sentenza 3 agosto 2000

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo CASO  G.L contro ITALIA
SENTENZA del 03 agosto 2000 Ricorso n° 22671/93  Violazione dell'articolo  1 del Protocollo n. 1 (protezione della proprietà) della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, Violazione del diritto di accesso ad un tribunale (articolo 6 della Convenzione) per la durata di oltre  dodici anni  di una procedura esecutiva di sfratto. Liquidazione di lire 47.600.000 (quarantasette milioni seicentomila) per danno materiale e di lire 20.000.000 (ventimilioni) per danno morale  e di lire 1.135.670 per spese legali.

 

 Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

CASO G.L  contro ITALIA

SENTENZA del 03 agosto 2000 Ricorso n° 22671/93

 

La sentenza così motiva

(traduzione non ufficiale a cura della Dott.ssa Laura De Fazio)

SECONDA SEZIONE

Sentenza del 03 agosto 2000
sul ricorso n° 22671/93
presentato da G.L.
contro l’ Italia

Nel caso  G.L contro ITALIA, La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, (seconda sezione), riunitasi  in una camera composta da:   C.L ROZAKIS, presidente, A.B BAKA, L. FERRARI BRAVO, G. BONELLO, P. LORENZEN, M. TSATSA-NIKOLOVSKA, E. LEVITS, giudici, e da E. FRIBERGH, cancelliere di sezione,  Dopo averla deliberata, in camera di consiglio l’ 11 luglio 2000, rende la seguente sentenza adottata  in questa data:

PROCEDURA

1. All'origine del caso vi è un ricorso (n. 22671/93) proposto contro l’Italia presentato alla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo (“la Commissione”) in virtù del vecchio art. 25 della Convenzione per la Protezione dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (“la Convenzione”) da parte di un cittadino italiano, il Sig. G.L. (“il ricorrente”), il 03 maggio 1993.

2. Il Governo Italiano era rappresentato dal suo Agente Sig. U. Lenza e dal suo Co-agente, Sig. V. Esposito.

3. Il ricorrente asseriva che la prolungata impossibilità di riprendere possesso del proprio appartamento, dovuta alla realizzazione di previsioni legislative di emergenza circa la locazione di proprietà residenziali, violava il suo diritto ex art. 1 del Protocollo n. 1. Inoltre, invocando l’art. 6 § 1 della Convenzione, si lamentava della durata della procedura di sfratto.

4. La Commissione ha dichiarato il ricorso ammissibile il 17 gennaio 1997 e lo ha trasmesso alla Corte il 1 novembre 1999 in conformità all’art. 5 § 3, secondo capoverso, del Protocollo N. 11 della Convenzione, non avendo la Commissione completato l’esame del caso in quella data.

5. Il ricorso è stato assegnato alla Seconda Sezione della Corte (articolo 52 § 1 del Regolamento della Corte). All’interno della Sezione, la Camera che avrebbe esaminato il caso (art. 27 § 1 della Convenzione) era costituita secondo quanto previsto nell’articolo 26 § 1 del Regolamento della Corte.

 

IN FATTO

 

I. Circostanze del caso

 

6. Il ricorrente era proprietario di un appartamento a Milano, che aveva dato in locazione ad un prezzo esiguo in ottemperanza ad una legge di controllo degli affitti del 1969 (equo canone). L’inquilino era proprietario di un negozio ed  era negoziante insieme alla famiglia.

7. Il 18 novembre 1985, il ricorrente notificava intimazione di sfratto all’inquilino per finita locazione scadendo il contratto il 28 dicembre 1988, ma l’affittuario si rifiutava di lasciare la proprietà.

8. In un ordine notificato al conduttore il 22 gennaio 1988, il ricorrente reiterava l’intimazione di sfratto e invitava l’affittuario a comparire di fronte al Tribunale di Milano. Con decisione del 1 febbraio 1988, divenuta esecutiva il 22 febbraio 1988, il giudice convalidava lo sfratto ed ordinava il rilascio della proprietà dal 1 settembre 1989.

