettivo ), il ricorrente  lamentava l’iniquità delle procedure davanti al giudice di primo grado di   Messina ed alla Corte de cassazione . Sulla base dell’articolo  14 (divieto  della  discriminazione ), egli denunciava parimenti l’ampiezza della libertà d’espressione riconosciuta ai signori Cossiga e Sgarbi.

Decisione della  Corte europea

Articolo  6 § 1

La Corte europea  dei Diritti  dell’Uomo  rileva che il  ricorrente  ha querelato per diffamazione  due Parlamentari e  si è costituito parte civile  nelle procedure penali che sono state intraprese. Pertanto, queste procedure riguardavano un diritto  a carattere civile di cui il  ricorrente  poteva pretendersi titolare, cioè il diritto  di godere di una buona reputazione.

In seguito alle deliberazioni del Senato , per quanto concerne il Sig. . Cossiga, e davanti alla  Camera  dei Deputati , quanto al  Sig.   Sgarbi, i discorsi  incriminati furono ritenuti coperti da una immunità  Parlamentare.  Queste deliberazioni hanno impedito di proseguire le procedure penali in corso ed hanno privato il ricorrente  della  possibilità d’ottenere la  riparazione dei danni  subiti. La Corte osserva che la legittimità di queste  deliberazioni  è stata  oggetto  di  controllo da parte del giudice di primo grado di Messina nel primo caso e della  Corte di cassazione  nel secondo caso. Tuttavia, non si potrebbe assimilare una tale valutazione ad una decisione sul diritto  del ricorrente  a godere di una buona reputazione, né considerare che un livello  d’accesso al giudice limitato alla  facoltà di porre  una questione preliminare fosse sufficiente per assicurare al ricorrente  il « diritto  ad un tribunale ». Il ricorrente  si è visto  privare della  possibilità d’ottenere la riparazione del pregiudizio allegato in conseguenza delle deliberazioni del Senato  e della  Camera  dei Deputati , rafforzate dal rifiuto del giudice di primo grado e della Corte di cassazione  di sollevare un conflitto tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale. In queste condizioni, la Corte considera che l’interessato ha  subìto una ingerenza nel suo diritto  d’accesso ad un tribunale.

La Corte osserva che le immunità parlamentari costituiscono una pratica di lunga data, mirante a permettere la libera espressione dei rappresentanti del  popolo e ad impedire che delle azioni giudiziarie partigiane possano attentare alla funzione parlamentare. Pertanto, la Corte reputa che l’ingerenza in questione, che era  prevista dall’articolo  68 § 1 della  Costituzione, perseguiva dei fini legittimi,  cioè la tutela del libero dibattito parlamentare ed il  mantenimento della  separazione dei poteri legislativo e giudiziario .

Sulla questione se questa ingerenza  fosse proporzionale, la Corte osserva che quando uno Stato riconosce una immunità  ai membri del suo Parlamento , la  tutela  dei diritti  fondamentali può risultarne limitata. La Corte ricorda  che in linea di principio il  fatto  di riconoscere  una immunità  parlamentare non è di per sé una restrizione sproporzionata al diritto  d’accesso ad un tribunale siccome  consacrato dall’articolo  6 § 1 della  Convenzione .

La Corte rileva in questi due casi , che  le dichiarazioni, oggetto delle azioni giudiziarie non erano legate all’esercizio  di funzioni  parlamentari stricto sensu, ma sembrano iscriversi nel quadro di dispute tra individui privati. Ora,  non si potrebbe giustificare un diniego di accesso alla giustizia con il solo motivo che la disputa  potrebbe essere di natura politica o legata ad una attività politica. Ad avviso della  Corte, l’assenza di un legame  evidente con una  attività parlamentare richiede  una interpretazione ristretta  della  nozione di proporzionalità tra il fine mirato ed i mezzi impiegati. Lo è parimenti quando le  restrizioni al diritto  d’accesso  derivano da una deliberazione di un organo politico. Concludere diversamente equivarrebbe a restringere, in una maniera  incompatibile con  l’articolo  6 § 1 della  Convenzione,  il diritto  d’accesso ad un tribunale degli individui ogni volta che i discorsi  impugnati in giudizio sono stati emessi da un membro del Parlamento .

In queste  circostanze, la Corte considera che la decisione di  non-luogo a procedere  nei confronti del Sig.   Cossiga e la decisione che ha  annullato le sentenze che avevano dichiarato la responsabilità del Sig.  Sgarbi, non hanno  rispettato il giusto equilibrio che deve esistere tra  le esigenze dell’interesse generale della  comunità e gli  imperativi della  salvaguardia dei diritti  fondamentali dell’individuo. La Corte attribuisce parimenti importanza al fatto  che dopo le deliberazioni del Senato  e della  Camera  dei Deputati  il ricorrente  non  disponeva di altre vie ragionevoli per   proteggere efficacemente i suoi diritti  garantiti dalla Convenzione . Di  conseguenza, la Corte conclude per  la violazione  dell’articolo  6 § 1 della  Convenzione .

Articolo  13

La Corte osserva che questa doglianza  sollevata dal ricorrente  concerne gli stessi fatti  già esaminati sotto il profilo dell’articolo  6 § 1 della  Convenzione . Per di più , è opportuno ricordare che quando una questione d’accesso ad  un tribunale si pone, le garanzie dell’articolo  13 sono assorbite da quelle dell’articolo  6.  Pertanto, la Corte reputa che non sia necessario esaminare se vi sia stata violazione  dell’articolo  13 della  Convenzione .

Articolo  14

Alla luce della  conclusione a cui la Corte è giunta quanto all’articolo  6 § 1, la Corte reputa che non si impone di d’esaminare  separatamente la doglianza  del ricorrente  sotto il profilo dell’articolo  14 della  Convenzione .

ESTRATTO DELLA SENTENZA DEL 31 GENNAIO 2003***

AFFAIRE CORDOVA c. ITALIE (no 1)

 

(Requête no 40877/98)

omissis

II.  SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L'ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION

34.  Le requérant se plaint du manque d'équité de la procédure suivie devant le juge d'instance de Messine. Il invoque l'article 6 § 1 de la Convention, qui, dans ses parties pertinentes, se lit comme suit :

« 1.  Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (...) par un tribunal (...) qui décidera (...) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (...) ».

1.  Les arguments des parties

(a)  Le requérant

35.  Le requérant soutient que la décision de prononcer un non-lieu en faveur de M. Cossiga se fonde sur des erreurs de droit et dépendait en dernier ressort d'une délibération du Sénat, organe ne pouvant être considéré comme impartial.

36.  Il estime notamment que la délibération du Sénat du 2 juillet 1997 est manifestement contraire à la lettre et à l'esprit de l'article 68 § 1 de la Constitution, puisqu'elle concerne non seulement des « opinions », mais aussi un fait matériel (l'envoi de « cadeaux »), qui, en tant que tel, ne saurait être couvert par l'immunité en question. Par ailleurs, il ne peut accepter que, dans la mesure où elle porte sur des opinions écrites, la délibération incriminée considère comme exprimées dans l'exercice des fonctions parlementaires des affirmations offensantes  adressées à un particulier dans le cadre d'une querelle de personnes.

