Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo) Violazione dell’articolo 8 della Convenzione (rispetto della vita privata o familiare):assenza d’informazione della popolazione sui rischi corsi e sui provvedimenti da adottare in caso di incidente in una industria chimica nelle vicinanze. GRANDE CAMERA |
(traduzione non ufficiale del sommario, del comunicato stampa e dell’estratto della motivazione a cura del Dott. Silvio Favari) 1.SOMMARIOI. ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE A. Eccezione preliminare del Governo (non esaurimento delle vie di ricorso interne) Prima parte – ricorso d’urgenza (ex articolo 700 codice procedura civile): tale ricorso sarebbe stato un rimedio esperibile qualora la doglianza del ricorrente si fosse fondata sull’assenza di misure volte a ridurre o ad eliminare l’inquinamento; in tal caso, tale ricorso avrebbe verosimilmente portato alla sospensione dell’attività dello stabilimento. Seconda parte – ricorso al giudice penale: avrebbe potuto, al massimo, portare alla condanna dei responsabili dello stabilimento, ma certamente non alla comunicazione di informazioni ai richiedenti. Conclusione: rigetto (diciannove voti contro uno) B. Fondatezza della doglianza Esistenza di un diritto, per i cittadini, di ricevere informazioni: diverse volte riconosciuto dalla Corte, in casi relativi a restrizioni alla libertà di stampa, come corollario della funzione, tipica dei giornalisti, di diffondere informazioni o idee su questioni d’interesse pubblico – le circostanze di questo caso si distinguono nettamente da quelle dei casi suddetti, poiché il ricorrente lamenta un malfunzionamento del sistema introdotto dalla legislazione emanata in materia – il prefetto prepara il piano d’urgenza sulla base del rapporto fornito dallo stabilimento, il piano viene comunicato al servizio della protezione civile il 3 agosto 1993, ma ad oggi i ricorrenti non hanno ancora ricevuto le informazioni pertinenti. Libertà di ricevere informazioni: fa divieto nella sostanza ad ogni governo di impedire a qualcuno di ricevere informazioni che altri gli possa fornire – non potrebbe interpretarsi per imporre ad uno Stato, in circostanze come quelle di specie, l’obbligo positivo di raccogliere e diffondere, motu proprio, informazioni. Conclusioni: inapplicabilità (diciotto voti contro due). II. ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE Effetto diretto delle emissioni nocive sul diritto dei ricorrenti al rispetto della propria vita privata e familiare: ciò conduce ad affermare l’applicabilità dell’articolo 8. I ricorrenti lamentano non un’azione, ma un’omissione dello Stato – l’art. 8 ha essenzialmente ad oggetto la tutela dell’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri – non si limita ad imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questo impegno meramente negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti ad un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Nel caso di specie, occorre verificare se le autorità nazionali hanno adottato le misure necessarie per assicurare la tutela effettiva del diritto degli interessati al rispetto della propria vita privata e familiare. I Ministeri dell’Ambiente e della Sanità adottarono delle conclusioni congiunte sul rapporto di sicurezza presentato dallo stabilimento – tali conclusioni suggerivano al prefetto indicazioni circa il piano d’urgenza, da questi adottato nel 1992, nonché circa le misure di informazione, oggetto di contestazione – ad ogni modo, al 7 dicembre 1995, nessun documento concernente tali conclusioni era pervenuto al Comune di competenza. Gravi pericoli per l’ambiente possono intaccare il benessere delle persone e privarle del godimento del loro domicilio, nocendo così alla loro vita privata e familiare – le ricorrenti sono rimaste, fino al blocco della produzione di fertilizzanti nel 1994, nell’attesa di informazioni essenziali che avrebbero permesso loro di valutare i rischi potenziali per loro ed i loro congiunti, legati al fatto di continuare a risiedere nel territorio di Manfredonia, comune anch’esso esposto al pericolo, nel caso di incidente all’interno dello stabilimento. Lo Stato non ha, pertanto, adempiuto il suo obbligo di tutelare il diritto delle ricorrenti al rispetto della propria vita privata e familiare. Conclusioni: applicabilità dell’articolo e violazione (decisione all’unanimità). III. ARTICOLO 2 DELLA CONVENZIONE
Conclusione: non necessario esaminare il caso alla luce dell’art. 2 (decisione all’unanimità).
IV. ARTICOLO 50 DELLA CONVENZIONEA. Danno Danno patrimoniale: non provato. Danno morale: concessione di un risarcimento a ciascuna ricorrente. B. Spese legali Rigetto della domanda - tenuto conto della sua tardività e della concessione del gratuito patrocinio. Conclusione: lo Stato convenuto è tenuto a pagare una determinata somma a ciascuna ricorrente (decisione all’unanimità).
