sentenza 25 ottobre 2001

ITALIA
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)
Caso SAGGIO contro ITALIA
SENTENZA del 25 ottobre 2001 – Ricorso n. 41879/98

Violazione dell’art. 13 della Convenzione (diniego di accesso ad un tribunale), perché le regole fondanti la procedura di amministrazione straordinaria, caratterizzate dalla lunghezza della verifica dello stato dei crediti, hanno ostacolato in maniera ingiustificata il diritto del ricorrente di disporre di un ricorso “effettivo” per far valere il suo credito davanti ai giudici nazionali. Liquidazione di lire 10.000.000 (dieci milioni) per danno morale e lire 6.919.320 (sei milioni novecentodiciannovemila) per spese legali.

 

La sentenza così motiva

( traduzione non ufficiale a cura dell’avv. Paola Ripa)

SECONDA SEZIONE
Sentenza del 25 ottobre 2001 
sul ricorso n° 41879/98
presentato da SAGGIO 

contro Italia
Nel caso Saggio c. Italia

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ( seconda sezione), riunitasi in una camera composta da:

Sigg.ri C.L. ROZAKIS Presidente, A.B. BAKA, B. CONFORTI, G. BONELLO, Sig.ra V. STRAZNICKA, Sig. LORENZEN, giudici
e dal Sig. E. FRIBERGH, cancelliere di sezione,
Dopo averla deliberata in camera di consiglio il 14 settembre 1999, il 10 luglio 2001 ed il 27 settembre 2001, 
Emette la sentenza qui presente, adottata in quest’ultima data :

PROCEDURA

1.§ All’origine del caso si trova un ricorso (n. 41879/98) proposto contro l’Italia e di cui un cittadino di questo Stato, il signor Alfio Saggio (il ricorrente), aveva adito la Commissione europea dei diritti dell’uomo (la Commissione) il 19 dicembre 1997 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (la Convenzione).
2.§ Il ricorrente è rappresentato dall’avv. Bruno Micolano, avvocato del foro di Bologna. Il governo italiano (il Governo) è rappresentato dal suo agente, signor U.Leanza e dal suo coagente signor V. Esposito.
3.§ Il ricorrente deduceva in particolare che non aveva potuto ottenere il pagamento delle somme che gli erano dovute e che il sistema giudiziario italiano l’aveva privato d’ogni tutela giurisdizionale per far valere le sue doglianze.
4.§ Il ricorso è stato trasmesso alla Corte il primo novembre 1998, data d’entrata in vigore del Protocollo n. 11 della Convenzione ( articolo 5 § 2 del Protocollo n. 11).
5.§ Il ricorso è stato attribuito alla seconda sezione della Corte ( articolo 52 § 1 del regolamento). In seno alla stessa, la camera incaricata di esaminare il caso (articolo 27 § 1 della Convenzione) è stata costituita conformemente all’articolo 26 § 1 del regolamento.
6.§ Con una decisione del 14 settembre 1999, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente ricevibile.
7.§ Il ricorrente ha depositato delle osservazioni scritte sul merito del caso, ma non il Governo (articolo 59 § 1 del regolamento).