37.  Il observe que, dans son affaire, les autorités italiennes ont refusé de soulever un conflit entre pouvoirs de l'Etat, le privant ainsi d'un recours apte à protéger les victimes de déclarations diffamatoires de parlementaires. Il souligne par ailleurs que seule la jurisprudence la plus récente de la Cour constitutionnelle (arrêts nos 10, 11, 58 et 82 de 2000) reconnaît que l'immunité prévue à l'article 68 § 1 ne couvre que les opinions liées à l'exercice de fonctions parlementaires stricto sensu. En l'espèce, selon lui, les propos de M. Cossiga n'avaient aucun rapport avec l'activité de parlementaire de leur auteur, mais visaient simplement à l'offenser et à l'insulter. Il considère qu'interpréter l'immunité parlementaire comme couvrant également ce type d'atteinte à la réputation d'autrui équivaudrait à octroyer aux sénateurs et aux députés une « autorisation d'insulter librement » (licenza per il libero insulto) pour des motifs personnels.

38.  Le requérant rappelle en outre que la délibération du Sénat du 2 juillet 1997, doublée du refus par les autorités de soulever un conflit entre pouvoirs de l'Etat, l'a privé de toute possibilité non seulement d'obtenir la condamnation de M. Cossiga au pénal, mais aussi d'introduire au civil une action en réparation des dommages subis. Cette situation s'analyserait en une absence totale de contrôle de la justice sur les décisions prises par le Parlement.

(b)  Le Gouvernement

39.  Le Gouvernement rappelle que l'immunité reconnue aux membres du Parlement pour leurs votes et opinions poursuit le but d'assurer aux représentants du peuple, dans l'exercice de leurs fonctions, la liberté d'expression la plus complète, en marge des limites imposées aux autres citoyens. Toute interférence avec cette liberté devrait être exclue.

40.  Ce principe serait d'ailleurs reconnu par toutes les démocraties parlementaires et devrait être considéré comme l'une des règles caractérisant les systèmes démocratiques, où règnent la séparation des pouvoirs et la prééminence du droit. Comme il ne serait pas raisonnable de croire qu'en signant la Convention les Hautes Parties contractantes ont souhaité y renoncer, sa compatibilité avec les droits fondamentaux de l'individu ne saurait être mise en question. Le Gouvernement se réfère, sur ce point, à la jurisprudence développée par la Commission dans les affaires X c. AutricheYoung c. Irlande et Ó'Faolain c. Irlande (voir, respectivement, les requêtes nos 3374/67, 25646/94 et 29099/95, décisions de la Commission des 4 février 1969 et 17 janvier 1996) et par la Cour dans l'affaire Fayed c. Royaume-Uni (voir l'arrêt du 21 septembre 1994, série A no 294-B).

41.  Le Gouvernement considère que, justifiée par son rattachement à une fonction prévue par la Constitution, l'immunité en question ne se heurte ni au principe de l'égalité des citoyens devant la loi ni à l'interdiction de la discrimination. Elle ne viserait ni à créer une catégorie « privilégiée » ni à permettre aux parlementaires de faire un usage arbitraire de leurs prérogatives. Elle poursuivrait au contraire le but légitime de permettre au Parlement de débattre librement et ouvertement sur toute question concernant la vie publique, sans que ses membres aient à craindre des persécutions ou de possibles conséquences sur le plan judiciaire.

42.  De plus, en cas de doute quant à l'applicabilité ou à l'étendue de l'immunité, les délibérations des chambres législatives adoptées en la matière pourraient être contestées par le pouvoir judiciaire devant la Cour constitutionnelle, compétente pour vérifier, dans chaque cas d'espèce, si les opinions incriminées ont été exprimées dans l'exercice de fonctions parlementaires. Pour décider de l'opportunité de saisir la Cour constitutionnelle, les juridictions judiciaires se prononceraient, au moins implicitement, sur le caractère correct et légitime de la délibération litigieuse. En tout état de cause, elle ne pourraient à elles seules priver le juge du fond du pouvoir d'examiner le différend.

43.  A la lumière de ce qui précède, le Gouvernement estime qu'aucune restriction du droit du requérant à un tribunal ne saurait être décelée en l'espèce. Garantissant la possibilité de saisir une autorité judiciaire pour faire statuer sur une contestation relative à un droit de caractère civil, ledit droit à un tribunal n'impliquerait pas l'obligation, pour le juge, de conduire le procès dans le sens souhaité par le demandeur ou d'écarter les questions préliminaires susceptibles d'empêcher une décision sur le fond. En l'espèce, le requérant a pu s'adresser à un tribunal et se constituer partie civile dans la procédure ouverte contre M. Cossiga. Le juge d'instance de Messine a ensuite examiné la délibération du Sénat et considéré qu'elle était légitime ; en dernier ressort, le parquet a estimé que la décision du juge d'instance était correcte et qu'il n'y avait pas lieu d'interjeter appel contre elle.

44.  Le Gouvernement soutient par ailleurs qu'à supposer même que le requérant ait subi une atteinte à son droit d'accès à un tribunal, celle-ci a de toute façon été proportionnée au but légitime poursuivi, à savoir la liberté et la spontanéité des débats parlementaires. A cet égard, il observe qu'au moins à partir de 1997 (voir notamment les arrêts nos 265 et 375 de 1997, n289 de 1998, no 329 de 1999, nos 10, 11, 56, 58, 82, 320 et 420 de 2000, nos 137 et 289 de 2001, nos 50, 51, 52, 79 et 207 de 2002) la Cour constitutionnelle a annulé de nombreuses délibérations du Parlement concernant l'immunité en question au motif que les comportements dénoncés, même justifiés par une querelle de nature politique, ne présentaient aucun rapport avec les actes caractérisant la fonction parlementaire. Le type de contrôle exercé par la haute juridiction italienne dans le cadre des conflits entre pouvoirs de l'Etat constituerait donc un instrument de protection en faveur des citoyens victimes d'une infraction pénale commise par un député ou un sénateur que le Parlement aurait illégitimement estimée couverte par l'article 68 § 1 de la Constitution. La jurisprudence récente montrerait en outre que l'étendue de l'immunité parlementaire est maintenant soigneusement ajustée au but poursuivi, la Cour constitutionnelle tenant compte de l'importance de garantir une protection judiciaire des droits fondamentaux à l'honneur et à la réputation de ceux qui s'estiment offensés par les déclarations d'un parlementaire. Dans ces conditions, on ne saurait conclure que le droit des particuliers à un tribunal peut se trouver atteint dans sa substance même, s'agissant, tout au plus, d'une réglementation dudit droit rentrant dans la marge d'appréciation devant, en la matière, être reconnue aux Etats contractants.

45.  Le Gouvernement relève qu'il est vrai qu'un particulier ne peut ni saisir directement la Cour constitutionnelle ni obliger le juge du fond à le faire, mais seulement solliciter une décision en ce sens. Il estime toutefois que ce système ne peut passer pour contraire à la Convention, puisque le conflit entre pouvoirs de l'Etat vise à protéger la fonction de sauvegarde de la prééminence du droit dont le pouvoir judiciaire est investi. Par ailleurs, comme il ressort de l'arrêt de la Cour constitutionnelle no 76 de 2001, les parties privées peuvent intervenir dans la procédure devant la haute juridiction italienne.

46.  Le Gouvernement allègue enfin qu'à supposer même qu'une violation puisse s'être produite dans la présente affaire, elle ne peut être attribuée qu'à un dysfonctionnement ponctuel du système italien, qui offre normalement des garanties suffisantes et doit être réputé conforme à la Convention. En effet, si le conflit entre pouvoirs avait été soulevé, il est fort probable que la Cour constitutionnelle, au vu de sa jurisprudence, aurait annulé la délibération du Sénat du 2 juillet 1997.

