sentenza 28 marzo 2002

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Strasburgo) CASO  MASTROMAURO S.R.L.   contro ITALIA SENTENZA del 28 marzo   2002 Ricorso n° 47479/99Violazione del termine ragionevole di durata di un processo civile (articolo 6 della Convenzione) avente ad oggetto un’azione  di revocatoria fallimentare a carico di  una società commerciale  : nove anni e sei mesi per tre gradi di giudizio.  Liquidazione di  3.000 EUR (tre mila euro) per danno morale e 500 EUR (cinquecento europer spese legali, a favore della società commerciale ricorrente a Strasburgo.

 

La sentenza così motiva

( traduzione non ufficiale a cura  dell’avv. Maurizio de Stefano)

PRIMA SEZIONE

Sentenza del 28 marzo   2002
sul ricorso n° 
47479/99
presentato da  MASTROMAURO S.R.L.

contro Italia

Nel caso MASTROMAURO S.R.L.  c. Italia,

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (prima sezione), riunitasi  in una camera composta da  :.C.L. Rozakis, presidente, L. Ferrari bravoG. Bonello,  P. LorenzenN. Vajić, A. KovlerSteiner, giudici, e da E. Fribergh,  cancelliere di sezione, 

Dopo averla deliberata, nella camera di consiglio del 7 marzo   2002, rende la seguente sentenza, adottata  nella stessa data:

PROCEDURA

1. All'origine del caso vi è un  ricorso proposto contro la Repubblica italiana da parte di una società italiana, la  Pastificio Attilio Mastromauro S.r.l.  ( “la ricorrente”), la quale  aveva adito  la Commissione europea dei Diritti dell'Uomo il 27 novembre 1998   in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, ( “la Convenzione” ). Il ricorso è stato registrato il 15 aprile 1999 con  il numero di fascicolo 47479/99. La ricorrente è rappresentata dal sig. A. Mastromauro, amministratore della società a Corato (Bari). Il Governo italiano (il “Governo”) è  rappresentato dal suo agente  Sig. U. Leanza, e dal suo coagente  Sig. V. Esposito.  

2. La Corte ha dichiarato il ricorso ricevibile il 12 aprile 2001

IN FATTO

3. Il  17 marzo 1989,  il curatore del fallimento della società X  citò in giudizio la società ricorrente  davanti al tribunale di Bari al fine di ottenere  la restituzione della somma di 42.602.588 di lire italiane (circa 22.002,40 euro). Questa azione giudiziaria  (« azione revocatoria fallimentare ») si fondava sull’articolo 67 § 2 del regio decreto n° 267 del 16 marzo 1942 (d’ora in poi indicato come  « legge fallimentare »), ai sensi del quale ogni pagamento di un credito esigibile effettuato dal debitore nel corso dell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento è revocato se il curatore prova che il beneficiario del pagamento conoscesse lo stato d’insolvenza del debitore  (« scientia decoctionis »).

4. La prima udienza ebbe luogo il 14 novembre 1989. Il 20 febbraio 1990, la società ricorrente  chiese la convocazione di certi testimoni, le cui dichiarazioni avrebbero potuto dimostrare che essa ignorava le  difficoltà finanziarie della società X. La causa fu rinviata dapprima al  5 giugno 1990, poi al  26 febbraio 1991, data in cui  le parti presentarono le loro conclusioni. L’udienza di discussione  davanti al collegio del tribunale di Bari ebbe luogo il  20 ottobre 1993.

5.  Con una sentenza del 3 novembre 1993,  il cui testo fu depositato in cancelleria il  18 aprile 1994, il tribunale accolse  la domanda del curatore del fallimento. Esso  osservò in particolare che al’epoca in cui i pagamenti di cui si controverteva era stati effettuati ,  numerosi « protesti cambiari »  elevati contro  la società X, ciò che avrebbe dovuto ragionevolmente indurre  la società ricorrente  a pensare che il suo debitore si trovava in stato di insolvenza. Ciò era peraltro  confermato dalle modalità dei predetti pagamenti, effettuati in contanti.

 6.   L’ 11 aprile 1995, la società ricorrente  propose  appello davanti alla corte d’appello di Bari. Essa osservò segnatamente che il  tribunale si era limitato a prendere atto della pubblicazione dei protesti elevati contro la società X e ne aveva tratto la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza . Non essendo questa   presunzione non impugnabile,  la società ricorrente  chiese di nuovo la  convocazione e l’audizione dei testimoni indicati nel corso del processo di primo grado.

7.  Il curatore del fallimento non si presento per due udienze. In una  data non precisata, la società ricorrente  presentò le sue conclusioni e la corte d’appello, su istanza della ricorrente , dichiarò la contumacia del curatore. L’udienza di discussione  davanti al collegio  competente fu  fissata al  30 aprile 1996.

8. In tale giorno, il difensore del curatore dichiarò che non aveva potuto partecipare  alle prime due  udienze e depositò una « comparsa conclusionale ». La società ricorrente , osservando che nulla impediva al curatore di essere presente alle  udienze precedenti, si oppose alla sua costituzione tardiva.