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE

8.§ Il ricorrente fu impiegato in qualità di quadro presso la società a responsabilità limitata F. dall’otto maggio 1989 al sei luglio 1995, data in cui presentava le sue dimissioni in quanto non aveva ricevuto più la sua retribuzione dal gennaio 1995.
9.§ Il 7 giugno 1995, il tribunale di Bologna dichiarò che la società F non era più in grado di far fronte ai suoi debiti. 
10.§ Con un decreto del 23 giugno 1995, il ministro dell’industria sottopose la società F. alla misura dell’amministrazione straordinaria, autorizzandola a continuare la sua attività produttiva per una durata di due anni e nominò tre commissari liquidatori. Questa decisione, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 28 giugno 1995, fu comunicata al ricorrente per posta il 19 febbraio 1996, che precisava ugualmente che nessun procedimento esecutivo poteva essere tentato contro la società F. e che tutti i pagamenti dei crediti sarebbero avvenuti solo in sede di ripartizione dell’attivo.
11.§ Il ricorrente ha indicato che il valore del suo credito ammonta a 209.255.134 lire (circa 720.000 FF), somma dovuta a titolo di salari non pagati, trattamento di fine rapporto e ferie non godute.
12.§ Con una lettera dell’otto aprile 1999, la società F. informò il ricorrente che, sotto riserva di verifiche ulteriori, emergeva dal dossier che l’insieme dei suoi crediti ammontava a 209.954.032 lire ( circa 690.000 FF), di cui 144.679.032 lire rappresentavano un credito privilegiato.
13.§ Ad una data non precisata, il ricorrente ricevette da parte di un fondo di garanzia (presso l’INPDAI), la somma di 76.589.900 lire (circa 260.000 FF), alla quale aveva diritto a titolo di trattamento di fine rapporto. Il ricorrente dovrebbe quindi ancora ricevere 127.364.132 lire ( circa 431 500 FF).
14.§ Tuttavia, risulta da una nota redatta dai commissari liquidatori della società F. che l’ammontare globale dei debiti di quest’ultima, che ha da molto tempo cessato ogni attività produttiva, ammonta a circa 1.104 miliardi di lire ( un miliardo essendo circa 3.387.000 FF). Per fare fronte a questi debiti, la società in questione dispone della proprietà di certi immobili ( che sono in parte ipotecati ed in parte sono oggetto d’azioni revocatorie). I commissari liquidatori stanno cercando di recuperare certi crediti non pagati, di cui il più importante ammonta a 200 miliardi di lire. Nella loro nota, i commissari liquidatori dichiarano di non essere in grado di prevedere se ci saranno delle ripartizioni dell’attivo in favore del ricorrente, essendo questa possibilità condizionata dall’esito delle procedure di recupero dei crediti e dalle esigenze di ristabilimento di una protezione identica per tutti i creditori (par condicio creditorum).Il ricorrente prevede che molto probabilmente nessun altro pagamento sarà fatto in suo favore.
15.§ Secondo le informazioni fornite dal Governo il 26 febbraio 2001, la procedura di amministrazione straordinaria era, a questa data, ancora pendente di fronte ai commissari liquidatori. 

II. Il DIRITTO INTERNO PERTINENTE

16.§ All’epoca dei fatti, la procedura di amministrazione straordinaria era disciplinata dalla legge n. 95 del 3 aprile 1979 (qui di seguito indicata come “legge Prodi”) e dagli articoli 195 e seguenti del Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942 (qui di seguito indicata come “legge fallimentare”). La legge si applicava principalmente alle imprese commerciali aventi un numero di dipendenti non inferiore a trecento e di cui la massa dei crediti ammontava a 35.000.000.000 lire ( circa 120.690.000 FF) o più, superando cinque volte il valore del capitale sociale versato. L’applicazione dell’amministrazione straordinaria escludeva la possibilità di dichiarare il fallimento dell’impresa , che era autorizzata a continuare la sua attività produttiva per una durata determinata, in ogni caso non superiore a cinque anni ( articolo 2 §§ 1 e 2 della legge Prodi).
17.§ La procedura era preceduta da una fase preliminare davanti il tribunale civile, che dichiarava che l’impresa non era in grado di far fronte ai propri debiti. L’amministrazione straordinaria propriamente detta era in seguito dichiarata dal ministro dell’industria e diretta da uno o tre commissari liquidatori (articolo 1 §§ 5 e 6 della legge Prodi). Quest’ultimi erano incaricati di verificare lo stato dei crediti e di formulare un “piano di risanamento ( articolo 2 §§ 4 e 5 della legge Prodi) mirante a salvaguardare il valore tecnico, commerciale e produttivo dell’impresa in difficoltà così come i posti di lavoro.
18.§ Nel corso della procedura di amministrazione straordinaria, nessun creditore poteva introdurre davanti l’autorità giudiziaria delle domande individuali in esecuzione miranti ad attaccare direttamente il patrimonio della società debitrice (articoli 201 e 51 della legge fallimentare). Ogni credito, anche privilegiato, doveva essere dapprima verificato secondo la procedura prevista dagli articoli 207 e 209 della legge fallimentare, che , nelle parti pertinenti, così si leggono :
“Entro un mese dalla nomina, il commissario comunica a ciascun creditore (…) le somme risultanti a credito di ciascuno secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa (…). Entro quindici giorni dal ricevimento della raccomandata, i creditori (…) possono far pervenire al commissario le loro osservazioni ed istanze”.
“(...) Entro novanta giorni dalla data del provvedimento di liquidazione, il commissario forma l’elenco dei crediti ammessi o respinti (..) e lo deposita nella cancelleria del luogo dove l’impresa ha la sede principale (..). Con il deposito in cancelleria, l’elenco diventa esecutivo.”
19.§ I(l) commissari(o) si occupa(no) in seguito della liquidazione dell’attivo (articoli 210 e 211 della legge fallimentare) e della ripartizione ai creditori delle somme ottenute ( articolo 212 della legge fallimentare). Secondo il disposto dell’articolo 213 della legge fallimentare, il bilancio finale di liquidazione ed il piano di ripartizione ai creditori erano depositati alla cancelleria del tribunale. Entro un termine di venti giorni a partire dalla comunicazione dell’avvenuto deposito, i creditori avevano la facoltà di contestare il bilancio ed il piano di ripartizione davanti il tribunale civile (paragrafo 2 dell’articolo 213 già citato).
20.§ La chiusura della procedura d’amministrazione straordinaria era pronunciata, ad istanza dei commissari o d’ufficio, da un’autorità di controllo (autorità di vigilanza rticolo 6 § 6 della legge Prodi).
21.§ La legge Prodi è stata in seguito abrogata da un decreto legislativo n. 270 dell’otto luglio 1999, entrato in vigore alla fine di agosto 1999. Quest’ultimo ha ugualmente introdotto una nuova regolamentazione della procedura d’amministrazione straordinaria, prevedendo segnatamente la possibilità per ogni creditore di contestare davanti le autorità giudiziarie gli atti del commissario liquidatore ( articolo 17 del decreto-legge n. 270 dell’otto luglio 1999).
IN DIRITTO

