ITALIA
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
CASO GHIDOTTI contro ITALIA
SENTENZA del 21 febbraio 2002 Ricorso n° 28272/95
La sentenza così motiva
(traduzione non ufficiale a cura della Dott.ssa Laura De Fazio)
PRIMA SEZIONE
Sentenza del 21 febbraio 2002
sul ricorso n° 28272/95
presentato da GHIDOTTI.
contro l’ Italia
Nel caso GHIDOTTI contro ITALIA, La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, (prima sezione), riunitasi in una camera composta da: C.L ROZAKIS, presidente, F. Tulkens, P. Lorenzen, N. Vajić, E. Levits, A. Kovler, giudici e G. Raimondi, giudice ad hoc , e da E. FRIBERGH, cancelliere di sezione, Dopo averla deliberata, in camera di consiglio il 31 gennaio 2002, rende la seguente sentenza adottata in questa data:
PROCEDURA
.1.§ All'origine del caso vi è un ricorso (n. 28272/95) proposto contro l’Italia presentato alla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo (“la Commissione”) in virtù del vecchio art. 25 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (“la Convenzione”) da parte di una cittadina italiana, Sig.ra Lidia Ghidotti (“la ricorrente”), il 01 giugno 1995.
2.§ . Il Governo Italiano era rappresentato dal suo Agente Sig. U. Lenza e dal suo Co-agente, Sig. V. Esposito.
3.§ La ricorrente lamentava, ex Articolo 1 del Protocollo N. 1, la sua prolungata incapacità di riprendere possesso del suo appartamento per la mancata assistenza della forza pubblica.
4.§ In seguito all’entrata in vigore del Protocollo N. 11 della Convenzione il 01 novembre 1998 ed in conformità con le previsioni dell’Articolo 5 § 2, il ricorso veniva trasmesso alla Corte.
5.§ Il ricorso veniva assegnato alla Seconda Sezione della Corte (Articolo 52 § 1 del Regolamento della Corte). All’interno della Sezione, la Camera che avrebbe esaminato il caso (Articolo 27 § 1 della Convenzione) era costituita secondo quanto previsto nell’articolo 26 § 1 del Regolamento della Corte.
6.§ Il 30 maggio 2000, la Corte ha dichiarato il ricorso ricevibile.
7.§ Il Sig. V. Zagrebelsky, giudice eletto quanto all’Italia, si ritirò dal processo. Il Governo nominò il Sig. G. Raimondi come giudice ad hoc per prendere il suo posto (Articolo 27 § 2 della Convenzione e Regolamento 29 § 2).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO
8.§ La ricorrente è proprietaria di un appartamento a Milano, che aveva dato in locazione a C.F.
9.§ Con lettera A/R del 13 giugno 1989, la ricorrente intimava lo sfratto per finita locazione, scadendo il contratto di locazione il 31 dicembre 1989, e chiedeva al conduttore di lasciare libero l’appartamento per quella data.
10.§ In una intimazione notificata al conduttore il 23 novembre 1989, la ricorrente reiterava la sua intenzione di porre fine alla locazione e invitò il conduttore a comparire di fronte al Giudice di Milano.
11.§ Con decisione del 28 novembre 1989, divenuta esecutiva il 01 dicembre 1989, il Giudice di Milano convalidava l’intimazione di rilascio e ordinava il rilascio dell’appartamento per il 31 dicembre 1990.
12.§ Il 18 febbraio 1991, la ricorrente notificò ordine al conduttore richiedendo di lasciare l’appartamento.
13.§ Il 19 marzo 1991, la ricorrente notificò un ordine al conduttore informandolo che l’ordinanza di rilascio sarebbe stata messa in esecuzione per il tramite dell’ufficiale giudiziario il 12 aprile 1991.
14.§ Il 2 maggio 1991, la ricorrente fece una dichiarazione in cui asseriva di necessitare urgentemente dell’appartamento come alloggio per sé.