 

2.  L'appréciation de la Cour

47.  Dans sa décision sur la recevabilité de la requête, la Cour a estimé que le grief tiré de l'article 6 de la Convention posait avant tout la question de savoir si le requérant avait pu exercer son droit d'accès à un tribunal (voir Golder c. Royaume-Uni, arrêt du 21 février 1975, série A no 18, pp. 17-18, §§ 35-36).

(a)  Sur l'existence d'une ingérence dans l'exercice par le requérant de son droit d'accès à un tribunal

48.  La Cour rappelle que, d'après sa jurisprudence, l'article 6 § 1 consacre le « droit à un tribunal », dont le droit d'accès, à savoir le droit de saisir le tribunal en matière civile, ne constitue qu'un aspect (Osman c. Royaume-Uni, arrêt du 28 octobre 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998-VIII, p. 3166, § 136). Ce droit ne vaut que pour les « contestations » relatives à des « droits et obligations de caractère civil » que l'on peut dire, au moins de manière défendable, reconnus en droit interne (voir, entre autres, James et autres c. Royaume-Uni, arrêt du 21 février 1986, série A no 98, pp. 46-47, § 81, et Powell et Rayner c. Royaume-Uni, arrêt du 21 février 1990, série A no 172, p. 16, § 36).

49.  En l'espèce, la Cour relève que, s'estimant diffamé par la conduite de M. Cossiga, le requérant avait porté plainte à l'encontre du parlementaire en question et s'était constitué partie civile dans la procédure pénale qui avait par la suite été entamée. Dès lors, celle-ci portait sur un droit de caractère civil – à savoir le droit à la protection de sa réputation – dont le requérant pouvait, d'une manière défendable, se prétendre titulaire (voirTomasi c. France, arrêt du 27 août 1992, série A no 241-A, p. 43, § 121).

50.  La Cour note ensuite que, par sa délibération du 2 juillet 1997, le Sénat a déclaré que la conduite de M. Cossiga était couverte par l'immunité consacrée par l'article 68 § 1 de la Constitution (voir les paragraphes 14 et 15 ci-dessus), ce qui empêchait de continuer toute procédure pénale ou civile visant à établir la responsabilité du parlementaire en question et à obtenir la réparation des dommages subis (voir le paragraphe 23 ci-dessus).

51.  Il est vrai que, comme l'affirme le Gouvernement, la légitimité de ladite délibération a fait l'objet d'un examen de la part du juge d'instance de Messine, qui, dans son jugement du 27 septembre 1998, a estimé qu'elle n'était entachée d'aucun vice de procédure et n'était pas manifestement illogique (voir les paragraphes 17-18 ci-dessus).

52.  On ne saurait toutefois comparer une telle appréciation à une décision sur le droit du requérant à la protection de sa réputation, ni considérer qu'un degré d'accès au juge limité à la faculté de poser une question préliminaire suffisait pour assurer au requérant le « droit à un tribunal », eu égard au principe de la prééminence du droit dans une société démocratique (voir, mutatis mutandisWaite et Kennedy c. Allemagne[GC], no 26083/94, § 58, CEDH 1999-I). A ce sujet, il convient de rappeler que l'effectivité du droit en question demande qu'un individu jouisse d'une possibilité claire et concrète de contester un acte portant atteinte à ses droits (voir Bellet c. France, arrêt du 4 décembre 1995, série A no 333-B, p. 42, § 36). Dans la présente affaire, à la suite de la délibération du 2 juillet 1997, doublée du refus par le juge d'instance de Messine de soulever un conflit entre pouvoirs de l'Etat devant la Cour constitutionnelle, les poursuites entamées contre M. Cossiga ont été classées, et le requérant s'est vu priver de la possibilité d'obtenir quelque forme de réparation que ce soit pour son préjudice allégué.

53.  Dans ces conditions, la Cour considère que le requérant a subi une atteinte à son droit d'accès à un tribunal.

54.  Elle rappelle de surcroît que ce droit n'est pas absolu, mais peut donner lieu à des limitations implicitement admises. Néanmoins, ces limitations ne sauraient restreindre l'accès ouvert à l'individu d'une manière ou à un point tels que le droit s'en trouve atteint dans sa substance même. En outre, elles ne se concilient avec l'article 6 § 1 que si elles poursuivent un but légitime et s'il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, parmi beaucoup d'autres, Khalfaoui c. France, no 34791/97, §§ 35-36, CEDH 1999-IX, et Papon c. France, no 54210/00, § 90, 25 juillet 2002, non publié ; voir également le rappel des principes pertinents dans Fayed c. Royaume-Uni, arrêt du 21 septembre 1994, série A no294-B, pp. 49-50, § 65).

(b)  But de l'ingérence

55.  La Cour relève que le fait pour les Etats d'accorder généralement une immunité plus au moins étendue aux parlementaires constitue une pratique de longue date, qui vise à permettre la libre expression des représentants du peuple et à empêcher que des poursuites partisanes puissent porter atteinte à la fonction parlementaire. Dans ces conditions, la Cour estime que l'ingérence en question, qui était prévue par l'article 68 § 1 de la Constitution, poursuivait des buts légitimes, à savoir la protection du libre débat parlementaire et le maintien de la séparation des pouvoirs législatif et judiciaire (voir A. c. Royaume-Uni, no 35373/97, §§ 75-77, 17 décembre 2002).

56.  Il reste à vérifier si les conséquences subies par le requérant étaient proportionnées aux buts légitimes visés.

(c)  Proportionnalité de l'ingérence

57.  La Cour doit apprécier la restriction litigieuse à la lumière des circonstances particulières de l'espèce (voir Waite et Kennedy c. Allemagne, précité, § 64). Elle rappelle à cet égard qu'il lui incombe non pas d'examiner in abstracto la législation et la pratique pertinentes, mais de rechercher si la manière dont elles ont touché le requérant a enfreint la Convention (voir, mutatis mutandisPadovani c. Italie, arrêt du 26 février 1993, série A no 257-B, p. 20, § 24). En particulier, la Cour n'a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes. C'est au premier chef aux autorités nationales, notamment aux cours et tribunaux, qu'il incombe d'interpréter la législation interne (voir, entre autres, Pérez de Rada Cavanilles c. Espagne, arrêt du 28 octobre 1998, Recueil 1998-VIII, p. 3255, § 43). Le rôle de la Cour se limite à vérifier la compatibilité avec la Convention des effets de pareille interprétation.

58.  La Cour observe que lorsqu'un Etat reconnaît une immunité aux membres de son Parlement, la protection des droits fondamentaux peut s'en trouver affectée. Toutefois, il serait contraire au but et à l'objet de la Convention que les Etats contractants, en adoptant l'un ou l'autre des systèmes normalement utilisés pour assurer une immunité aux membres du Parlement, soient ainsi exonérés de toute responsabilité au regard de la Convention dans le domaine d'activité concerné. Il y a lieu de rappeler que la Convention a pour but de protéger des droits non pas théoriques ou illusoires, mais concrets et effectifs. La remarque vaut en particulier pour le droit d'accès aux tribunaux, vu la place éminente que le droit à un procès équitable occupe dans une société démocratique (voir Aït-Mouhoub c. France, arrêt du 28 octobre 1998, Recueil 1998-VIII, p. 3227, § 52). Il serait incompatible avec la prééminence du droit dans une société démocratique et avec le principe fondamental qui sous-tend l'article 6 § 1, à savoir que les revendications civiles doivent pouvoir être portées devant un juge, qu'un Etat pût, sans réserve ou sans contrôle des organes de la Convention, soustraire à la compétence des tribunaux toute une série d'actions civiles ou exonérer de toute responsabilité des catégories de personnes (voir Fayed c. Royaume-Uni, précité, ibidem).