9. Il 25 agosto 1989, il ricorrente notificava all’affittuario l’ordinanza di rilascio della proprietà. Il 6 novembre 1989, intimava all’inquilino informandolo che l’ordinanza di rilascio sarebbe stata messa in esecuzione per il tramite  dell’ufficiale giudiziario il 13 novembre 1989.

10. Il 13 novembre 1989, l’ufficiale giudiziario rimandava lo sfratto al 19 gennaio 1990, in seguito alle istruzioni del Prefetto di Milano del 8 maggio 1989.  Ulteriori tentativi di sfrattare il conduttore il 20 febbraio, il 7 aprile e il 15 novembre 1990 non ebbero successo.

11. Il 15 settembre 1992, il ricorrente notificava al conduttore una seconda ordinanza di rilascio dell’appartamento. Il 28 ottobre 1992, intimava all’inquilino informandolo che l’ordinanza di rilascio  sarebbe stata messa in esecuzione per il tramite   dell’ufficiale giudiziario il 20 novembre 1992. I tentativi dell’ufficiale giudiziario del 20 novembre 1992 e del 25 febbraio 1993 non ebbero successo poiché, secondo le previsioni legislative riguardanti gli sfratti scaglionati, il ricorrente non aveva diritto all’assistenza della forza pubblica per  mettere in esecuzione la sua ordinanza di rilascio.

12. Il 20 settembre 1993, il ricorrente faceva una dichiarazione in cui precisava di avere l’urgente necessità della proprietà come alloggio per il figlio.

13. Tra il 14 ottobre 1993 ed il 28 novembre 1996, l’ufficiale giudiziario faceva 14 tentativi per recuperare il possesso, 14 ottobre 1993, 18 gennaio 1994, 12 aprile 1994, 28 giugno 1994, 18 ottobre 1994, 31 gennaio 1995, 13 aprile 1995, 18 luglio 1995, 26 settembre 1995, 19 dicembre 1995, 14 marzo 1996, 28 maggio 1996, 26 settembre 1996 e 28 novembre 1996.

14. Ogni tentativo falliva, poiché al ricorrente non veniva mai concessa l’assistenza della forza pubblica per  mettere in esecuzione  la sua ordinanza di rilascio.

15. Il 16 febbraio 1997, il conduttore spontaneamente lasciava la proprietà.

ii Il diritto interno pertinente

16. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Immobiliare Saffi/Italia (GC) N° 22774/93, 28.7.99, §§ 18-35, echr 1999-V, da pubblicare.

IN DIRITTO

 

I.  Pretesa violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1

 

17. Il ricorrente lamentava la prolungata impossibilità di riprendere possesso del proprio appartamento, dovuta alla realizzazione di previsioni legislative di emergenza circa la locazione di proprietà residenziali. Eccepiva la violazione dell’art. 1 del Protocollo N. 1 della Convenzione, che stabilisce:

Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale

            Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”

 

A.     Legge applicabile

18. In relazione ad un caso precedentemente esaminato, la Corte ritiene che la limitazione nell’esercizio del diritto di proprietà dell’attore rilevava sotto il controllo dell’uso dei beni e ricade nella previsione del secondo paragrafo dell’art. 1 (vedi  sentenza  Immobiliare Saffi sopra citata, § 46).

 

                B. Conformità con le previsioni del secondo paragrafo

 

1.      Scopo dell’ingerenza

 

19. La Corte ha precedentemente espresso l’opinione secondo cui la legge impugnata aveva come scopo legittimo l’interesse generale, come richiesto dal secondo paragrafo dell’art. 1 (vedi sentenza Immobiliare Saffi sopra citata, § 48).

2.      Proporzionalità dell’ingerenza

20. La Corte ripeteva che un’ingerenza, così come previsto dal secondo paragrafo dell’art. 1 del Protocollo n. 1, deve realizzare un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale e la necessità di proteggere i diritti fondamentali individuali.

Ci deve essere una ragionevole relazione di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito.

