sentenza 28 maggio 2002

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Strasburgo) CASO BEYELER  contro ITALIA SENTENZA del  28 maggio  2002  Ricorso n° 33202/96

 

(applicazione dell’art.41 della Convenzione, equa soddisfazione, quantum debeatur)

Liquidazione di EUR 1.300.000 ( unmilionetrecentomila euro), a titolo di ogni e qualsivoglia danno sopportato dal ricorrente; oltre 55.000 EUR (cinquantacinquemila euro) per le spese legali sopportate innanzi alla Corte Europea,  in conseguenza della violazione dell’art. 1 del Protocollo n.1 già constatata dalla stessa Corte Europea,   ( “la sentenza principale” “an debeatur” del 5 gennaio 2000) per l’eccessivo ritardo con cui le autorità italiane avevano esercitato nei confronti del ricorrente (mercante d’arte) il loro diritto di prelazione  nella compravendita del dipinto “Ritratto di un Giovane Contadino -le Jardinier” di Vincent Van Gogh .

 

La sentenza così motiva

(traduzione non ufficiale a cura della Dott. Maria A. Laviensi )

GRANDE CAMERA

Sentenza del  28 MAGGIO 2002

sul ricorso n° 33202/96
presentato da BEYELER 
contro ITALIA

 

(sentenza sull’equa soddisfazione )

 

Nel caso Beyeler contro  Italia,

La Corte Europea dei Diritti Umani, riunitasi in una Grande Camera, composta dai seguenti giudici:

            L. WildhaberPresidente,
            J.-P. 
Costa,
            A. 
Pastor Ridruejo,
            L. Ferrari Bravo,
            E. 
Palm,
            J. 
Makarczyk,
            P. 
Kūris,
            R. 
Türmen,
            V. 
Strážnická,
            K. 
Jungwiert,
            M. 
Fischbach,
            V. 
Butkevych,
            J. 
Casadevall,
            J. 
Hedigan,
            H.S. 
Greve,
            A.B. 
Baka,
            E. 
Steiner, giudici,
e inoltre da   P.J. Mahoney
cancelliere,

 

Dopo averla deliberata in camera di consiglio il 14 febbraio 2001, il 20 febbraio 2002 e il  aprile 2002, rende la seguente sentenza, adottata nell’ultima data di cui sopra:

PROCEDURA

1.  Il caso è stato rimesso alla Corte dalla Commissione Europea dei Diritti Umani (“la Commissione”) il 2 novembre 1998, entro il termine di tre mesi stabilito dai vecchi articoli 32 § 1 e 47 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali (la “Convenzione”). E’ stato introdotto con un ricorso (n. 33202/96) contro la Repubblica Italiana presentato alla Commissione in virtù del vecchio articolo 25, da  un cittadino svizzero, il sig. Ernst Beyeler, il 5 settembre 1996.

2. In una sentenza del 5 gennaio 2000 ( “la sentenza principale”) la Corte ha giudicato che era stato violato l’art. 1 del Protocollo n.1 ( per 16 voti a 1); che non era necessario dare una decisione separata sulla questione se il ricorrente avesse subito un trattamento discriminatorio contrario all’ art.14 della Convenzione (all’unanimità); e che non sorgeva una questione separata per l’art. 18 della Convenzione (all’unanimità) (sentanza Beyeler c. Italia [GC], n. 33202/96, ECHR 2000-1, §§ 120-22, 126 e 129 rispettivamente, e i punti 2, 3 e 4 del dispositivo). Più specificatamente, con riguardo all’art. 1 del Protocollo n.1, la Corte ha ritenuto che il ricorrente ha subito uno sproporzionato ed eccessivo onere (ibidem, 122 §) .

3. Basandosi sull’art. 41 della Convenzione, il ricorrente ha reclamato un’equa soddisfazione di 1.000.000 dollari americani (USD)  per un danno non patrimoniale e, per il danno patrimoniale, la restituzione del dipinto o, in mancanza, il risarcimento per l’ammontare del suo valore al tempo  della citata espropriazione – pari a USD 8.500.000 – meno l’indennità di 600.000.000 di lire italiane (ITL) pagate precedentemente, in virtù del decreto di espropriazione del 24 novembre 1988, più gli interessi maturati da quella data nella somma di USD 3.934.142,90.

Infine ha reclamato 912.025,60 Franchi svizzeri (CHF) comprendenti le spese sopportate innanzi alle corti interne, la Commissione poi la Corte.