2.RIFERIMENTI ALLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE9.10.1979, Airey c. Irlanda; 26.3.1987, Leander c. Svezia; 21.2.1990, Powell e Rayner c. Regno Unito; 19.2.1991, Zanghì c. Italia; 27.8.1991, Demicoli c. Malta; 27.8.1991, Philis c. Grecia; 26.11.1991, Observer e Guardian c. Regno Unito; 25.6.1992, Thorgeir Thorgeirson c. Islanda; 9.12.1994, Lόpez Ostra c. Spagna; 8.6.1995, Yağcı e Sargın c. Turchia. RIASSUNTO DEL PROCESSO (comunicato stampa)Il caso in questione trae origine da un ricorso presentato alla Commissione, nell’ottobre 1988, da 40 cittadine italiane. Le ricorrenti risiedono nella città di Manfredonia (Foggia), ad un chilometro dalla quale si trova lo stabilimento chimico ENICHEM AGRICOLTURA S.p.A., situato nel territorio del comune di Monte Sant’Angelo. Nel 1988, la fabbrica fu classificata ad alto rischio, in applicazione dei criteri stabiliti dal Decreto Presidente della Repubblica del 18 maggio 1988, n° 175 (il D.P.R.), con il quale era stata recepita la direttiva delle Comunità europee 82/501/CEE (la c.d. direttiva “Seveso”), riguardante i rischi di incidenti gravi connessi a determinate attività industriali pericolose. Le ricorrenti affermano che durante il suo ciclo produttivo la fabbrica avrebbe liberato nell’atmosfera grandi quantità di sostanze pericolose. Alcuni incidenti si sono verificati nel passato, il più grave il 26 settembre 1976, quando 150 persone furono ricoverate, a causa di un’intossicazione acuta da arsenico (118 operai della fabbrica e 32 persone residenti nelle zone circostanti lo stabilimento, i quali si erano recati nella zona contaminata subito dopo l’incidente o che avevano consumato prodotti alimentari provenienti dalla medesima zona). Secondo il rapporto dell’8 dicembre 1988 della commissione tecnica istituita dal comune di Manfredonia, tenuto conto della localizzazione dello stabilimento, stretto tra il mare e l’altopiano posto alle sue spalle, le emissioni di sostanze nell’atmosfera erano spesso canalizzate verso il territorio di Manfredonia. Il rapporto indicava inoltre che la fabbrica aveva rifiutato un’ispezione della stessa commissione tecnica e rilevava, tra l’altro, che in base ai risultati di uno studio condotto dalla stessa fabbrica, le installazioni di trattamento delle emissioni erano insufficienti e la valutazione di impatto ambientale era incompleta. Nel 1989 lo stabilimento interruppe la produzione di uno dei suoi prodotti, il caprolattame, ma continuò quella dei fertilizzanti, il che giustificò il suo mantenimento nella categoria delle fabbriche ad alto rischio. In risposta ad un’istanza di un deputato europeo rivolta alla Commissione delle Comunità europee del 7 novembre 1989, il Commissario competente indicò che il Governo italiano aveva istruito il caso ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. sopra citato, al fine di controllare la sicurezza delle installazioni ENICHEM e, all’occorrenza, di individuare le misure di sicurezza supplementari che si rendessero necessarie. Per quanto riguarda l’applicazione della direttiva 82/501/CEE, il Governo adottò, nei confronti dell’impresa responsabile, i provvedimenti previsti. Il 2 ottobre 1992, il comitato di coordinamento delle attività di sicurezza in materia industriale, espresse il suo parere sul piano d’urgenza predisposto dal prefetto di Foggia. Il 3 agosto 1993, tale piano fu comunicato al servizio della protezione civile, il cui sotto-segretario scrisse al prefetto il 12 agosto 1993, per assicurargli che il piano sarebbe stato sottoposto, in breve tempo, al comitato di coordinamento per un parere, ed auspicando che il detto piano fosse reso operativo il più presto possibile, tenuto conto delle delicate questioni legate alla pianificazione d’urgenza. Il 14 settembre 1993, i ministri dell’Ambiente e della Sanità prescrissero una serie di aggiustamenti da apportare alle installazioni dello stabilimento, riguardanti la produzione di fertilizzanti e l’eventuale ripresa della produzione di caprolattame, e fornirono al prefetto alcune indicazioni inerenti al piano d’urgenza, nonché le misure di informazione della popolazione prescritte dall’art. 17 del D.P.R. 175/1988. In seguito al fermo, nel 1994, della produzione di fertilizzanti, soltanto una centrale termoelettrica ed alcune installazioni per il trattamento delle acque pure e delle acque di rifiuto, continuano a funzionare. In una lettera datata 7 dicembre 1995, il sindaco di Monte Sant’Angelo affermava che a quella data, l’attività istruttoria era ancora in corso e che nessun documento concernente le sue conclusioni era a lui pervenuto. Egli precisava, inoltre, che il comune era sempre in attesa di ricevere direttive da parte del servizio della protezione civile, al fine di stabilire le misure di sicurezza da adottare, nonché le regole da seguire in caso di incidente, che dovevano essere comunicate alla popolazione, e che le misure concernenti l’informazione della popolazione sarebbero state adottate immediatamente dopo le conclusioni dell’attività istruttoria, sempre ché lo stabilimento riprendesse la sua attività. Nel loro ricorso alla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo, siccome quest’ultima lo ha preso in considerazione, le richiedenti lamentavano una violazione del loro diritto all’informazione, tutelato dall’art. 10 della Convenzione, violazione derivante dalla mancata adozione, da parte delle autorità competenti, delle opportune misure d’informazione della popolazione sui rischi e sulle misure da adottare in caso di gravi incidenti, come prescritto dal D.P.R. 17 maggio 1988, n° 175. ESTRATTO DELLA MOTIVAZIONE INTEGRALEB SULLA FONDATEZZA DELLA DOGLIANZA50.