9. Con una sentenza del 7 maggio  1996,  il cui testo fu depositato in cancelleria il 10 giugno 1996, la corte d’appello rigettò l’appello della società ricorrente . La motivazione della sentenza indica che il curatore fallimentare, che aveva omesso di costituirsi validamente nella procedura, era contumace. Quanto alla richiesta di convocazione dei testimoni, la corte d’appello osservò che la loro  audizione sarebbe stata  inutile. In effetti,  solo la prova che  l’ignoranza dello stato di insolvenza del debitore  non era dovuta alla negligenza del creditore poteva  dispensare quest’ultimo dall’obbligo di restituire le somme percepite. Ora, nulla impediva alla  ricorrente  di consultare il bollettino dei protesti cambiari, dovendosi qualificare come condotta negligente l’omissione di una simile  attività da parte di una società commerciale .

10.   Il 5 aprile 1997, la società ricorrente  fece ricorso in cassazione. Il 12 maggio 1997, il curatore del fallimento deposito un « controricorso per cassazione » in cui chiese il rigetto dell’impugnazione della  ricorrente .

11.  Con una sentenza del  10 giugno 1998, il cui testo fu depositato in cancelleria il 17 settembre 1998, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso   inammissibile. Ella osservò che nel diritto italiano, un ricorso per cassazione deve essere notificato all’avvocato che ha rappresentato la controparte   nella procedura in cui la sentenza impugnata è stata emessa, o , in difetto alla stessa controparte. Nel caso di specie, la società ricorrente  aveva  notificato il suo ricorso all’avvocato che aveva rappresentato il curatore in primo grado. Questa  notifica era  tuttavia erronea, perché il predetto avvocato non si era validamente costituito nella procedura d’appello, nel corso della quale il curatore era stato dichiarato  contumace.  Ora, ai sensi della giurisprudenza costante della Corte di cassazione, in conseguenza di un simile errore di procedura  la notifica del ricorso doveva essere  considerata come  nulla e non avvenuta (« giuridicamente inesistente »), la sua  irregolarità non potendo essere sanata dalla  partecipazione del curatore al giudizio in cassazione.

 IN DIRITTO 

I. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL' ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE 

12. La ricorrente lamenta che la durata del processo non  ha rispettato il principio del <<termine ragionevole>> come previsto  dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:  “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) che deciderà (…) delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)”

13 Il Governo  si oppone a questa tesi. 

14. Il periodo da considerare è iniziato il 17 marzo 1989   ed è terminato il 17 settembre 1998

15 Esso dunque è durato nove anni e sei mesi  per tre gradi di giudizio. 

16 La Corte  ricorda di aver constatato in numerose sentenze (vedere, per esempio, Bottazzi c. Italia [GC], n° 34884/97, § 22, CEDH 1999-V), l’esistenza in Italia di una prassi contraria alla Convenzione risultante da un cumulo di trasgressioni all’esigenza del « termine ragionevole ». Nella misura in cui la Corte constata una tale trasgressione , questo cumulo costituisce una circostanza aggravante della violazione dell’articolo 6 § 1.

17 Avendo esaminato i fatti della causa alla  luce degli argomenti delle parti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte reputa che la durata del processo in questione non corrisponda all’esigenza del « termine ragionevole » e che quivi sussiste ancora una manifestazione della prassi  precitata.

Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1.

 

II SULL’APPLICAZIONE DELL’ART 41 DELLA CONVENZIONE

18. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,  « Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto interno della Alta Parte contraente non permette che in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di  tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »

A    DANNO

19 La ricorrente richiede  31.395.183 = di lire italiane (ITL) a titolo di danno materiale e si rimette alla Corte per il  danno non patrimoniale  che avrebbe subito.

20 La Corte non ravvisa il nesso di causalità tra la violazione constatata e la richiesta di danno materiale  e rigetta questa domanda. Per contro, la Corte considera che ci siano i presupposti per  concedere alla ricorrente 3.000 euro (EUR)  a titolo del pregiudizio morale. 

B. SPESE LEGALI

21 La ricorrente si rimette alla Corte per quantificare  le spese legali sostenute davanti alle giurisdizioni interne e quelle  davanti alla Corte.

22 Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente non può ottenere il rimborso delle sue spese legali se non nella misura in cui esse siano accertate nella loro realtà, necessità e carattere ragionevole del loro ammontare (vedi ad esempio, la sentenza Bottazzi precitata, § 30). Nel caso di specie, tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri predetti, la Corte rigetta  la domanda relativa alle spese della procedura nazionale, reputa ragionevole   la somma di  500 EUR  per la procedura davanti alla Corte e la concede alla ricorrente.

.C. INTERESSI MORATORI

23. Secondo le informazioni di cui dispone la Corte, il tasso dinteresse legale applicabile in Italia alla data di adozione della presente sentenza era del 3 % annuo.

 

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ, 

Dichiara  che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione; 

Dichiara

a)  che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro i tre mesi a  decorrere dal giorno in cui la sentenza è divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, 3.000 EUR (tre mila euro), a titolo di  danno  e 500 EUR (cinquecento euro)  per le spese legali;

b) che questi importi saranno maggiorati dell’interesse semplice del 3% annuo dalla data di  scadenza di questo termine  fino al versamento; 

3 Rigetta per il surplus la domanda di equa soddisfazione .

** Redatta in francese, poi comunicata per iscritto il  28 marzo  2002, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento.

Christos Rozakis              Presidente

Erik Fribergh           Cancelliere