4. Poiché la questione sull’applicazione dell’art. 41 della Convenzione non era matura  per la decisione, la Corte si riservò e invitò il Governo e il ricorrente a sottoporle, entro 6 mesi, le proprie osservazioni scritte sulla materia e, in particolare, di comunicare alla Corte qualunque accordo che avrebbero potuto raggiungere (ibidem., § 134, e il punto 5 del dispositivo).

5. Il 17 novembre 2000 sia il ricorrente che il Governo presentarono le osservazioni supplementari. Alla richiesta della Corte, il Governo ha fatto pervenire il 9 marzo 2001 le proprie repliche alle osservazioni aggiuntive del ricorrente che, a sua volta, ha presentato le proprie repliche il 16 marzo 2001.

6. Malgrado vari tentativi, effettuati dalla cancelleria della Corte, in particolare fra febbraio e settembre 2000 e tra settembre e novembre 2001, non furono trovate le basi sulle quali raggiungere un  regolamento  amichevole.

7. La composizione della Grande Camera è stata determinata nel rispetto delle previsioni degli articoli 24 e 75 § 2 del Regolamento della Corte. Poiché i giudici G. Bonello, F. Tulkens, R. Maruste e S. Boutoucharova che avevano preso parte all’adozione della sentenza principale, erano impediti a partecipare, sono stati sostituiti dai giudici J. Makarczyk e K Jungwiert, giudici supplenti ( articolo 24 § 3 del Regolamento), e dai giudici J. Hedigan e E. Steiner, designati per sorteggio ( articolo  75 § 2 del Regolamento).

DIRITTO

8. L’articolo 41 della Convenzione prescrive:

<< Se la corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno della Altra Parte contraente non permette che in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.>>

A.      Le argomentazioni delle parti

 1. Il ricorrente

9. La principale richiesta del ricorrente riguarda la restituzione del dipinto, che reputa fosse perfettamente possibile. Oltre alla restituzione, chiede il risarcimento per il danno subito a causa della lunghezza del periodo nel quale è stato privato del dipinto e il conseguente mancato guadagno che avrebbe potuto realizzare se fosse stato possibile adempiere al contratto stipulato con la Fondazione ”Guggenheim“nel 1988 (USD 8.500.000), meno la cifra pagatagli dal ministro sulla prelazione della vendita (ITL 600.000.000), pari a USD 7.811.522,05, più la rivalutazione di questa somma da gennaio 1989 alla data odierna ( pari a USD 5.632.836,47 al tasso annuale LIBOR[1]medio del 5.21%).

10. In subordine, il ricorrente chiede il risarcimento commisurato al valore del quadro al momento “dell’espropriazione” pari alla stessa cifra indicata sopra (prezzo  stabilito nel contratto stipulato nel 1988, meno ITL 600.000.000 pagate dal ministero, l’intera cifra da rivalutare applicando il tasso summenzionato).

11. Il ricorrente inoltre chiede il risarcimento per il danno non patrimoniale (pari a USD 1.000.000)  per il fatto che il provvedimento impugnato ha danneggiato la sua reputazione di commerciante d’arte di fama internazionale.

12. Infine, il ricorrente chiede la somma di CHF 1.125.230,06 per spese extragiudiziarie le spese legali sopportate innanzi ai giudici interni per porre fine alla violazione del Protocollo n 1, nonché il rimborso delle spese sopportate innanzi gli organi della Convenzione. Il ricorrente osserva che il fatto che una delle parti ricorrenti abbia perso la causa davanti le giurisdizioni interne non ha mai indotto la Corte a ridurre la cifra che potrebbe essere accordata a titolo di rimborso per le spese legali sostenute nei procedimenti interni. Inoltre, in relazione ai costi per la procedura a Strasburgo, egli sottolinea che la Corte ha concluso, nella sentenza principale, che non si poneva alcuna questione separata, quanto alle doglianze fondate sugli art. 14 e 18 della Convenzione.

2. Il Governo

13. Il Governo reputa che il ricorrente non potrebbe reclamare di avere diritto alla restituzione del dipinto perché la Corte non è stata chiamata giudicare il diritto di prelazione in quanto tale, ed egli ha sostenuto che le autorità italiane avrebbero potuto corrispondere al ricorrente ITL 600.000.000 nel 1983, somma che egli aveva pagato per l’acquisto del dipinto. In relazione a ciò, Il Governo sottolinea che va tracciata una distinzione tra una violazione nascente da una violazione totalmente illegale e l’ingerenza constatata nel caso de quo, che scaturisce dalla modalità  con la quale l’ingerenza stessa – che è legittima in sé – è stata posta in essere. L’articolo 41 della Convenzione giustificherebbe la restitutio in integrum solo nel primo caso,  mentre nel secondo, una tale soluzione darebbe origine ad un ingiusto beneficio per il ricorrente.