1.SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N.1

22.§ Il ricorrente sostiene che a causa della lentezza della procedura di amministrazione straordinaria, egli non ha potuto ottenere il pagamento delle somme che gli erano dovute a titolo di salari non pagati e ferie non godute. Nella sua decisione sulla ricevibilità del ricorso, la Corte ha ritenuto che questa doglianza va esaminata sotto l’angolazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che così recita:

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”
23.§ Il Governo osserva che ogni interferenza con il diritto di proprietà del ricorrente è stata conforme all’interesse generale e che le autorità nazionali non hanno infranto il giusto equilibrio richiesto in materia fra le esigenze della collettività e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.

A Sull’esistenza di un “bene” ai sensi dell’articolo 1

24.§ Secondo la giurisprudenza degli organi della Convenzione, un profitto futuro costituisce un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 se il guadagno e’ stato acquisito o è stato oggetto d’un credito esigibile ( sentenza Ambruosi c.Italia del 19 ottobre 2000, non pubblicata, § 20; vedere anche Størksen c. Norvegia, ricorso n. 19819/92, decisione della Commissione del 5 luglio 1994, Décisions et rapports (DR) 78-B, pp. 88-89 e 94-95).
25.§ Nel caso di specie, la Corte osserva che il ricorrente è stato impiegato in qualità di quadro presso la società a responsabilità limitata F. dall’ 8 maggio 1989 al 6 luglio 1995, e che non aveva ottenuto più la sua retribuzione dal gennaio 1995 ( paragrafo 8 qui sopra). Inoltre, l’otto aprile 1999, la citata società ha informato il ricorrente che l’insieme dei crediti, verificati nel quadro della procedura di amministrazione straordinaria, ammontava a 203.954.032 lire italiane ( paragrafo 12 qui sopra). Il debitore lui stesso avendo riconosciuto il diritto del ricorrente ad ottenere il pagamento di una somma di denaro, la Corte considera che il ricorrente è titolare di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

B Sull’esistenza di un’ingerenza

26.§ La Corte ritiene che c’è stata un’ingerenza nel diritto di proprietà del ricorrente come garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1. In effetti, in seguito all’adozione della procedura d’amministrazione straordinaria, il suo “bene” è stato gestito da un organo dello Stato e l’interessato si è trovato, durante un certo tempo, nell’impossibilità d’esigere il pagamento del suo credito.