59.  La Cour rappelle que, précieuse pour chacun, la liberté d'expression l'est tout particulièrement pour un élu du peuple ; il représente les électeurs, signale leurs préoccupations et défend leurs intérêts. Dans une démocratie, le Parlement ou les organes comparables sont des tribunes indispensables au débat politique. Une ingérence dans la liberté d'expression exercée dans le cadre de ces organes ne saurait donc se justifier que par des motifs impérieux (Jerusalem c. Autriche, no 26958/95, §§ 36 et 40, CEDH 2001‑II).

60.  On ne peut dès lors, de façon générale, considérer l'immunité parlementaire comme une restriction disproportionnée au droit d'accès à un tribunal tel que le consacre l'article 6 § 1. De même que ce droit est inhérent à la garantie d'un procès équitable assurée par cet article, de même certaines restrictions à l'accès doivent être tenues pour lui être inhérentes ; on en trouve un exemple dans les limitations généralement admises par les Etats contractants comme relevant de la doctrine de l'immunité parlementaire (voir A. c. Royaume-Uni, précité, § 83, et, mutatis mutandisAl-Adsani c. Royaume-Uni [GC], no 35763/97, § 56, CEDH 2001-XI).

61.  A cet égard, il convient de rappeler que la Cour a estimé compatible avec la Convention une immunité qui couvrait les déclarations faites au cours des débats parlementaires au sein des chambres législatives et tendait à la protection des intérêts du Parlement dans son ensemble, par opposition à ceux de ses membres pris individuellement (voir A. c. Royaume-Uni, précité, §§ 84-85).

62.  Cependant, la Cour relève que, dans les circonstances particulières de la présente affaire, la conduite de M. Cossiga n'était pas liée à l'exercice de fonctions parlementaires stricto sensu. En effet, comme il résulte de l'ordonnance du procureur général de la République de Messine du 13 décembre 1997 (voir le paragraphe 20 ci-dessus), bien que M. Cossiga eût critiqué, dans une question parlementaire préalable, les enquêtes menées par le requérant, la Cour estime que des lettres au contenu ironique ou dérisoire accompagnées de jouets adressés personnellement à un magistrat, ne peuvent, par leur nature même, se comparer à un acte entrant dans les fonctions parlementaires. Cette conduite paraît plutôt s'inscrire dans le cadre d'une querelle entre particuliers. Or, dans un tel cas, on ne saurait, justifier un déni d'accès à la justice par le seul motif que la querelle pourrait être d'une nature politique ou liée à une activité politique.

63.  De l'avis de la Cour, l'absence d'un lien évident avec une activité parlementaire appelle une interprétation étroite de la notion de proportionnalité entre le but visé et les moyens employés. Il en est particulièrement ainsi lorsque les restrictions au droit d'accès découlent d'une délibération d'un organe politique. Conclure autrement équivaudrait à restreindre d'une manière incompatible avec l'article 6 § 1 de la Convention le droit d'accès à un tribunal des particuliers chaque fois que les propos attaqués en justice ont été émis par un membre du Parlement.

64.  Aussi la Cour estime-t-elle en l'espèce que le non-lieu rendu en faveur de M. Cossiga et la décision de paralyser toute autre action tendant à assurer la protection de la réputation du requérant n'ont pas respecté le juste équilibre qui doit exister en la matière entre les exigences de l'intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l'individu.

65.  La Cour attache également de l'importance au fait qu'après la délibération du Sénat du 2 juillet 1997 le requérant ne disposait pas d'autres voies raisonnables pour protéger efficacement ses droits garantis par la Convention (voir, a contrarioWaite et Kennedy c. Allemagne, précité, §§ 68-70, et A. c. Royaume-Uni, précité, § 86). En effet, le refus par le juge d'instance de Messine de soulever un conflit entre pouvoirs de l'Etat a empêché la Cour constitutionnelle de se prononcer sur la compatibilité entre la délibération litigieuse et les attributions du pouvoir judiciaire. A cet égard, il convient de noter que la jurisprudence de la Cour constitutionnelle a connu sur ce point une certaine évolution, et qu'à présent la haute juridiction italienne estime illégitime que l'immunité soit étendue à des propos n'ayant pas de correspondance substantielle avec des actes parlementaires préalables dont le représentant concerné pourrait passer pour s'être fait l'écho (voir les paragraphes 26, 27 et 44 ci-dessus).

66.  Au vu de ce qui précède, la Cour conclut qu'il y a eu violation du droit d'accès à un tribunal garanti au requérant par l'article 6 § 1 de la Convention.

III.  SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L'ARTICLE 13 DE LA CONVENTION

67.  Le requérant estime que le prononcé d'un non-lieu à l'égard de M. Cossiga a également violé l'article 13 de la Convention, qui se lit ainsi :

« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (...) Convention ont été violés, a droit à l'octroi d'un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l'exercice de leurs fonctions officielles. »

68.  Le requérant considère que l'application du système italien d'immunités et prérogatives l'a privé d'une protection juridictionnelle efficace. Il se plaint en outre de l'impossibilité pour le justiciable italien de saisir directement la Cour constitutionnelle.

69.  Le Gouvernement estime que le grief tiré de l'article 13 doit être considéré comme absorbé par celui soulevé sous l'angle de l'article 6 § 1. En tout état de cause, se référant aux arguments développés sur le terrain du droit d'accès au tribunal, il soutient que cette disposition n'a pas été violée. Il observe qu'on ne saurait faire découler de l'article 13 de la Convention une obligation pour l'Etat de prévoir une voie de recours contre les décisions définitives rendues par les juridictions judiciaires ou de garantir aux justiciables un accès direct à la Cour constitutionnelle.

70.  La Cour note que le grief soulevé par le requérant sur le terrain de l'article 13 concerne les même faits que ceux déjà examinés sous l'angle de l'article 6 § 1 de la Convention. De plus, il y a lieu de rappeler que lorsqu'une question d'accès à un tribunal se pose, les garanties de l'article 13 sont absorbées par celles de l'article 6 (Brualla Gómez de la Torre c. Espagne, arrêt du 19 décembre 1997, Recueil 1997-VIII, § 41).

71.  Dès lors, la Cour estime qu'il n'y a pas lieu d'examiner s'il y a eu violation de l'article 13 de la Convention (voir Posti et Rahko c. Finlande, no 27824/95, § 89, 24 septembre 2002, non publié).

IV.  SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L'ARTICLE 14 DE LA CONVENTION

72.  Le requérant allègue que M. Cossiga, en sa qualité de membre du Parlement, a pu exercer son droit à la liberté d'expression bien au-delà des limites qui sont normalement imposées aux autres citoyens, ce au détriment de ses droits fondamentaux à l'honneur et à la réputation. Il invoque l'article 14 de la Convention, ainsi libellé :

« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (...) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l'origine nationale ou sociale, l'appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »

73.  Le requérant soutient que l'immunité indûment reconnue à M. Cossiga s'analyse en une grave discrimination devant la loi, qui a transformé une prérogative en un privilège injustifié. Il se dit « victime » de cet état de choses dans la mesure où, lésé dans son droit à l'honneur, il n'a pu obtenir réparation devant les juridictions nationales.

74.  Le Gouvernement observe que les députés ne se trouvent pas dans une situation comparable à celle des autres particuliers et que l'étendue de la liberté d'expression qui leur est reconnue se justifie par la nécessité de protéger la liberté des débats parlementaires. Quoi qu'il en soit, il considère que le requérant ne peut être réputé victime d'une « discrimination » qui concerne la généralité des citoyens.