14. Per le stesse ragioni, Il Governo ritiene che il ricorrente non potrebbe reclamare la differenza tra il valore del dipinto nel 1983 e il suo valore nel 1988. Infatti, tutto quello che il ricorrente poteva chiedere era il risarcimento per la svalutazione della somma investita nell’acquisto del quadro calcolata dal gennaio 1984, quando, secondo la Corte, avrebbe potuto essere correttamente esercitata la prelazione, fino alla decisione finale della Corte sull’applicazione dell’art. 41. In altre parole, l’equa soddisfazione dovrebbe essere riconosciuta solamente per risarcire le conseguenze pregiudizievoli che sono scaturite dalla particolare forma di ingerenza che la Corte ha ravvisato contraria all’art.1 Protocollo 1. In effetti la Corte ha stabilito che c’era stato un fondamento di legalità nell’ingerenza che essa ha perseguito un fine legittimo e che non è quindi contraria, come tale,  alla Convenzione. La violazione constatata dalla Corte, infatti, riguardava l’eccessivo ritardo con cui l’ingerenza era stata posta in essere. Quindi, se le autorità italiane avessero esercitato il loro diritto di prelazione all’inizio del 1984 l’ingerenza era perfettamente compatibile con l’art. 1 e il ricorrente avrebbe perso, in cambio dei 600.000.000 ITL, ogni diritto o legittima aspettativa rispetto al dipinto, e il suo ricorso a Strasburgo sarebbe stato rigettato.

15. La restituzione del quadro sarebbe, inoltre, legalmente impossibile per l’art. 41 della Convenzione. Infatti, in base alla legge italiana, il diritto di prelazione è stato esercitato regolarmente ed il quadro appartiene ormai legalmente allo Stato italiano.

16. Il Governo, quindi,  riconosce solo il danno causato dal ritardo e accetta che possa essere stimato aggiungendo ai 600.000.000 ITL, gli interessi al tasso proposto dal ricorrente.

17. Il Governo, inoltre, contesta la sussistenza di un danno non patrimoniale e sottolinea che i tentativi del ricorrente di aggirare la legge italiana tra il 1977 e il 1983 erano in sé  passibili di nuocere la sua reputazione, per lo meno sul mercato dell’arte italiano.

18. Riguardo ai costi sopportati innanzi alle corti interne, il Governo ha ritenuto che tutte le richieste del ricorrente sono state respinte dalle corti nazionali e che  in ogni caso non è riuscito a dimostrare che siano state realmente o necessariamente sopportate o che siano state ragionevoli.

19. Infine, riguardo ai costi sopportati innanzi agli organi della Convenzione, il Governo fa rilevare che la maggior parte delle doglianze del ricorrente (inclusa quella sulla base dell’art. 1 Protocollo n.1, riguardante il periodo dal 1977 al 1983) non sono state accolte dalla Corte. Osserva inoltre che il ricorrente non ha provato che le spese siano state realmente e necessariamente sopportate o che siano state ragionevoli o proporzionate.

B.      Le valutazioni della Corte

1.       Danno, spese extragiudiziarie e spese sopportate innanzi alle corti interne.

20. La Corte considera prima di tutto che la natura della violazione constatata nella sentenza principale non consenta la restitutio in integrum (vedere a contrario,Brumărescu  c. Romania [GC], no. 28342/95 (articolo 41), §§ 20-22, e la sentenza Papamichalopulos e altri c.  Grecia (Articolo 50) del 31 ottobre 1995, Serie A no. 330-B, p. 59, §34). In effetti, nel presente caso, la Corte non  ha concluso che la prelazione sia stata illegale come tale ed ha  considerato che l’incertezza della legge, particolarmente riguardo al superamento del temine limite di due mesi stabiliti al paragrafo 32 §1 della  legge 1089 del 1939, avrebbe dovuto essere tenuto in considerazione nell’esame  se la misura contestata fosse compatibile con le esigenze di un giusto equilibrio (vedere i paragrafi 109-110 e 119 della sentenza principale). Ciononostante, la Corte non concorda con la linea difensiva del Governo sul punto che il solo aspetto dell’ingerenza criticato dalla Corte sarebbe il ritardo nell’esercizio del diritto di prelazione  e che l’unico danno subito dal ricorrente sarebbe derivato dalla prolungata indisponibilità del capitale investito.