C La regola applicabile

27.§ L’articolo 1 del Protocollo n. 1, che garantisce in sostanza il diritto di proprietà, contiene tre norme distinte ( sentenza James e altri c. Regno Unito del 21 febbraio 1986, serie A n. 98, pp. 29-30, § 37, e Immobiliare Saffi c. Italia (GC), n. 22774/93, § 44, CEDH 1999V): la prima, che è espressa nella prima frase del primo comma e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso comma, prevede la privazione della proprietà e la sottomette a determinate condizioni; quanto alla terza, collocata nel secondo comma, essa riconosce agli Stati contraenti il potere, tra gli altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. La seconda e la terza, che derivano da esempi particolari di attentati al diritto di proprietà, devono interpretarsi alla luce del principio consacrato dalla prima (sentenza Air Canada c. Regno Unito del 5 maggio 1995, serie A n. 316-A, p. 15, § 30).
28.§ La Corte osserva che non c’è stato nella specie né l’espropriazione di fatto né il trasferimento di proprietà, in quanto il diritto del ricorrente ad ottenere il pagamento del suo credito non è stato mai messo in dubbio. L’applicazione della procedura d’amministrazione straordinaria si analizza nella regolamentazione dell’uso dei beni. Il secondo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 ha influenza in questo caso.

D Il rispetto delle condizioni del secondo comma

1.Scopo dell’ingerenza

29.§ La Corte riconosce che la procedura d’amministrazione straordinaria mira ad assicurare una gestione equa dei beni dell’impresa in liquidazione, in vista di garantire una protezione identica per tutti i creditori. Ne consegue che l’ingerenza in questione perseguiva degli scopi legittimi conformi all’interesse generale, vale a dire una buona amministrazione della giustizia e la protezione dei diritti altrui.

2. Proporzionalità dell’ingerenza

30.§ La Corte ricorda che una misura d’ingerenza, particolarmente quella di cui all’esame del secondo paragrafo dell’articolo 1, deve avere riguardo ad un “giusto equilibrio” tra gli imperativi dell’interesse generale e quelli della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. La ricerca di un simile equilibrio si riflette nella struttura dell’articolo 1 nel suo insieme, quindi anche nel secondo comma: deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo ricercato. Controllando il rispetto di questa esigenza, la Corte riconosce allo Stato un grande margine d’apprezzamento sia per scegliere le modalità di messa in opera sia per giudicare se le loro conseguenze sono legittime, nell’interesse generale, nella preoccupazione di raggiungere l’obiettivo della legge in causa (sentenze Chassagnou et autres c. Francia ( GC), n. 20588/94, 28331/95 e 28443/95, §75, CEDH 1999-III, e Immobiliare Saffi c. Italia, già citata, § 49).
31.§ La Corte osserva che in linea di massima un sistema di sospensione temporanea del pagamento dei crediti di una impresa commerciale in crisi autorizzata a continuare la sua attività produttiva nell’interesse dell’economia nazionale, non è criticabile in sé, visto in particolare il margine di apprezzamento autorizzato dal secondo comma dell’articolo 1. Tuttavia, un tale sistema comporta il rischio d’imporre ai creditori un carico eccessivo quanto alla possibilità di ottenere i loro beni e deve quindi prevedere alcune garanzie di procedura per controllare che la messa in opera del sistema e la sua incidenza sul diritto di proprietà dei singoli non siano arbitrari né imprevedibili( vedere, mutatis mutandis, sentenza Immobiliare Saffi c. Italia, già citata, § 54).
32.§ Ora, la Corte fa osservare che il sistema italiano in vigore all’epoca dei fatti soffriva di una certa rigidità: in effetti, una volta iniziata la procedura di amministrazione straordinaria, nessun creditore poteva introdurre davanti le autorità giurisdizionali delle domande individuali di esecuzione miranti ad attaccare il patrimonio della società debitrice, ogni credito, anche privilegiato, doveva dapprima essere verificato dai commissari liquidatori (paragrafo 18 qui sopra). Solo il deposito, da parte di questi ultimi, del bilancio finale di liquidazione e del piano di ripartizione apriva ai creditori la possibilità di contestare, davanti al tribunale civile, le somme che erano state loro accordate (paragrafo 19 qui sopra). In aggiunta, i creditori non disponevano di alcuno mezzo effettivo per controllare l’attività dei commissari liquidatori o per sollecitare il compimento dei compiti che erano stati loro affidati.
33.§ La Corte deve tuttavia verificare se, tenuto conto dello stato finanziario della società F. e delle circostanze particolari del caso di specie, la durata della procedura di amministrazione straordinaria ha violato il diritto di proprietà del ricorrente.
34.§ A questo riguardo, occorre osservare che la società F. ha da molto tempo cessato la sua attività produttiva e che l’ammontare globale dei suoi debiti arriva a circa 1.104 miliardi di lire. La massa attiva del patrimonio è costituita da certi immobili, in parte ipotecati, e da crediti, il cui pagamento è incerto e di cui l’ammontare è in ogni caso largamente inferiore a l’insieme delle passività (paragrafo 14 qui sopra). La Corte osserva che il ricorrente ha già ottenuto il versamento di più di un terzo della somma che sollecitava ( vedere paragrafo 13 qui sopra). Per ciò che concerne la possibilità di ottenere il residuo di quella , la Corte osserva che i commissari liquidatori prevedono che la risposta all’interrogativo se il ricorrente otterrà altri pagamenti in suo favore è condizionata dall’esito della procedura che essi hanno intentato al fine di recuperare i crediti della società F. ( paragrafo 14 qui sopra). Il ricorrente lui stesso prevede con una forte probabilità che nessun pagamento sarà fatto in suo favore.
35.§ Alla luce di quanto precede, la Corte reputa che la causa principale del ritardo nel pagamento del credito del ricorrente non è la lunghezza o la natura della procedura di liquidazione, ma piuttosto la mancanza di risorse finanziarie del debitore e le difficoltà di recuperare i suoi crediti, circostanze che non si saprebbe come mettere a carico dello Stato. Quest’ultimo quindi non ha infranto, nel caso di specie, l’equilibrio che deve esistere in materia tra la protezione del diritto dei singoli al rispetto dei loro beni e le esigenze dell’interesse generale. 
Di conseguenza, non c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

2. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

36.§ Il ricorrente deduce che non ha avuto la possibilità di far valere i suoi diritti davanti ad un’istanza nazionale capace di offrirgli una tutela adeguata. Egli invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti, così è formulato :

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata(...) da un tribunale (...) che si pronuncerà (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile.”

37.§ Il Governo osserva che il ricorrente deve dapprima sottomettere le sue pretese al commissario liquidatore, e che egli potrà contestare lo stato dei crediti davanti le autorità giurisdizionali dopo il deposito in cancelleria di quest’ultimo. In ogni caso, egli avrà diritto alla concessione di una somma a titolo di svalutazione della moneta.
38.§ Il ricorrente osserva che solo lo stato dei crediti può essere impugnato davanti le autorità giurisdizionali e sottolinea che egli non dispone, nel diritto italiano, di alcun mezzo efficace per accelerare la procedura d’amministrazione straordinaria.
39.§ La Corte osserva che l’essenza della doglianza del ricorrente si fonda sull’impossibilità di sottomettere davanti ad un’istanza nazionale, prima del deposito dello stato dei crediti, una domanda di pagamento delle somme dovute o di contestare gli atti del commissario liquidatore. Di conseguenza, essa prevede di esaminare questa doglianza sotto il profilo generale dell’obbligazione, che l’articolo 13 della Convenzione fa pesare sugli Stati, di offrire un ricorso effettivo che permetta di lamentarsi delle violazioni della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, sentenza Aksoy c. Turchia del 18 dicembre 1996, Recueil 1996-VI, pp. 2285-2286, §§ 92-94).

3. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

40.§ L’articolo 13 della Convenzione così è formulato :
“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.