75.  La Cour estime, au vu de la conclusion à laquelle elle est parvenue sous l'angle de l'article 6 § 1 de la Convention (voir paragraphe 66 ci-dessus), qu'il ne s'impose pas d'examiner séparément le grief du requérant sous l'angle de l'article 14 de la Convention.

V.  SUR L'APPLICATION DE L'ARTICLE 41 DE LA CONVENTION

76.  Aux termes de l'article 41 de la Convention,

« Si la Cour déclare qu'il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d'effacer qu'imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s'il y a lieu, une satisfaction équitable. »


 

A.  Dommage

77.  Le requérant allègue avoir subi un tort moral et sollicite l'octroi d'une somme non inférieure à 50 000 euros (EUR).

78.  Le Gouvernement estime qu'un arrêt concluant à la violation de la Convention constituerait en soi une satisfaction équitable suffisante.

79.  La Cour juge que le requérant a subi un tort moral certain. Eu égard aux circonstances de la cause et statuant en équité comme le veut l'article 41 de la Convention, elle décide de lui octroyer la somme de 8 000 EUR.

B.  Frais et dépens

80.  S'appuyant sur une note d'honoraires, le requérant sollicite le remboursement de 8 745 EUR pour les frais encourus par lui devant la Commission et la Cour.

81.  Le Gouvernement s'en remet sur ce point à la sagesse de la Cour.

82.  La Cour décide qu'il convient d'accorder au requérant la somme (8 745 EUR) réclamée par lui pour la procédure devant la Commission et la Cour.

C.  Intérêts moratoires

83.  La Cour juge approprié de baser le taux des intérêts moratoires sur le taux d'intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.

PAR CES MOTIFS, LA COUR, À l'UNANIMITÉ,

1.  Rejette l'exception préliminaire du Gouvernement ;

 

2.  Dit qu'il y a eu violation de l'article 6 § 1 de la Convention ;

 

3.  Dit qu'il n'est pas nécessaire d'examiner s'il y a eu violation de l'article 13 de la Convention ;

 

4.  Dit qu'il n'est pas nécessaire d'examiner s'il y a eu violation de l'article 14 de la Convention ;

 

 

 

5.  Dit

 

a)  que l'Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l'arrêt sera devenu définitif conformément à l'article 44 § 2 de la Convention, 8 000 EUR (huit mille euros) pour dommage moral et 8 745 EUR (huit mille sept cent quarante-cinq euros) pour frais et dépens ;

b)  qu'à compter de l'expiration dudit délai et jusqu'au versement, ces montants seront à majorer d'un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;

 

6.  Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.

Fait en français, puis communiqué par écrit le 30 janvier 2003 en application de l'article 77 §§ 2 et 3 du règlement.

      Søren NIELSEN                                                             Christos ROZAKIS
        Greffier adjoint                                                                       Président

 

ESTRATTO DELLA SENTENZA DEL 31 GENNAIO 2003

AFFAIRE CORDOVA c. ITALIE (no 2)

 

(Requête no 45649/99)

omissis

II.  SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L'ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION

35.  Le requérant se plaint du manque d'équité de la procédure suivie devant la Cour de cassation. Il invoque l'article 6 § 1 de la Convention, qui, dans ses parties pertinentes, se lit comme suit :

« 1.  Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (...) par un tribunal (...) qui décidera (...) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (...) ».

1.  Les arguments des parties

a)  Le requérant

36.  Le requérant soutient que la décision d'annuler la condamnation de M. Sgarbi est fondée sur des erreurs de droit et dépendait en dernier ressort d'une délibération de la Chambre des députés, organe ne pouvant être considéré comme impartial.

37.  Il estime notamment que la délibération de la Chambre des députés du 22 octobre 1997 est clairement contraire à la lettre et à l'esprit de l'article 68 § 1 de la Constitution, puisqu'elle considère comme exprimées dans l'exercice des fonctions parlementaires des affirmations injurieuses adressées à un particulier dans le cadre d'une querelle de personnes.

38.  Il observe que, dans son affaire, la Cour de cassation – dont la décision était sans appel – a refusé de soulever un conflit entre pouvoirs de l'Etat, le privant ainsi d'un recours apte à protéger les victimes de déclarations diffamatoires de parlementaires. Il souligne par ailleurs que seule la jurisprudence la plus récente de la Cour constitutionnelle (arrêts nos 10, 11, 58 et 82 de 2000) reconnaît que l'immunité prévue à l'article 68 § 1 ne couvre que les opinions liées à l'exercice de fonctions parlementaires stricto sensu. En l'espèce, selon lui, les propos de M. Sgarbi n'avaient aucun rapport avec l'activité de parlementaire de leur auteur, mais visaient simplement à l'offenser et à l'insulter. Il considère qu'interpréter l'immunité parlementaire comme couvrant également ce type d'atteinte à la réputation d'autrui équivaudrait à octroyer aux sénateurs et aux députés une « autorisation d'insulter librement » (licenza per il libero insulto) pour des motifs personnels.

39.  Le requérant rappelle en outre que la délibération de la Chambre des députés du 22 octobre 1997, doublée du refus par la Cour de cassation de soulever un conflit entre pouvoirs de l'Etat, l'a privé de toute possibilité non seulement d'obtenir la condamnation de M. Sgarbi au pénal, mais aussi d'introduire au civil une action en réparation des dommages subis. Cette situation s'analyserait en une absence totale de contrôle de la justice sur les décisions prises par le Parlement.

b)  Le Gouvernement

40.  Le Gouvernement rappelle que l'immunité reconnue aux membres du Parlement pour leurs votes et opinions poursuit le but d'assurer aux représentants du peuple, dans l'exercice de leurs fonctions, la liberté d'expression la plus complète, en marge des limites imposées aux autres citoyens. Toute interférence avec cette liberté devrait être exclue.

41.  Ce principe serait d'ailleurs reconnu par toutes les démocraties parlementaires et devrait être considéré comme l'une des règles caractérisant les systèmes démocratiques, où règnent la séparation des pouvoirs et la prééminence du droit. Comme il ne serait pas raisonnable de croire qu'en signant la Convention les Hautes Parties contractantes ont souhaité y renoncer, sa compatibilité avec les droits fondamentaux de l'individu ne saurait être mise en question. Le Gouvernement se réfère, sur ce point, à la jurisprudence développée par la Commission dans les affaires X c. AutricheYoung c. Irlande et Ó'Faolain c. Irlande (voir, respectivement, les requêtes nos 3374/67, 25646/94 et 29099/95, décisions de la Commission des 4 février 1969 et 17 janvier 1996) et par la Cour dans l'affaire Fayed c. Royaume-Uni (voir l'arrêt du 21 septembre 1994, série A no 294-B).

42.  Le Gouvernement considère que, justifiée par son rattachement à une fonction prévue par la Constitution, l'immunité en question ne se heurte ni au principe de l'égalité des citoyens devant la loi ni à l'interdiction de la discrimination. Elle ne viserait ni à créer une catégorie « privilégiée » ni à permettre aux parlementaires de faire un usage arbitraire de leurs prérogatives. Elle poursuivrait au contraire le but légitime de permettre au Parlement de débattre librement et ouvertement sur toute question concernant la vie publique, sans que ses membres aient à craindre des persécutions ou de possibles conséquences sur le plan judiciaire.