21. Sebbene sia vero che la sentenza non ha messo in  discussione il diritto di prelazione in sé e che l’esercizio di questo  diritto, nel caso in questione, non avrebbe fatto sorgere alcun problema se fosse stato esercitato all’inizio dell’anno 1984, cioèentro il termine legale di due mesi dalla dichiarazione del dicembre 1983, resta tuttavia il fatto che la prelazione non è stata esercitata entro detto termine ma, al contrario, cinque anni dopo che il ministero ebbe conoscenza delle irregolarità di cui il ricorrente era accusato (vedere paragrafo 120 della sentenza principale). Effettivamente, il pregiudizio sofferto dal ricorrente, che nasce dalla incertezza che ha regnato durante quel periodo – una situazione che permette al Ministero dei Beni Culturali di comprare il dipinto nel 1988, come indicato nel paragrafo 121 della sentenza principale-costituisce un elemento della constatazione della violazione.

 22. In queste condizionidal fatto che  le autorità non esercitarono il loro diritto di prelazione fino al 1988, il decorso dei cinque anni di incertezza e di precarietà a carico del ricorrente hanno provocato per lui un danno  per il quale deve essere risarcito per lo meno in una certa quantità.

23. La Corte considera poi che il ricorrente andrebbe inoltre risarcito per il danno subito per essere stato pagato nel 1988 con lo stesso prezzo del 1977, considerando che la svalutazione tra il 1977 e il 1983  resta a carico del ricorrente tenuto conto del difetto di trasparenza durante tale periodo, come notato dalla Corte (vedere paragrafi 115 e 116 della sentenza principale). L’equa  soddisfazione deve quindi anche tenere conto della mancata rivalutazione del prezzo della vendita pagato nel 1977 rispetto al periodo 1984-1988. La somma corrispondente a simile rivalutazione a sua volta deve essere rivalutata per capitalizzazione per il periodo che va dal 1988 alla data dellapresente sentenza . A questo fine, la Corte ha basato i suoi calcoli anno per anno, o applicando il tasso d’interesse legale o il tasso d’inflazione2, a seconda di quello che risulta più favorevole al ricorrente.

24. Nel calcolare il danno la Corte considera che la somma deve inoltre comprenderele spese extragiudiziarie sopportati dal ricorrente tra il 1984 e il 1988 per determinare la posizione legale nei confronti del dipinto.

25. Riguardo alle spese sopportate innanzi alle corti interne, sebbene le procedure intraprese dal ricorrente dopo che il Governo ha esercitato il proprio diritto di prelazione nel 1988, fossero dirette, prima di tutto, a discutere l’esercizio del diritto diprelazione ( su questo punto la Corte non ha rinvenuto alcuna violazione) resta il fatto che, i rimedi interni esperiti dal ricorrente impugnavano parimenti i termini entro  i quali il diritto di prelazione era stato esercitato, inclusa la mancanza di ogni rivalutazione della somma pagata nel 1988 (vedere paragrafo 40 della sentenza principale, in fine), che era l’elemento cardine della constatazione della Corte della violazione. Considerati sotto questo aspetto, i rimedi interni erano anche, in parte, diretti a rimediare alla violazione del Protocollo n. 1 constatato dalla Corte. Questo approccio  dunque giustifica il risarcimento di una parte delle spese sopportate innanzi alle corti interne dopo che era stata esercitata la prelazione. La Corte ritiene equo riconoscere, a questo titolo, approssimativamente un terzo delle spese sostenute perl’assistenza degli avvocati italiani.

26. In conclusione, tenuto conto dei diversi fattori che devono essere esaminati, al fine di calcolare il danno e, per la natura della questione, la Corte ritiene appropriato fissare, secondo equità, un importo complessivo che tiene conto delle diverse considerazioni suesposte. Di conseguenza, la Corte decide di accordare al ricorrente 1.300.000 euro (EUR) a titolo di riparazione del danno subito, comprese le spese extragiudiziarie  e le spese sopportate innanzi alle corti interne.

2.       Spese sopportate innanzi agli organi della Convenzione.

27. In conformità alla costante giurisprudenza della Corte, l’assegnazione dei costi e delle spese legali a titolo dell’articolo 41  presuppone che ne sia accertata la loro realtà, la loro necessità e, per di più, il carattere ragionevole del loro ammontare  ( Iatridis c. Grecia [GC]  (equa soddisfazione), n. 31107/96, ECHR 2000-XI, §54). Inoltre, le spese legali sono risarcibili solo nella misura in cui sono correlate alla  violazioneconstatata (v. Van de Hurk  c. Paesi Bassi,  sentenza del 19 aprile 1994, serie A n. 288, § 66).