41.§ Ai sensi della giurisprudenza della Corte, l’articolo 13 garantisce l’esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta la prevalenza dei diritti e delle libertà della Convenzione, così come vi si possono trovare consacrati. Questa disposizione ha dunque come conseguenza di esigere, per le lagnanze che si possono stimare “difendibili” riguardo alla Convenzione od ai suoi Protocolli, un ricorso interno che abiliti l’istanza nazionale competente di conoscere il contenuto del ricorso ed offrire una riparazione appropriata, anche se gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento quanto al modo di conformarsi ai doveri previsti da questa disposizione. La portata dell’obbligo derivante dall’articolo 13 varia in funzione della natura della doglianza che il ricorrente fonda sulla Convenzione. In ogni caso, il ricorso richiesto deve essere “effettivo” sia in pratica sia in diritto, nel senso in particolare che il suo esercizio non deve essere ostacolato in modo ingiustificato dagli atti od omissioni delle autorità dello Stato convenuto (sentenze Aydin c. Turchia del 25 settembre 1997, Recueil 1997-VI, p. 1895, § 103, e Kaya c. Turchia del 19 febbraio 1998, Recueil 1998-I, pp. 329-330, § 106; quanto al carattere “difendibile” della doglianza fondata sulla Convenzione, vedere le sentenze Boyle e Rice c. Regno Unito del 27 aprile 1988, serie A n. 131, p. 23, § 52, e Powell e Rayner c. Regno Unito del 21 febbraio 1990, serie A n. 172, p. 14, § 31).
42.§ Nel caso di specie, il ricorrente aveva una doglianza difendibile sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
43.§ Egli aveva dunque il diritto di presentare la sua doglianza ad un’istanza nazionale capace di offrirgli una riparazione adeguata. Tuttavia, in seguito all’adozione della procedura di amministrazione straordinaria, durante circa quattro anni e due mesi il ricorrente non ha potuto adire nessuna autorità per far valere il suo diritto ad ottenere il pagamento dei suoi crediti o per contestare gli atti del commissario liquidatore, non disponendo allo stesso tempo di nessun mezzo effettivo per sollecitare l’esame del suo fascicolo .
44.§ Di conseguenza, la Corte reputa che le regole fondanti la procedura di amministrazione straordinaria fino alla fine d’agosto 1999, caratterizzate dalla lunghezza della verifica dello stato dei crediti, hanno ostacolato in maniera ingiustificata il suo diritto di disporre di un ricorso “effettivo” ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione.
Di conseguenza, c’e’ stata violazione di questa disposizione.

4. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

45.§ Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Corte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”.

A . DANNO

46.§ Il ricorrente sollecita il versamento di 20.000.000 di lire italiane a titolo di danno morale. Egli deduce inoltre che una procedura giudiziaria rapida ed efficace gli avrebbe permesso di incassare in un tempo ragionevole il residuo della somma a lui dovuta. Quest’ultima ammonta a lire 127.364.132, ciò che corrisponderebbe ad un pregiudizio materiale subito.
47.§ Il Governo ritiene che la semplice constatazione della violazione della Convenzione fornirebbe in sé una equa soddisfazione sufficiente ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione.
48.§ La Corte osserva che l’importo di 127. 364.132 lire italiane, reclamata dal ricorrente a titolo di danno morale, rappresenta l’oggetto della procedura nazionale d’amministrazione straordinaria, la quale era, alla data delle ultime informazioni, ancora pendente. La Corte non saprebbe immaginare, a questo stadio, i risultati a cui potrà pervenire la procedura e sottolinea che in ogni stato della causa la violazione della Convenzione non condiziona, in sé, la formazione dello stato dei crediti da parte dei commissari liquidatori e che il ricorrente potrà eventualmente beneficiare di una somma per compensare la svalutazione della moneta. C’è quindi motivo di rigettare la domanda formulata a titolo di danno materiale. Peraltro, la Corte sostiene che il ricorrente ha subito un torto morale certo. Avuto riguardo delle circostanze della causa caso e statuendo su una base equa come previsto dall’articolo 41 della Convenzione, essa decide di concedergli 10.000.000 di lire italiane.

B. SPESE

49.§ Il ricorrente sollecita il rimborso delle spese legali per la procedura davanti agli organi della Convenzione. Egli domanda 6.919.320 lire italiane.
50.§ Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
51.§ Avuto riguardo agli elementi in suo possesso ed alla prassi in materia, la Corte decide di concedere al ricorrente l’importo sollecitato.

C. INTERESSI MORATORI

52.§ In base alle informazioni di cui dispone la Corte, il tasso d’interesse legale applicabile in Italia alla data d’adozione della presente sentenza era di 3,5 % l’anno.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

1.Dichiara, con cinque voti contro due, che non c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;

2.Dichiara, all’unanimità, che non s’impone di esaminare la doglianza formulata dal ricorrente sul terreno dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;

3.Dichiara all’unanimità, che c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;

4.Dichiara, all’unanimità,
a)che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro i tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti: 10.000.000 di lire italiane per danno morale e 6.919.320 per spese legali;
b) che questi importi saranno maggiorati di un interesse semplice del 3,5 % l’anno a partire dalla scadenza di questo termine fino al versamento; 

5.Rigetta, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il surplus.

Redatta in francese, poi comunicata per iscritto il 25 ottobre 200125 ottobre 2001, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento.

Christos ROZAKIS Presidente
Erik FRIBERGH Cancelliere