43.  De plus, en cas de doute quant à l'applicabilité ou à l'étendue de l'immunité, les délibérations des chambres législatives adoptées en la matière pourraient être contestées par le pouvoir judiciaire devant la Cour constitutionnelle, compétente pour vérifier, dans chaque cas d'espèce, si les opinions incriminées ont été exprimées dans l'exercice de fonctions parlementaires. Pour décider de l'opportunité de saisir la Cour constitutionnelle, les juridictions judiciaires se prononceraient, au moins implicitement, sur le caractère correct et légitime de la délibération litigieuse. En tout état de cause, elle ne pourraient à elles seules priver le juge du fond du pouvoir d'examiner le différend.

44.  A la lumière de ce qui précède, le Gouvernement estime qu'aucune restriction du droit du requérant à un tribunal ne saurait être décelée en l'espèce. Garantissant la possibilité de saisir une autorité judiciaire pour faire statuer sur une contestation relative à un droit de caractère civil, ledit droit à un tribunal n'impliquerait pas l'obligation, pour le juge, de conduire le procès dans le sens souhaité par le demandeur ou d'écarter les questions préliminaires susceptibles d'empêcher une décision sur le fond. En l'espèce, le requérant a pu s'adresser à un tribunal et se constituer partie civile dans la procédure ouverte contre M. Sgarbi. L'affaire a ensuite été tranchée par trois juridictions successives. En dernier ressort, la Cour de cassation, après avoir soigneusement examiné la question, a estimé que l'interprétation retenue par la Chambre des députés était correcte et qu'un recours pour conflit entre pouvoirs de l'Etat n'offrait pas des chances raisonnables de succès.

45.  Le Gouvernement soutient par ailleurs qu'à supposer même que le requérant ait subi une atteinte à son droit d'accès à un tribunal, celle-ci a de toute façon été proportionnée au but légitime poursuivi, à savoir la liberté et la spontanéité des débats parlementaires. A cet égard, il observe qu'au moins à partir de 1997 (voir notamment les arrêts nos 265 et 375 de 1997, n289 de 1998, no 329 de 1999, nos 10, 11, 56, 58, 82, 320 et 420 de 2000, nos 137 et 289 de 2001, nos 50, 51, 52, 79 et 207 de 2002) la Cour constitutionnelle a annulé de nombreuses délibérations du Parlement concernant l'immunité en question au motif que les comportements dénoncés, même justifiés par une querelle de nature politique, ne présentaient aucun rapport avec les actes caractérisant la fonction parlementaire. Le type de contrôle exercé par la haute juridiction italienne dans le cadre des conflits entre pouvoirs de l'Etat constituerait donc un instrument de protection en faveur des citoyens victimes d'une infraction pénale commise par un député ou un sénateur que le Parlement aurait illégitimement estimée couverte par l'article 68 § 1 de la Constitution. La jurisprudence récente montrerait en outre que l'étendue de l'immunité parlementaire est maintenant soigneusement ajustée au but poursuivi, la Cour constitutionnelle tenant compte de l'importance de garantir une protection judiciaire des droits fondamentaux à l'honneur et à la réputation de ceux qui s'estiment offensés par les déclarations d'un parlementaire. Dans ces conditions, on ne saurait conclure que le droit des particuliers à un tribunal peut se trouver atteint dans sa substance même, s'agissant, tout au plus, d'une réglementation dudit droit rentrant dans la marge d'appréciation devant, en la matière, être reconnue aux Etats contractants.

46.  Le Gouvernement relève qu'il est vrai qu'un particulier ne peut ni saisir directement la Cour constitutionnelle ni obliger le juge du fond à le faire, mais seulement solliciter une décision en ce sens. Il estime toutefois que ce système ne peut passer pour contraire à la Convention, puisque le conflit entre pouvoirs de l'Etat vise à protéger la fonction de sauvegarde de la prééminence du droit dont le pouvoir judiciaire est investi. Par ailleurs, comme il ressort de l'arrêt de la Cour constitutionnelle no 76 de 2001, les parties privées peuvent intervenir dans la procédure devant la haute juridiction italienne.

47.  Le Gouvernement allègue enfin qu'à supposer même qu'une violation puisse s'être produite dans la présente affaire, elle ne peut être attribuée qu'à un dysfonctionnement ponctuel du système italien, qui offre normalement des garanties suffisantes et doit être réputé conforme à la Convention. En effet, si le conflit entre pouvoirs avait été soulevé, il est fort probable que la Cour constitutionnelle, au vu de sa jurisprudence, aurait annulé la délibération de la Chambre des députés du 22 octobre 1997.

2.  L'appréciation de la Cour

48.  Dans sa décision sur la recevabilité de la requête, la Cour a estimé que le grief tiré de l'article 6 de la Convention posait avant tout la question de savoir si le requérant avait pu exercer son droit d'accès à un tribunal (voir Golder c. Royaume-Uni, arrêt du 21 février 1975, série A no 18, pp. 17-18, §§ 35-36).

a)  Sur l'existence d'une ingérence dans l'exercice par le requérant de son droit d'accès à un tribunal

49.  La Cour rappelle que, d'après sa jurisprudence, l'article 6 § 1 consacre le « droit à un tribunal », dont le droit d'accès, à savoir le droit de saisir le tribunal en matière civile, ne constitue qu'un aspect (Osman c. Royaume-Uni, arrêt du 28 octobre 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998-VIII, p. 3166, § 136). Ce droit ne vaut que pour les « contestations » relatives à des « droits et obligations de caractère civil » que l'on peut dire, au moins de manière défendable, reconnus en droit interne (voir, entre autres, James et autres c. Royaume-Uni, arrêt du 21 février 1986, série A no 98, pp. 46-47, § 81, et Powell et Rayner c. Royaume-Uni, arrêt du 21 février 1990, série A no 172, p. 16, § 36).

50.  En l'espèce, la Cour relève que, s'estimant diffamé par les propos de M. Sgarbi, le requérant avait porté plainte à l'encontre du parlementaire en question et s'était constitué partie civile dans la procédure pénale qui avait par la suite été entamée. Dès lors, celle-ci portait sur un droit de caractère civil – à savoir le droit à la protection de sa réputation – dont le requérant pouvait, d'une manière défendable, se prétendre titulaire (voirTomasi c. France, arrêt du 27 août 1992, série A no 241-A, p. 43, § 121).

51.  La Cour note ensuite que, par sa délibération du 22 octobre 1997, la Chambre des députés a déclaré que les propos de M. Sgarbi étaient couverts par l'immunité consacrée par l'article 68 § 1 de la Constitution (voir les paragraphes 20 et 21 ci-dessus), ce qui empêchait de continuer toute procédure pénale ou civile visant à établir la responsabilité du parlementaire en question et à obtenir la réparation des dommages subis (voir le paragraphe 27 ci-dessus).

52.  Il est vrai que, comme l'affirme le Gouvernement, la légitimité de ladite délibération a fait l'objet d'un examen de la part de la Cour de cassation, qui, dans son arrêt du 6 mai 1998, a estimé qu'elle n'était ni arbitraire ni manifestement illogique et que la Chambre des députés n'avait pas outrepassé ses pouvoirs (voir les paragraphes 23-25 ci-dessus).