28. Nella sua sentenza principale, la Corte ha rilevato che il ricorrente è stato parzialmente responsabile per il danno subito, cioè la perdita dell’aumento di valore del dipinto tra il 1977 e il 1984 così come la svalutazione del capitale investito, che è il  prezzo pagato nel 1977, durante questo stesso  periodo (v. paragrafi 115 e 116 della sentenza principale). Inoltre, essa (la Corte n.d.t.) non ha accettato la argomentazionedel ricorrente relativa alla questione dell’esercizio della prelazione in sé (v.inter alia, paragrafi 112,113 e 117 della sentenza principale). La Corte inoltre accoglie l’argomentazione del Governo che le spese complessive, a tale titolo, appaiono eccessive.

29. In queste circostanze, la Corte ritiene che le spese sopportate dal ricorrente innanzi agli organi  della Convenzione gli dovranno essere rimborsate solo in parte.Decidendo su basi di equità, come richiesto dall’articolo 41 della Convenzione, la Cortegli accorda  55.000 Euro.

3.      Interessi moratori

30. Il ricorrente ha richiesto interessi secondo il tasso del 6% dalla data della presentesentenza.

31. Secondo le informazioni a disposizione della Corte, il tasso di interesse legale applicabile in Italia alla data dell’adozione  della presente sentenza è del  3% all’anno. La Corte ritiene dunque  applicare questo ultimo tasso.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

1Dichiara per sedici voti ad uno,

(a)    che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente entro 3 mesi, le seguenti somme (più ogni ammontare che può essere dovuto a titolo di  Imposta sul Valore Aggiunto).

i. EUR 1.300.000 ( unmilionetrecentomila euro), a titolo di  riparazione del danno, ivicomprese le spese extragiudiziarie e  quelle sopportate  innanzi alle corti interne;

ii. 55.000 EUR ( cinquantacinquemila euro) per i costi e le spese legali sopportate innanzi agli organi della Convenzione;

b)  che questi importi saranno maggiorati dell’interesse semplice del 3 % annuo dalla data di  scadenza di questo termine  fino al versamento;

2. Rigettaall’unanimità, per il surplus la domanda di equa soddisfazione.

Redatta in francese e in inglese, e pronunciata in pubblica udienza nel Palazzo dei Diritti Umani, a Strasburgo,  il 28 maggio 2002.

LUZIUS WILDHABER
Presidente 

PAUL MAHONEY
Cancelliere

In conformità con gli articoli 45 §2 della Convenzione e 74 § 2 del Regolamento della Corte, l’esposizione dell'opinione dissenziente della sig.ra Greve è allegata a questa sentenza.

OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE SIG.RA GREVE

Nel presente giudizio non condivido l’opinione dei miei colleghi riguardo alla somma riconosciuta al ricorrente secondo l’art. 41 della Convenzione. Ritengo che la cifraaccordata equitativamente di 1.300.000 euro “a titolo di  riparazione  del danno, ivicomprese le spese extragiudiziarie quelle sopportate innanzi alle corti interne” (punto 1. (a) i. del dispositivo della sentenza) oltrepassa di gran lunga l’ammontare che sembra ragionevole.

Per giungere a queste conclusioni, io mi sono basata  sia sulle circostanze particolari del caso sia sulla giurisprudenza della Corte in relazione all’art. 41 della Convenzione.

Limiterò le seguenti osservazioni ad esporre i punti principali per i quali ho una visione diversa dai miei colleghi.

Osservazioni introduttive

L’art. 41 prevede:

“ Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno della alta Parte contraente non permette che in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte  lesa.”

La Corte è solita distinguere tra il danno patrimoniale e il  danno non-patrimoniale, e individua separatamente le spese processuali e le  altre spese. Nel caso di specie, la somma di 1.300.000 EUR comprende

(a)    danno non patrimoniale  ( paragrafo 22);

(b)    danno patrimoniale

i.                     rivalutazione del prezzo del quadro tra il 1984 e il 1988;

ii.                   interessi composti; e

iii.                  spese extragiudiziarie sopportate dal ricorrente tra il 1984 e il 1988 per determinare la sua posizione legale nei confronti del quadro” (paragrafi 23-24; e

(c)    approssimativamente un terzo delle spese sostenute per l’assistenza degliavvocati italiani che fanno parte delle spese processuali sopportate innanzi alle corti interne dopo che era stato esercitato il  diritto di prelazione. (paragrafo 25).

Non vi è alcuna  indicazione nella sentenza in quale proporzione  la somma complessiva di 1.300.000 EUR comprenda tutti gli elementi elencati da (a) a (c). La Corte ha in questo caso optato per formulare il suo risultato in una maniera diversa da quella normalmente usata, e  meno trasparente.