Nel determinare se questa esigenza sia stata raggiunta, la Corte riconosce che lo Stato gode di un largo margine di apprezzamento in riferimento sia alla scelta dei mezzi di applicazione  e sia all’accertamento se le conseguenze dell’applicazione siano giustificate dall’interesse generale per il proposito di conseguire l’oggetto della legge in questione. Nella materia come quella degli alloggi che gioca un ruolo centrale nelle politiche sociali ed economiche delle società moderne, la Corte rispetterà il giudizio della legislatura come manifestazione dell’interesse generale, salvo che il giudizio sia manifestamente senza un ragionevole fondamento (vedi sentenza  Immobiliare Saffisopra citata, § 49 e sentenza Chassagnou e altri c. Francia n. 25088/94, § 75, ECHR-III).

21. Il ricorrente replicava che l’ingerenza in questione non era proporzionata, in vista della durata e del carico finanziario risultante dall’impossibilità di aumentare il canone.  Questi inoltre sosteneva che le autorità pubbliche non avevano mai preso in considerazione le condizioni economiche dei conduttori, spesso migliori di quelle dei locatori.

22. La Corte considera che, in teoria, il sistema italiano di scaglionare l’esecuzione delle ordinanze dei tribunali non è di per sé oggetto di critica, avendo riguardo in particolare al margine di apprezzamento permesso dal secondo paragrafo dell’art. 1. Tuttavia, tale sistema porta con sé il rischio di imporre ai locatori un eccessivo carico, in relazione alla loro capacità di disporre dei propri beni e deve, di conseguenza, prevedere alcune protezioni procedurali tali da assicurare che l’azione del sistema ed il suo impatto sui diritti di proprietà dei locatori non siano né arbitrari né imprevedibili (vedi mutatis, mutandis, sentenza  Immobiliare Saffi sopra citata, § 54).

23. La Corte deve perciò accertare se, nel caso de quo, al ricorrente fossero state offerte sufficienti garanzie come quelle di essere protetto contro l’incertezza e l’arbitrio.

24. La Corte osserva che il ricorrente ottenne un’ordinanza di rilascio il 1 febbraio 1988, che divenne esecutiva il 22 febbraio 1988 (vedi sopra paragrafo 8). Dal 13 novembre 1989 al 25 febbraio 1993, i tentativi dell’ufficiale giudiziario non ebbero successo, inizialmente a causa della legge che sospendeva l’esecuzione delle ordinanze di rilascio non urgenti e successivamente della legge riguardanti gli sfratti scaglionati (vedi sopra paragrafi 10-11). Quindi, il 20 settembre 1993, il ricorrente fece una dichiarazione affermando di avere urgente necessità dell’immobile come alloggio per il figlio (vedi sopra paragrafo 12). Nonostante avesse il diritto di precedenza nell’assistenza della forza pubblica, poté riprendere possesso del proprio appartamento tre anni e cinque mesi dopo e solo perché il conduttore lo lasciò spontaneamente il 16 febbraio 1997.

25. Per circa sei anni e tre mesi, il ricorrente fu lasciato in uno stato di incertezza su quando avrebbe ripreso possesso dell’appartamento. Fino al 20 settembre 1993, non poté rivolgersi né al giudice incaricato della procedura forzata né al tribunale amministrativo, che non avrebbe potuto mettere da parte la decisione del prefetto, di dare priorità ai casi pendenti ed urgenti, perché la decisione era interamente legittima (vedi  sentenza  Immobiliare Saffi sopra citata, § 56). Dopo aver fatto la dichiarazione che gli dava la priorità, nonostante fossero soddisfatte le condizioni della dichiarazione per l’esecuzione forzata dello sfratto (vedi sentenza Scollo contro Italia, 28 settembre 1994, Serie A 315-C, § 39), il ricorrente non aveva prospettiva di accelerare l’assistenza della forza pubblica, che dipendeva quasi interamente dalla disponibilità degli agenti di polizia. Inoltre, il ricorrente non aveva prospettive di ottenere alcun indennizzo da parte delle autorità giudiziarie italiane per la sua protratta attesa.