53.  On ne saurait toutefois comparer une telle appréciation à une décision sur le droit du requérant à la protection de sa réputation, ni considérer qu'un degré d'accès au juge limité à la faculté de poser une question préliminaire suffisait pour assurer au requérant le « droit à un tribunal », eu égard au principe de la prééminence du droit dans une société démocratique (voir, mutatis mutandisWaite et Kennedy c. Allemagne[GC], no 26083/94, § 58, CEDH 1999-I). A ce sujet, il convient de rappeler que l'effectivité du droit en question demande qu'un individu jouisse d'une possibilité claire et concrète de contester un acte portant atteinte à ses droits (voir Bellet c. France, arrêt du 4 décembre 1995, série A no 333-B, p. 42, § 36). Dans la présente affaire, à la suite de la délibération du 22 octobre 1997, doublée du refus par la Cour de cassation de soulever un conflit entre pouvoirs de l'Etat devant la Cour constitutionnelle, les condamnations prononcées contre M. Sgarbi en première et en deuxième instance ont été annulées, et le requérant s'est vu priver de la possibilité d'obtenir quelque forme de réparation que ce soit pour son préjudice allégué.

54.  Dans ces conditions, la Cour considère que le requérant a subi une atteinte à son droit d'accès à un tribunal.

55.  Elle rappelle de surcroît que ce droit n'est pas absolu, mais peut donner lieu à des limitations implicitement admises. Néanmoins, ces limitations ne sauraient restreindre l'accès ouvert à l'individu d'une manière ou à un point tels que le droit s'en trouve atteint dans sa substance même. En outre, elles ne se concilient avec l'article 6 § 1 que si elles poursuivent un but légitime et s'il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, parmi beaucoup d'autres, Khalfaoui c. France, no 34791/97, §§ 35-36, CEDH 1999-IX, et Papon c. France, no 54210/00, § 90, 25 juillet 2002, non publié ; voir également le rappel des principes pertinents dans Fayed c. Royaume-Uni, arrêt du 21 septembre 1994, série A no294-B, pp. 49-50, § 65).

b)  But de l'ingérence

56.  La Cour relève que le fait pour les Etats d'accorder généralement une immunité plus au moins étendue aux parlementaires constitue une pratique de longue date, qui vise à permettre la libre expression des représentants du peuple et à empêcher que des poursuites partisanes puissent porter atteinte à la fonction parlementaire. Dans ces conditions, la Cour estime que l'ingérence en question, qui était prévue par l'article 68 § 1 de la Constitution, poursuivait des buts légitimes, à savoir la protection du libre débat parlementaire et le maintien de la séparation des pouvoirs législatif et judiciaire (voir A. c. Royaume-Uni, no 35373/97, §§ 75-77, 17 décembre 2002).

57.  Il reste à vérifier si les conséquences subies par le requérant étaient proportionnées aux buts légitimes visés.

c)  Proportionnalité de l'ingérence

58.  La Cour doit apprécier la restriction litigieuse à la lumière des circonstances particulières de l'espèce (voir Waite et Kennedy c. Allemagne, précité, § 64). Elle rappelle à cet égard qu'il lui incombe non pas d'examiner in abstracto la législation et la pratique pertinentes, mais de rechercher si la manière dont elles ont touché le requérant a enfreint la Convention (voir, mutatis mutandisPadovani c. Italie, arrêt du 26 février 1993, série A no 257-B, p. 20, § 24). En particulier, la Cour n'a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes. C'est au premier chef aux autorités nationales, notamment aux cours et tribunaux, qu'il incombe d'interpréter la législation interne (voir, entre autres, Pérez de Rada Cavanilles c. Espagne, arrêt du 28 octobre 1998, Recueil 1998-VIII, p. 3255, § 43). Le rôle de la Cour se limite à vérifier la compatibilité avec la Convention des effets de pareille interprétation.

59.  La Cour observe que lorsqu'un Etat reconnaît une immunité aux membres de son Parlement, la protection des droits fondamentaux peut s'en trouver affectée. Toutefois, il serait contraire au but et à l'objet de la Convention que les Etats contractants, en adoptant l'un ou l'autre des systèmes normalement utilisés pour assurer une immunité aux membres du Parlement, soient ainsi exonérés de toute responsabilité au regard de la Convention dans le domaine d'activité concerné. Il y a lieu de rappeler que la Convention a pour but de protéger des droits non pas théoriques ou illusoires, mais concrets et effectifs. La remarque vaut en particulier pour le droit d'accès aux tribunaux, vu la place éminente que le droit à un procès équitable occupe dans une société démocratique (voir Aït-Mouhoub c. France, arrêt du 28 octobre 1998, Recueil 1998-VIII, p. 3227, § 52). Il serait incompatible avec la prééminence du droit dans une société démocratique et avec le principe fondamental qui sous-tend l'article 6 § 1, à savoir que les revendications civiles doivent pouvoir être portées devant un juge, qu'un Etat pût, sans réserve ou sans contrôle des organes de la Convention, soustraire à la compétence des tribunaux toute une série d'actions civiles ou exonérer de toute responsabilité des catégories de personnes (voir Fayed c. Royaume-Uni, précité, ibidem).

60.  La Cour rappelle que, précieuse pour chacun, la liberté d'expression l'est tout particulièrement pour un élu du peuple ; il représente les électeurs, signale leurs préoccupations et défend leurs intérêts. Dans une démocratie, le Parlement ou les organes comparables sont des tribunes indispensables au débat politique. Une ingérence dans la liberté d'expression exercée dans le cadre de ces organes ne saurait donc se justifier que par des motifs impérieux (Jerusalem c. Autriche, no 26958/95, §§ 36 et 40, CEDH 2001‑II).

61.  On ne peut dès lors, de façon générale, considérer l'immunité parlementaire comme une restriction disproportionnée au droit d'accès à un tribunal tel que le consacre l'article 6 § 1. De même que ce droit est inhérent à la garantie d'un procès équitable assurée par cet article, de même certaines restrictions à l'accès doivent être tenues pour lui être inhérentes ; on en trouve un exemple dans les limitations généralement admises par les Etats contractants comme relevant de la doctrine de l'immunité parlementaire (voir A. c. Royaume-Uni, précité, § 83, et, mutatis mutandisAl-Adsani c. Royaume-Uni [GC], no 35763/97, § 56, CEDH 2001-XI).

62.  A cet égard, il convient de rappeler que la Cour a estimé compatible avec la Convention une immunité qui couvrait les déclarations faites au cours des débats parlementaires au sein des chambres législatives et tendait à la protection des intérêts du Parlement dans son ensemble, par opposition à ceux de ses membres pris individuellement (voir A. c. Royaume-Uni, précité, §§ 84-85).

63.  La Cour relève toutefois en l'occurrence que, prononcées au cours d'une réunion électorale et donc en dehors d'une chambre législative, les déclarations litigieuses de M. Sgarbi n'étaient pas liées à l'exercice de fonctions parlementaires stricto sensu, paraissant plutôt s'inscrire dans le cadre d'une querelle entre particuliers. Or, dans un tel cas, on ne saurait justifier un déni d'accès à la justice par le seul motif que la querelle pourrait être de nature politique ou liée à une activité politique.

64.  De l'avis de la Cour, l'absence d'un lien évident avec une activité parlementaire appelle une interprétation étroite de la notion de proportionnalité entre le but visé et les moyens employés. Il en est particulièrement ainsi lorsque les restrictions au droit d'accès découlent d'une délibération d'un organe politique. Conclure autrement équivaudrait à restreindre d'une manière incompatible avec l'article 6 § 1 de la Convention le droit d'accès à un tribunal des particuliers chaque fois que les propos attaqués en justice ont été émis par un membre du Parlement.

65.  Aussi la Cour estime-t-elle en l'espèce que la décision d'annuler les jugements favorables au requérant et de paralyser toute autre action tendant à assurer la protection de sa réputation n'a pas respecté le juste équilibre qui doit exister en la matière entre les exigences de l'intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l'individu.