15.§ Tra il 12 aprile 1991 e il 27 aprile 1995 l’ufficiale giudiziario fece venti tentativi di sfratto.
16.§ Ogni tentativo si dimostrò infruttuoso, perché alla ricorrente non fu mai riconosciuta l’assistenza della forza pubblica per mettere in esecuzione l’ordinanza di rilascio.
17.§ Il 17 gennaio 1996 alla ricorrente fu riconosciuta l’assistenza della forza pubblica per sfrattare il conduttore; quel giorno, però quest’ultimo dichiarò di essere malato nessun dottore ufficialmente nominato era disponibile per verificare le sue asserzioni. L’ufficiale giudiziario si preparò per effettuare un’altra visita all’immobile per il 6 febbraio 1996. Purtroppo in quella occasione al locatore non venne riconosciuta l’assistenza della forza pubblica ed il conduttore si rifiutò di lasciare l’appartamento, perché stava per ottenere una casa popolare. Il 23 aprile 1996, il conduttore produsse un documento del consiglio comunale in cui si dichiarava che lo stesso avrebbe avuto un appartamento dal 30 aprile 1996.
18.§ Il 17 maggio 1996, il conduttore lasciò l’appartamento.
II. LEGGE NAZIONALE PERTINENTE
19.§ La legge nazionale pertinente è contenuta nella sentenza Immobiliare Saffi contro Italia [GC], n. 22774/93, 28.7.99, §§ 18-35, ECHR 1999-V, da pubblicare.
LA LEGGE
I. ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO
20.§ Il Governo sosteneva che la ricorrente non aveva esaurito tutte le vie di ricorso interne, perciò aveva omesso di instaurare procedimenti amministrativi per impugnare il rifiuto della forza pubblica.
21.§ La Corte considera che il Governo non è ammesso a sollevare eccezioni sulla ricevibilità in questo stadio del procedimento. Questa eccezione deve perciò essere respinta.
II. PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1
22.§ La ricorrente lamentava la sua prolungata impossibilità di riprendere possesso del suo appartamento attraverso l’assistenza della forza pubblica.
Allegava una violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N. 1 della Convenzione, che prevede:
““Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”
A. Legge applicabile
23.§ In relazione ad un caso precedentemente esaminato, la Corte ritiene che c’era stata una ingerenza sul diritto di proprietà della ricorrente che rilevava sotto il controllo dell’uso dei beni e ricade nella previsione del secondo paragrafo dell’art. 1 (vedi sentenza Immobiliare Saffi sopra citata, § 46).
B. Conformità con le previsioni del secondo paragrafo
1. Scopo dell’ingerenza
24.§ La Corte ha precedentemente espresso l’opinione secondo cui la legge impugnata aveva come scopo legittimo l’interesse generale, come richiesto dal secondo paragrafo dell’art. 1 (vedi sentenza Immobiliare Saffi sopra citata, § 48).
2. Proporzionalità dell’ ingerenza
25.§ La Corte ripeteva che un’ingerenza, così come previsto dal secondo paragrafo dell’art. 1 del Protocollo n. 1, deve realizzare un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale e la necessità di proteggere i diritti fondamentali individuali. Ci deve essere una ragionevole relazione di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Nel determinare se questa esigenza sia stata raggiunta, la Corte riconosce che lo Stato gode di un largo margine di apprezzamento in riferimento sia alla scelta dei mezzi di applicazione e sia all’accertamento se le conseguenze dell’applicazione siano giustificate dall’interesse generale per il proposito di conseguire l’oggetto della legge in questione. Nella materia come quella degli alloggi che gioca un ruolo centrale nelle politiche sociali ed economiche delle società moderne, la Corte rispetterà il giudizio della legislazione come manifestazione dell’interesse generale, salvo che il giudizio sia manifestamente senza un ragionevole fondamento (vedi sentenza Immobiliare Saffi sopra citata, § 49 e sentenza Chassagnou e altri c. Francia n. 25088/94, § 75, ECHR-III).