26. Alla luce dei precedenti, la Corte considera che, nelle particolari circostanze di questo caso, un eccessivo carico fu imposto al ricorrente e l’equilibrio che deve esserci tra la  tutela del diritto al rispetto dei beni e le esigenze dell’interesse generale, si è rotto in danno del ricorrente.

Conseguentemente, c’è stata una violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N. 1.

 

II. PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

 

27. Il ricorrente inoltre lamentava una violazione dell’Articolo 6 § 1 della Convenzione, la cui parte rilevante prevede:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) che deciderà (…) delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…) 

 

28. La Corte osserva che il ricorrente aveva originariamente fatto affidamento sull’Articolo 6 connesso con la sua doglianza riguardo alla durata del procedimento di esecuzione forzata. La Corte nondimeno considera che il caso in questione debba essere prima esaminato, in connessione con il diritto generale ad un tribunale.

 

A.     Se l’Articolo 6 è applicabile

 

29. Il Governo sosteneva che il programma scaglionato di assistenza della forza pubblica non era parte della procedura forzata dell’ordinanza di rilascio, poiché l’intervento della polizia era una questione amministrativa, interamente separata ed indipendente dal procedimento giudiziario. Il Governo sottolineava a tal riguardo che  non rientrava nei  loro poteri come ufficiali del tribunale e che i prefetti erano competenti a scaglionare gli sfratti, ma  come parte dei loro doveri essendo un’autorità amministrativa  responsabile di mantenere l’ordine pubblico. A causa dello speciale scopo, l’assistenza della polizia non può essere considerata meramente come un mezzo per dare esecuzione alle sentenze, e che è disponibile automaticamente: piuttosto, la sua funzione è di proteggere gli interessi generali preponderanti. Questa fase amministrativa non può dirsi che rientri nel campo dell’Articolo 6.

30. La Corte ricorda che è già stato considerato che l’Articolo 6 della Convenzione sia applicabile nei procedimenti di sfratto del conduttore (vedi sentenza Immobiliare Saffisopra citata §§ 62-63). Non avendo il Governo presentato nuove argomentazioni a sostegno delle sue eccezioni, la Corte rimane della sua opinione precedente. Questa eccezione pertanto deve essere rigettata.

 

B. Conformità con l’Articolo 6

1. Il ricorrente lamentava che aveva dovuto attendere nove anni per riprendere possesso del suo appartamento dopo l’ordinanza del Magistrato.

Inoltre, sosteneva che nonostante avesse fatto una dichiarazione perché richiedeva urgentemente la proprietà come alloggio per il figlio, aveva dovuto attendere approssimativamente tre anni e cinque mesi dalla dichiarazione per riprendere possesso dell’appartamento.

32. La Corte nota che il locatore non può mettere in esecuzione l’ordinanza di rilascio contro il conduttore fino al giorno in cui il magistrato, avuto riguardo di entrambe le necessità del locatore e del conduttore e le ragioni dello sfratto, interviene con l’ordinanza. Il periodo massimo di sospensione dell’esecuzione è fissato dalla legge in sei ed in casi eccezionali dodici mesi dopo i quali al locatore deve essere permesso di mettere in esecuzione l’ordinanza. Il Magistrato di Milano aveva stabilito che il ricorrente sarebbe stato autorizzato a  mettere in esecuzione l’ordinanza dal 1 settembre 1989.

33. La Corte reitera che il diritto ad un processo come garantito dall’Articolo 6 protegge anche la realizzazione delle finali, decisioni giudiziarie vincolanti, che, in Stati che accettano il primato del diritto, non può rimanere non operativo a detrimento di una parte (vedi mutatis mutandis, sentenza Hornsby c.Grecia del 19 marzo 1997,Rapporti su Sentenze e Decisioni 1997-II, p. 510, § 40). Di conseguenza, l’esecuzione di una decisione giudiziaria non può essere eccessivamente ritardata.