66.  La Cour attache également de l'importance au fait qu'après la délibération de la Chambre des députés du 22 octobre 1997 le requérant ne disposait pas d'autres voies raisonnables pour protéger efficacement ses droits garantis par la Convention (voir, a contrarioWaite et Kennedy c. Allemagne, précité, §§ 68-70, et A. c. Royaume-Uni, précité, § 86). En effet, le refus par la Cour de cassation de soulever un conflit entre pouvoirs de l'Etat a empêché la Cour constitutionnelle de se prononcer sur la compatibilité entre la délibération litigieuse et les attributions du pouvoir judiciaire. A cet égard, il convient de noter que la jurisprudence de la Cour constitutionnelle a connu sur ce point une certaine évolution, et qu'à présent la haute juridiction italienne estime illégitime que l'immunité soit étendue à des propos n'ayant pas de correspondance substantielle avec des actes parlementaires préalables dont le représentant concerné pourrait passer pour s'être fait l'écho (voir les paragraphes 30, 31 et 45 ci-dessus).

67.  Au vu de ce qui précède, la Cour conclut qu'il y a eu violation du droit d'accès à un tribunal garanti au requérant par l'article 6 § 1 de la Convention.

III.  SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L'ARTICLE 13 DE LA CONVENTION

68.  Le requérant estime que le prononcé d'un non-lieu à l'égard de M. Sgarbi a également violé l'article 13 de la Convention, qui se lit ainsi :

« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (...) Convention ont été violés, a droit à l'octroi d'un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l'exercice de leurs fonctions officielles. »

69.  Le requérant considère que l'application du système italien d'immunités et prérogatives l'a privé d'une protection juridictionnelle efficace. Il se plaint en outre de l'impossibilité pour le justiciable italien de saisir directement la Cour constitutionnelle.

70.  Le Gouvernement estime que le grief tiré de l'article 13 doit être considéré comme absorbé par celui soulevé sous l'angle de l'article 6 § 1. En tout état de cause, se référant aux arguments développés sur le terrain du droit d'accès au tribunal, il soutient que cette disposition n'a pas été violée. Il observe également que l'affaire du requérant a été examinée par trois juridictions et qu'on ne saurait faire découler de l'article 13 de la Convention une obligation pour l'Etat de prévoir une voie de recours contre les décisions définitives rendues par la Cour de cassation ou de garantir aux justiciables un accès direct à la Cour constitutionnelle.

71.  La Cour note que le grief soulevé par le requérant sur le terrain de l'article 13 concerne les même faits que ceux déjà examinés sous l'angle de l'article 6 § 1 de la Convention. De plus, il y a lieu de rappeler que lorsqu'une question d'accès à un tribunal se pose, les garanties de l'article 13 sont absorbées par celles de l'article 6 (Brualla Gómez de la Torre c. Espagne, arrêt du 19 décembre 1997, Recueil 1997-VIII, § 41).

72.  Dès lors, la Cour estime qu'il n'y a pas lieu d'examiner s'il y a eu violation de l'article 13 de la Convention (voir Posti et Rahko c. Finlande, no 27824/95, § 89, 24 septembre 2002, non publié).

IV.  SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L'ARTICLE 14 DE LA CONVENTION

73.  Le requérant allègue que M. Sgarbi, en sa qualité de membre du Parlement, a pu exercer son droit à la liberté d'expression bien au-delà des limites qui sont normalement imposées aux autres citoyens, ce au détriment de ses droits fondamentaux à l'honneur et à la réputation. Il invoque l'article 14 de la Convention, ainsi libellé :

« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (...) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l'origine nationale ou sociale, l'appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »

74.  Le requérant soutient que l'immunité indûment reconnue à M. Sgarbi s'analyse en une grave discrimination devant la loi, qui a transformé une prérogative en un privilège injustifié. Il se dit « victime » de cet état de choses dans la mesure où, lésé dans son droit à l'honneur, il n'a pu obtenir réparation devant les juridictions nationales.

75.  Le Gouvernement observe que les députés ne se trouvent pas dans une situation comparable à celle des autres particuliers et que l'étendue de la liberté d'expression qui leur est reconnue se justifie par la nécessité de protéger la liberté des débats parlementaires. Quoi qu'il en soit, il considère que le requérant ne peut être réputé victime d'une « discrimination » qui concerne la généralité des citoyens.

76.  La Cour estime, au vu de la conclusion à laquelle elle est parvenue sous l'angle de l'article 6 § 1 de la Convention (voir paragraphe 67 ci-dessus), qu'il ne s'impose pas d'examiner séparément le grief du requérant sous l'angle de l'article 14 de la Convention.

V.  SUR L'APPLICATION DE L'ARTICLE 41 DE LA CONVENTION

77.  Aux termes de l'article 41 de la Convention,

« Si la Cour déclare qu'il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d'effacer qu'imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s'il y a lieu, une satisfaction équitable. »

A.  Dommage

78.  Le requérant allègue avoir subi un tort moral et sollicite l'octroi d'une somme non inférieure à 50 000 euros (EUR).

79.  Le Gouvernement estime qu'un arrêt concluant à la violation de la Convention constituerait en soi une satisfaction équitable suffisante.

80.  La Cour juge que le requérant a subi un tort moral certain. Eu égard aux circonstances de la cause et statuant en équité comme le veut l'article 41 de la Convention, elle décide de lui octroyer la somme de 8 000 EUR.

B.  Frais et dépens

81.  S'appuyant sur une note d'honoraires, le requérant sollicite le remboursement de 8 745 EUR pour les frais encourus par lui devant la Commission et la Cour.

82.  Le Gouvernement s'en remet sur ce point à la sagesse de la Cour.

83.  La Cour observe que la présente affaire est similaire à l'affaire Cordova no 1 (requête no 40877/98), dans laquelle le requérant a été représenté devant les organes de la Convention par le même avocat. Les deux affaires ont été traitées conjointement lors de l'audience devant la Cour, et les questions juridiques adressées dans la formule de requête et dans les mémoires présentés à Strasbourg coïncidaient largement. La préparation de la présente requête ayant été facilitée par l'introduction préalable de la requête no 40877/98, la Cour décide d'accorder au requérant 5 000 EUR pour les frais et dépens exposés par lui devant la Commission et la Cour.

C.  Intérêts moratoires

84.  La Cour juge approprié de baser le taux des intérêts moratoires sur le taux d'intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.

PAR CES MOTIFS, LA COUR, À l'UNANIMITÉ,

1.  Dit qu'il n'est pas nécessaire d'examiner l'exception préliminaire du Gouvernement ;

 

2.  Dit qu'il y a eu violation de l'article 6 § 1 de la Convention ;

 

3.  Dit qu'il n'est pas nécessaire d'examiner s'il y a eu violation de l'article 13 de la Convention ;

 

4.  Dit qu'il n'est pas nécessaire d'examiner s'il y a eu violation de l'article 14 de la Convention ;

 

 

5.  Dit

a)  que l'Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l'arrêt sera devenu définitif conformément à l'article 44 § 2 de la Convention, 8 000 EUR (huit mille euros) pour dommage moral et 5 000 EUR (cinq mille euros) pour frais et dépens ;

b)  qu'à compter de l'expiration dudit délai et jusqu'au versement, ces montants seront à majorer d'un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;

 

6.  Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.

Fait en français, puis communiqué par écrit le 30 janvier 2003 en application de l'article 77 §§ 2 et 3 du règlement.

      Søren NIELSEN                                                             Christos ROZAKIS
        Greffier adjoint                                                                       Président