26.§ La ricorrente replicava che l’ingerenza in questione non era proporzionata, in vista della durata e del carico finanziario risultante dall’impossibilità di aumentare il canone. Ciò era particolarmente vero nel suo caso, per il fatto che la stessa aveva fatto una dichiarazione affermando di necessitare urgentemente dell’immobile come alloggio per sé stessa.
27.§ Il Governo faceva notare che l’ingerenza con il diritto della ricorrente di godere pacificamente del suo bene era proporzionata allo scopo legittimo perseguito. Concludeva affermando che, prendendo in considerazione gli interessi sia del locatore che del conduttore, il carico imposto alla ricorrente non era stato eccessivo.
28.§ La Corte considera che, in teoria, il sistema italiano di scaglionare l’esecuzione delle ordinanze dei tribunali non è di per sé oggetto di critica, avendo riguardo in particolare al margine di apprezzamento permesso dal secondo paragrafo dell’art. 1. Tuttavia, tale sistema porta con sé il rischio di imporre ai locatori un eccessivo carico, in relazione alla loro capacità di disporre dei propri beni e deve, di conseguenza, prevedere alcune protezioni procedurali tali da assicurare che l’azione del sistema ed il suo impatto sui diritti di proprietà dei locatori non siano né arbitrari né imprevedibili (vedi mutatis, mutandis, sentenza Immobiliare Saffi sopra citata, § 54).
29.§ La Corte deve perciò accertare se, nel caso de quo, alla ricorrente fossero state offerte sufficienti garanzie come quelle di essere protetta contro l’incertezza e l’arbitrio.
30.§ La Corte osserva che la ricorrente ottenne un’ordinanza di rilascio il 28 novembre 1989, che divenne esecutiva il 01 dicembre 1989. In parte a causa della normativa sullo scaglionamento dell’esecuzione degli sfratti ed in parte per la mancanza della forza pubblica, la ricorrente riprese possesso del suo appartamento il 17 maggio 1996, nonostante il 2 maggio 1991 avesse dichiarato di necessitare urgentemente dell’appartamento. Solo in una occasione, il 17 gennaio 1996, alla ricorrente fu riconosciuta la forza pubblica per sfrattare il conduttore ma inutilmente, poiché il conduttore dichiarò di essere malato e nessun dottore ufficialmente nominato era disponibile per verificare le sue asserzioni.
31.§ Per circa cinque anni ed un mese, la ricorrente fu lasciata in uno stato di incertezza su quando avrebbe ripreso possesso del suo appartamento. Le autorità competenti non sembra che abbiano preso provvedimenti in seguito alla dichiarazione di necessità fatta dalla ricorrente il 2 maggio 1991. Fino al 2 maggio 1991, la ricorrente non poté rivolgersi né al giudice incaricato della procedura forzata né al tribunale amministrativo, che non avrebbe potuto mettere da parte la decisione del prefetto, di dare priorità ai casi pendenti ed urgenti, perché la decisione era interamente legittima (vedi sentenza Immobiliare Saffi sopra citata, § 56).
Dopo aver fatto la dichiarazione che gli dava la priorità, nonostante fossero soddisfatte le condizioni della dichiarazione per l’esecuzione forzata dello sfratto (vedi sentenza Scollo contro Italia, 28 settembre 1994, Serie A 315-C, § 39), la ricorrente non aveva prospettiva di accelerare l’assistenza della forza pubblica, che dipendeva quasi interamente dalla disponibilità degli agenti di polizia. Inoltre, la Corte sottolinea che poco prima dello sfratto le autorità riuscirono a collocare il conduttore in una casa popolare: alla Corte non è stata fornita alcuna informazione sul perché ciò non sia stato fatto prima, e neanche se le autorità fecero alcuno sforzo per collocarlo in quello appartamento prima di quella data.