I fatti del caso in breve

Il dipinto “Ritratto di un Giovane Contadino le Jardinier” di Vincent Van Gogh fu acquistato dal ricorrente svizzero – un conosciuto collezionista d’arte- nel 1977 per la somma di 600.000.000 ITL. Senza calcolare l’inflazione, 600.000.000 ITL equivalgono a circa 310.000 EUR. Per facilitare i  raffronti, userò d’ora innanzi l’espressione “EUR 310.000” per indicare il prezzo pagato per il dipinto nel 1977. Il ricorrente comprò il dipinto attraverso un intermediario, un antiquario romano, che inoltre aveva richiesto laautorizzazione di esportazione per il dipinto. Le autorità italiane rifiutarono di concedere la licenza di esportazione ritenendo che, a causa dell’esportazione del dipinto, si sarebbe seriamente  arrecato un danno al patrimonio culturale nazionale. La legislazione italiana contiene disposizioni in linea con la Convenzione dell’UNESCO sui Divieti e Mezzi  di Prevenzione per le illecite importazioni, Esportazioni e Trasferimenti di Proprietà del Patrimonio Culturale del 14 novembre 1970.

Quanto al comportamento del ricorrente, la Corte ha ritenuto (paragrafi 115-116 della sentenza principale) che:

“La Corte rileva che nel contesto della vendita, nel 1977, il ricorrente non ha rivelato al venditore che il dipinto era stato acquistato per proprio conto, ciò che gli consentì di comprare il quadro ad un prezzo più basso rispetto a quello che molto verosimilmenteavrebbe pagato se avesse rivelato al venditore la sua identità. Secondo le affermazioni del ricorrente le vendite attraverso un agente sono frequentemente praticate nel mercato dell’arte. Comunque, dopo la vendita il ricorrente omise di denunciare alle autorità che egli era  l’acquirente finale  – cioè egli non ha precisato le reali condizioni sulle quali il titolo o il possesso della proprietà sono stati trasferiti – ai fini della legge del 1939.  Il 21 novembre 1977 il sig. Pierangeli, che era stato pienamente rimborsato dal ricorrente e aveva confermato di avere acquistato il dipinto per suo conto, richiese a suo nome la autorizzazione per esportare il quadro, senza informare le autorità dell’identità del vero proprietario (v. paragrafi 11 e 14 summenzionati).

Il ricorrente quindi ha aspettato 6 anni (dal 1977 al 1983) prima di dichiarare il suo acquisto, contrariamente alle previsioni della legge italiana in merito, legge che si presumeva conoscesse.Egli non ha avvisato le autorità fino al dicembre del 1983 quando egli ha avuto l’ intenzione di  vendere il quadro alla Collezione Peggy Guggenheim  di Venezia per 2.100.000 USD (v. paragrafo 17 summenzionato). Per tutto questo periodo, il ricorrente deliberatamente evitò il pericolo che fosse azionato il diritto di prelazione, omettendo di conformarsi ai requisiti della legge italiana. La Corte da qui considera che abbiano un certo peso  le argomentazioni del Governo in merito al fatto che il ricorrente non ha agito apertamente ed onestamente tanto più che non c’era niente che gli impedisse di informare le autorità della reale situazione prima  del 2 dicembre 1983 al fine di conformarsi ai requisiti previsti dalla  legge.”

Il termine previsto dalla legge per esercitare il diritto di prelazione è di due mesi. In queste circostanze, la Corte ha dichiarato che l’esercizio del diritto di prelazione da parte della competente autorità italiana all’inizio del 1984 non avrebbe fatto sorgere alcuna questione sotto l’angolo della Convenzione ( paragrafo 21) In quel tempo, le autorità italiane avrebbero potuto risolvere  il caso pagando al ricorrente una somma equivalente a  quello che egli stesso aveva pagato per il dipinto, cioè “EUR 310.000”.

Con decreto del 24 novembre 1988 il Ministro ha esercitato il diritto di prelazioneriguardo al contratto di vendita concluso nel 1977; il decreto fu notificato al ricorrente il 22 dicembre dello stesso anno. Il punto di discussione del presente caso consiste proprio nel periodo di  cinque anni trascorso prima che il diritto di prelazione fosse esercitato e il ricorrente fosse informato della decisione e avvisato che gli sarebbe stato pagato “EUR 310.000”.