34. Il Governo sosteneva che nonostante che ai prefetti, quali ufficiali del tribunale, fosse richiesto di prestare assistenza per l’esecuzione di decisioni del tribunale, a questi era concesso il diritto, nella loro capacità di autorità amministrativa responsabile di mantenere l’ordine pubblico, di rifiutare le richieste di assistenza della polizia qualora la condizione di ciò minacciasse un serio disturbo all’ordine pubblico. Il fatto che questi avessero un tale potere non comportava un diniego al diritto ad un tribunale come garantito dall’Articolo 6 § 1 della Convenzione, perché i prefetti erano tenuti a conformarsi ai criteri generali e le loro decisioni erano soggette ad una revisione giudiziale.

2.  La Corte accetta che la sospensione dell’esecuzione di una decisione giudiziale, per un periodo che è strettamente necessario a rendere possibile una soluzione soddisfacente alle problematiche dell’ordine pubblico, deve essere giustificata in circostanze eccezionali.

3.  Il presente caso, però, non concerne, come il Governo sembra suggerire, un rifiuto isolato del prefetto di prestare l’assistenza della polizia, a causa di un serio disturbo all’ordine pubblico.

37. Nel caso in questione, l’esecuzione dell’ordinanza veniva sospesa fino a gennaio 1990 come conseguenza di un’intervenuta legislazione, che aveva riaperto la decisione del magistrato in riferimento alla data in cui al conduttore era richiesto di lasciare la proprietà. Per un periodo superiore a tre anni dal 1 gennaio 1990 fino al 20 settembre 1993, quando il ricorrente fece una dichiarazione richiedendo la proprietà per suo figlio, l’esecuzione dell’ordinanza di rilascio in suo favore fu posposta una serie di volte (vedi paragrafi 10-11 sopra).  La legislazione, presumendo che il rischio, notato nel 1984, di serie rotture dell’ordine pubblico rimanesse – poiché un buon numero di sfratti dovevano essere eseguiti nello stesso momento – conferì un potere, e possibilmente un dovere, ai prefetti, come autorità responsabile di mantenere l’ordine pubblico, di intervenire sistematicamente nell’esecuzione delle ordinanze di rilascio, mentre si definiva lo scopo del potere conferito loro.

38. Anche dopo aver fatto la dichiarazione, al ricorrente non venne assicurata l’assistenza della polizia. Invero, l’inquilino non fu mai sfrattato poiché il ricorrente recuperò il suo appartamento solo dopo che l’inquilino lo lasciò spontaneamente.

39. La Corte nota, in primo luogo, che il rinvio della data in cui l’immobile doveva essere liberato, rese vana la decisione del magistrato di Milano del 1 febbraio 1988 sul quel punto. Dovrebbe essere notato in questa connessione, che la decisione su quando la forza pubblica dovrebbe essere fornita si basa sugli stessi fattori – la situazione del locatore e conduttore, e le ragioni dello sfratto – di quelli che il magistrato prende in considerazione ai sensi dell’art. 56 Legge 392/78.

40. Inoltre, la Corte osserva che la valutazione se sia appropriato successivamente sospendere l’esecuzione dell’ordine di rilascio e quindi de facto prolungare il contratto di locazione, non è soggetta ad un effettivo esame da parte del tribunale, giacché lo scopo dell’esame giudiziario sulla decisione del prefetto è limitato a verificare se questi si è conformato ai criteri governanti l’ordine di priorità.

41. In conclusione, mentre potrebbe accettarsi che gli Stati membri possano, in circostanze eccezionali e, come in questo caso, utilizzando il loro margine di apprezzamento per controllare l’uso dei beni, intervenire in procedimenti per l’esecuzione di una decisione giudiziaria, la conseguenza di un tale intervento non dovrebbe consistere nel prevenire, invalidare o ritardare eccessivamente l’esecuzione o, ancora meno, che la sostanza della decisione sia  compromessa.