32.§ Alla luce dei precedenti, la Corte considera che, nelle particolari circostanze di questo caso, un eccessivo carico fu imposto al ricorrente e l’equilibrio che deve esserci tra la tutela del diritto al rispetto dei beni e le esigenze dell’interesse generale, si è rotto in danno del ricorrente.
Conseguentemente, c’è stata una violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N. 1.
II. APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
33.§ L’Articolo 41 della Convenzione prevede:
“Se la Corte dichiara che vi è stata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”
A. Danno
34.§ La ricorrente chiede come riparazione del danno patrimoniale subito un importo pari a 40.000.000 in lire italiane (ITL).
35.§ In riferimento al danno patrimoniale, il Governo ritiene la somma ingiustificata. Riguardo al danno morale, il Governo sostiene che il riconoscimento della violazione costituisce un’equa soddisfazione sufficiente o che la somma debba essere solamente simbolica.
36.§. La Corte ritiene che la ricorrente abbia indubbiamente sofferto a causa della violazione sopra riscontrata (vedi §§ 29-30). Facendo la sua valutazione su una base di equità, la Corte accorda alla ricorrente € 10.000,00 euro.
B. Interessi moratori
37. In base alle informazioni di cui dispone la Corte, il tasso d’interesse legale applicabile in Italia alla data di adozione della presente sentenza è del 3 % annuo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL’UNANIMITA’
1. Rigetta l’eccezione preliminare del Governo;
2. Dichiara che vi è stata una violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N. 1;
3. Dichiara
(a) che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza diviene definitiva ai sensi dell’Articolo 44 § 2 della Convenzione, € 10.000,00 (diecimila euro) per danni;
(b) che un interesse semplice del 3% annuo dovrà essere pagato dalla data di scadenza del termine citato di tre mesi fino al versamento;
4. Rigetta le rimanenti domande della ricorrente di equa soddisfazione.
Redatta in Inglese, poi comunicata per iscritto il 21 febbraio 2002, in applicazione dell’Articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.
Christos Rozakis (Presidente)
Erik Fribergh (Cancelliere)
In conformità con l’Articolo 45 § 2 della Convenzione e del Regolamento 74 § 2 del Regolamento della Corte, la seguente concorde opinione del Sig. Raimondi è annessa a questa sentenza.
Opinione concorde del GiudiceRaimondi
Ho votato a favore del paragrafo 3 del dispositivo della sentenza perché ho ritenuto appropriato di permettere alla Sig.ra Ghidotti, come conseguenza della violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N. 1 che fosse riconosciuta dalla Corte, la somma di € 10.000,00.
Tuttavia, avrei preferito specificare che tale somma è riconosciuta come riparazione del danno morale.
Tale somma, infatti, corrisponde all’ammontare che è normalmente riconosciuto in casi simili giudicati dalla Corte per i danni morali.
La Corte ha deciso di non menzionare la natura dei danni perché la lettera della ricorrente del 1 agosto 2000 era per certi aspetti ambigua, affermando da una parte che non era in grado di provare la sua pretesa su una somma globale di 40.000.000 ITL e dall’altra parte che questa non costituiva danno morale.
Alla fine la Corte decise di riconoscere alla Sig.ra Ghidotti la somma a cui aveva diritto sulla base dei giudizi della Corte per i danni morali in caso di violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N. 1 (sfratto dei conduttori) senza però chiamarlo così.
Dal mio punto di vista la ricorrente scrisse che la pretesa non costituiva danno morale solo in risposta alle osservazioni del Governo sul solo riconoscimento di un simbolico danno morale, ma nella lettera del 1 agosto 2002 la sua intenzione di chiedere il danno morale era perfettamente chiara. Infatti, parlava di “danno personale psicofisico e morale” .
Non vi era ragione perciò, secondo me, di evitare di chiamarlo danno morale. Ciò, per me, avrebbe reso la sentenza più chiara e trasparente.
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