La giurisprudenza della Corte

La giurisprudenza della Corte abbraccia una grande varietà di questioni e differiscerispetto alla gravità delle violazioni constatate. Tra i casi più rilevanti che la Corte abbia trattato negli ultimi anni, vi è   Oğur c. Turchia (sentenza del 20 maggio 1999, Reports of judgment Decision 1999-III) dove la Corte ha  riscontrato una doppia violazione del diritto fondamentale alla vita. Il modo di affrontare il caso da parte della Corte nei confronti del danno patrimoniale e non patrimoniale dimostra l’inclinazione generale della  Corte in questi casi (paragrafi 95 e gli ultimi tre commi del paragrafo 98, pp 553-54 della sentenza):

“ Riguardo al danno che ha subito, la ricorrente chiede 500.000 franchi francesi (FRF) , dei quali FRF 400.000 sono per il danno patrimoniale e FRF 100.000 per il danno non patrimoniale. La stessa ha portato all’attenzione che  non ha mezzi di sussistenza in seguito alla morte del figlio, che manteneva la famiglia lavorando come guardiano notturno [questo non è contestato ]. (...)

Avuto rguardo alle sue conclusioni in conformità con l’articolo 2 e al fatto che gli eventi lamentati si sono verificati più di otto anni fa, la Corte considera che si impone di decidere sulla richiesta di equa soddisfazione della ricorrente.

Per quanto riguarda il danno patrimoniale, il fascicolo non contiene informazioni sul reddito del figlio della ricorrente proveniente dal suo lavoro di guardiano notturno, l’entità dell’assistenza finanziaria che corrispondeva alla ricorrente, la composizione della sua famiglia e ogni altra circostanza rilevante. In queste condizioni, la Corte nonsaprebbe accogliere il risarcimento richiesto sotto questo punto (  articolo 60 § 2 del Regolamento) [l’articolo  in questione stabilisce che in difetto di appropriata documentazione a supporto della richiesta, la Corte possa rigettarla in tutto o in parte].

Per il danno non patrimoniale, la Corte ha considerato che la ricorrente sicuramente ha patito considerevolmente le conseguenze della duplice violazione dell’art. 2. Non solo ha perso suo figlio ma è anche stata testimone impotente di una clamorosa mancanza di diligenza da parte delle autorità nella conduzione delle indagini. In via equitativa, la Corte ha stabilito che il danno non patrimoniale ammonta equitativamente  a FRF 100.000.

Il risarcimento totale in questo caso era quindi di FRF 100.000 , ovvero circa  EUR 15.245.

Danno non patrimoniale

Non ritengo che nel presente caso si dovesse versare al  ricorrente una riparazione a titolo di danno non patrimoniale.

Il caso riguarda un investimento finanziario in un’opera d’arte di un distinto mercanted’arte di fama internazionale. Si può presumere che quando comprò il quadro egliaveva la piena consapevolezza di avere una questione aperta qualora le autorità italiane avessero esercitato il loro diritto di prelazione.

Il ricorrente stesso optò per lasciare la questione della prelazione irrisolta da quando comprò il dipinto nel lontano 1977 fino a che il suo intermediario non ha avvisato l’autorità italiana dei fatti, nel 1983 – cioè, più di sei anni dopo. Successivamente, che il ricorrente abbia dovuto aspettare oltre cinque anni prima che la decisione della prelazione fosse assunta è deplorevole, ma non condivido il punto di vista per il quale “il decorso dei cinque anni di incertezza e di precarietà a carico del ricorrente hanno provocato per lui un danno che  deve essere risarcito per lo meno in una certa quantità.”. Le ragioni del ricorrente sono principalmente patrimoniali e quindi concludo che la constatazione della violazione costituisce una equa riparazione sufficiente considerato che è stato riconosciuto al ricorrente un indennizzo  per le sue dirette perdite finanziarie.

Danno patrimoniale

(i)                  Rivalutazione del prezzo del dipinto tra il 1984 e il 1988

Non ritengo che il ricorrente abbia sopportato una perdita del valore del dipinto nelperiodo 1984-1988.

Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il cuore della questione è se al ricorrente può essere riconosciuta una legittima aspettativa di una rivalutazione del dipinto durante questo periodo.

Il principio generale di questa questione è stato formulato nella sentenza Fredin c. Svezia (n 1) (18 febbraio 1991, serie A n 192, §54) e leggo:

“I ricorrenti hanno iniziato il loro investimento sette anni dopo l’entrata in vigore nel 1973 dell’emendamento all’articolo 18 della legge del 1964 che chiaramente prevedeva la possibile revoca della licenza di attività trascorsi 10 anni a decorrere dall’ 1/7/1973 (v. paragrafi 35 e 50 menzionati). Essi dunque potevano ragionevolmente ritenere che la loro licenza sarebbe scaduta dopo l’1 luglio 1983. Inoltre è chiaro che le autorità non avevano dato loro alcuna garanzia sul fatto che avrebbero potuto continuare ad estrarre ghiaia dopo quella data. Poi, la decisione di concedere loro la licenza per costruire una banchina comprendeva una espressa dichiarazione per cui questa decisione implicava che  “alcuna posizione sarebbe stata presa per la possibilità di una futura riconsiderazione sulla proprietà dell’attività di sfruttamento della ghiaia” (v paragrafo 16).