Nel caso in questione, come spiegato dalla Corte nei paragrafi 24-25 sopra in relazione alla doglianza sull’Articolo 1 del Protocollo No. 1, la legislazione impugnata rese vana la decisione del Magistrato di Milano del 1 febbraio 1988. Inoltre, dal momento in cui il prefetto divenne l’autorità responsabile di determinare quando l’ordinanza di rilascio doveva essere messa in esecuzione, e alla luce del fatto che le decisioni di questi non erano soggette ad un effettivo controllo giudiziario, il ricorrente fu privato del suo diritto ex Articolo 6 § 1 della Convenzione di instaurare una controversia contro il conduttore decisa dal tribunale. Questa situazione è incompatibile con il principio del primato del diritto.

Di conseguenza, c’è stata una violazione dell’Articolo 6 § 1 della Convenzione.

42. Riguardo alla doglianza sulla lunghezza del processo, la Corte considera che debba essere considerato come assorbito dalla precedente doglianza.

III.  APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

4.  L’Articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte ravvisa che vi è stata una violazione della Convenzione o dei Protocolli allegati, e se la normativa nazionale dello Stato membro in questione permette solo una parziale riparazione, la Corte potrà, se necessario, riconoscere un’equa soddisfazione solo alla parte lesa.”

A.   Danno patrimoniale

5.  Il ricorrente chiede come riparazione del danno patrimoniale subito un importo pari a 47.600.000 in lire italiane (ITL), risultanti dalla perdita del canone di locazione per il periodo compreso tra il 8 agosto 1992 (data di entrata in vigore della legge che ha liberalizzato il prezzo dei canoni di locazione) e il 16 febbraio 1997.

45. Il Governo ammette che al ricorrente sia riconosciuto il danno in cui è incorso per la perdita del canone di locazione pari a 47.000.000 ITL.

In riferimento al danno patrimoniale, la Corte ritiene che al ricorrente vada riconosciuto un indennizzo per il danno patrimoniale subito a causa della perdita del canone di locazione (vedi sentenza Immobiliare Saffi sopra citata, § 79). Pertanto la Corte decide, alla luce della concessione del Governo, di accordare la somma richiesta di 47.600.000 ITL.

B.   Danno morale

4 6. Il ricorrente chiede 150.000.000 ITL come danno morale.

4 7. Il Governo sostiene che il riconoscimento della violazione costituisce sufficiente riparazione.

49. La Corte, considerando le precedenti decisioni (vedi, per esempio, A.O./ Italia, n. 22534/93, 30.05.2000, § 33), decide di riconoscere 20.000.000 ITL per tale titolo

C.   Spese legali

8.  Il ricorrente chiede il rimborso delle spese legali anticipate pari a 1.135.670 ITL.

9.  La Corte decide di riconoscere la totalità della somma richiesta (vedi sentenza Scollo c. Italia del 28 settembre 1995, Serie A n. 315-C, p. 56, § 50 e sentenzaImmobiliare Saffi, sopra citata., § 79).

D.   Interessi moratori

10. In base alle informazioni di cui dispone la Corte, il tasso dinteresse legale applicabile in Italia alla data di adozione della presente sentenza è del 2,5 % annuo.

 

PER QUESTI MOIVI, LA CORTE ALL’UNANIMITA’

 

1.   Dichiara che vi è stata una violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N. 1;

 

2.   Dichiara che vi è stata una violazione dell’Articolo 6 § 1 della Convenzione;

 

3.   Dichiara

(a)  che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza diviene  definitive ai sensi dell’Articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:

      (i)         47.600.000 (quarantasette milioni seicentomila) ITL per il danno patrimoniale;

      (ii)        20.000.000 (venti milioni) ITL per il danno morale;

      (iii)       1.135.670 (un milione centotrentacinquemila) ITL per spese legali.

(b)   che un interesse semplice del 2,5% annuo dovrà essere pagato dalla data di scadenza del termine citato di tre mesi fino al versamento;

4.   Rigetta le rimanenti domande del ricorrente di equa soddisfazione.

Redatta in Inglese, poi comunicata per iscritto il 3 Agosto 2000, in applicazione dell’Articolo 77 §§ 2  e 3 del Regolamento della Corte.

Christos Rozakis (Presidente)

Erik Fribergh (Cancelliere)