Infatti, nell’intraprendere il loro investimento, i ricorrenti Fredin  avrebbero potuto fare affidamento solo sulle obbligazioni delle autorità, nel prendere le decisioni sulla conservazione della natura,  dare il giusto valore ai loro interessi, come prescritto nell’articolo 3 della legge del 1964 (v. paragrafo 34). Questa obbligazione non può, al tempo in cui i ricorrenti fecero il loro investimento, ragionevolmente aver rivelato legittime aspettative di essere idonei a continuare l’attività per un lungo periodo”

Fin dal momento in cui egli ha acquistato il quadro per portarlo fuori dall’Italia, il ricorrente – a mio avviso- non aveva alcuna legittima aspettativa nella rivalutazione del valore prima di conoscere se le autorità italiane volevano esercitare il loro diritto di prelazione. E’ stato considerato che il ricorrente è un uomo che può essere considerato pienamente versato nelle previsioni legali che regolano il commercio internazionale d’arte. Quando ha acquistato in Italia, ci si può aspettare che il ricorrente avesse dimestichezza con la pertinente legislazione italiana. Per di più, le regole della questione sono mutuate dalle generali basi della summenzionata Convenzione dell’UNESCO del 1970 sopra citata.

(ii)                interesse composto  

Ritengo che il ricorrente abbia diritto ad avere risarcita la sua effettiva perdita patrimoniale a causa del ritardo di 5 anni.Questo include il risarcimento per l’inflazione o il mancato interesse previsto dalla legge(quale sia il più favorevole per il ricorrente) sul capitale investito, “EUR 310.000”, per il periodo compreso dal 1984 a quando gli fu pagato il prezzo della vendita, e simile risarcimento nel rispetto della somma dovuta dopo che il pagamento era stato fatto fino a che è stato riconosciuto con questa sentenza. Rilevo che non è stato chiarito dalla Corte quando lo Stato italiano ha pagato il prezzo pari a quello corrisposto per il quadro nel 1977 o se un ritardo nel pagamento può essere attribuito al ricorrente.

(iii)               Spese extragiudiziarie

Non ho trovato alcuna ragione per riconoscere il risarcimento per le “speseextragiudiziarie sopportate dal ricorrente tra il 1984 e il 1988 per stabilire la sua posizione legale nei confronti del dipinto” in aggiunta e distinte dalle altre spese, anche legali che ha compreso sotto la voce  “spese sopportate innanzi alle corti interne”.

Sotto quest’ultima voce il ricorrente si vede rimborsare tutte le spese sostenute per portare all’esame delle corti italiane le questioni pertinenti alla Convenzione. Non è possibile per questa Corte accordare una riparazione per il chiarimento delle altre questioni legali. Tanto più nel caso in questione perché il ricorrente stesso è stato la principale fonte di confusione riguardo alla posizione legale del quadro. Le autorità italiane sono biasimate per la lunghezza delle procedure e questo solo.

Spese sopportate  innanzi alle corti interne

Credo che il ricorrente abbia diritto  di essere rimborsato per il danno patrimoniale attuale relativo alle spese e alle spese processuali sopportate innanzi alle corti italiane e per le questioni relative a quelle trattate dalla Corte. Non ho difficoltà ad accettare la posizione dei miei colleghi su questo punto.

Conclusione

Il ricorrente comprò “Ritratto di un Giovane Contadino le Jardinier” per “EUR 310.000” .La somma di 1.300.000 EUR accordata a titolo di riparazione rappresenta circa il 420 per cento del prezzo originariamente pagato per il quadro. Anche tenendo conto delle spese sopportate innanzi alle corti interne, dell’inflazione e degli interessi composti dal 1984 sul capitale investito nella vana compravendita del ricorrente, la riparazione accordata dalla Corte per la rivalutazione del prezzo del quadro e per il danno nonpatrimoniale rappresenta un vertice mai raggiunto della storia della Corte. Questo è inoltre un caso che  riguarda esclusivamente questioni patrimoniali e non i tradizionalivitali interessi in materia di diritti umani. Inoltre, il caso riguarda una transazionefinanziaria per la quale il ricorrente chiede una riparazione malgrado abbia mancato di conformarsi alla teoria delle “mani pulite” che è normalmente decisiva  nel diritto alla riparazione.