§ Resta da stabilire se l’articolo 10 della Convenzione sia applicabile e se sia stato violato. 51.§ Secondo il Governo, questa disposizione si limita a garantire la libertà di ricevere le informazioni senza alcun ostacolo da parte di uno Stato, non imponendo alcun obbligo positivo allo Stato medesimo. Ciò discenderebbe dal fatto che la risoluzione 1087 (1996) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e la direttiva 90/313/CEE del Consiglio delle Comunità Europee, inerenti ai rischi potenziali legati a determinate attività industriali pericolose, non parlano di un diritto ma di un semplice accesso all’informazione. Se vi fosse un obbligo positivo di informazione, sarebbe “estremamente difficile da applicare”, poiché bisognerebbe determinare le modalità ed il momento della divulgazione delle informazioni, oltre che le autorità responsabili di queste ed i suoi destinatari. 52.§ In accordo con le ricorrenti, la Commissione ritiene che l’informazione al pubblico rappresenta ormai uno degli strumenti essenziali per la protezione del benessere e della salute della popolazione, nelle situazioni di pericolo per l’ambiente. Di conseguenza, i termini “questo diritto comprende (…) la libertà di ricevere (…) informazioni”, contenuti nel primo paragrafo dell’articolo 10, andrebbero interpretati come la fonte di un vero diritto a ricevere, segnatamente da parte delle amministrazioni competenti, le informazioni a beneficio delle persone appartenenti a popolazioni che sono state, o potrebbero essere, colpite, da un’attività industriale, o di altra natura, pericolosa per l’ambiente. L’articolo 10 imporrebbe agli Stati non soltanto di rendere accessibili al pubblico le informazioni in materia ambientale, esigenza a cui il diritto italiano sembra già poter rispondere, segnatamente ai sensi dell’ex art. 14 comma 3 della legge n° 349, ma anche degli obblighi positivi di raccolta, elaborazione e divulgazione di tali informazioni che, per loro natura, non potrebbero in altro modo essere portate a conoscenza della collettività. La tutela assicurata dall’articolo 10 svolgerebbe perciò un ruolo preventivo di fronte alle violazioni potenziali della Convenzione, nel caso di gravi danni all’ambiente, trovando essa applicazione ancor prima che si produca una violazione diretta di altri diritti fondamentali, come il diritto alla vita o il diritto al rispetto della vita privata e familiare. 53.§ La Corte non condivide questa tesi. L’esistenza di un diritto per la collettività di ricevere informazioni è stato da essa (Corte, n.d.r.) riconosciuto in diverse occasioni, nei casi relativi a restrizioni alla libertà di stampa, come corollario della funzione, propria dei giornalisti, di divulgare informazioni o idee su questioni di pubblico interesse. (vedi, ad esempio, le sentenze Observer e Guardian c. Regno Unito del 26 novembre 1991, serie A n° 216, p. 30, § 59 b), e Thorgeir Thorgeirson c. Islanda del 25 giugno 1992, serie A n° 239, p. 27, § 63). Le circostanze del caso in questione si distinguono nettamente da quelle dei casi summenzionati, poiché le ricorrenti lamentano un malfunzionamento del sistema previsto dal D.P.R. 175/88, che aveva attuato nell’ordinamento italiano la direttiva 82/501/CEE del Consiglio delle Comunità europee (direttiva “Seveso”), riguardante i rischi di gravi incidenti legati a determinate attività industriali pericolose per l’ambiente e per il benessere delle popolazioni interessate. In effetti, se è vero che il prefetto di Foggia predispose il piano d’urgenza sulla base del rapporto fornito dalla fabbrica e che tale piano venne comunicato al servizio della protezione civile il 3 agosto 1993, ad oggi le ricorrenti non hanno ancora ricevuto le informazioni in questione. (paragrafi 26 e 27 qui sopra). La Corte ricorda che la libertà di ricevere informazioni, menzionata al paragrafo 2 dell’art. 10 della Convenzione, “vieta essenzialmente ad un governo di impedire a qualcuno di ricevere informazioni che altri vogliano o possano pemettere di fornirgli” (sentenza Leander c. Svezia del 26 marzo 1987, serie A n° 116, p. 29, § 74). La suddetta libertà non potrebbe essere interpretata come impositiva per uno Stato, in circostanze come quelle nella fattispecie, di obblighi positivi di raccolta e divulgazione,motu proprio, delle informazioni. 54.§ In conclusione, l’articolo 10 non si applica nella fattispecie. 55.§. Alla luce del paragrafo 45 qui sopra, è necessario esaminare il caso alla luce all’art. 8 della Convenzione. III. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE56.§ Le ricorrenti sostengono davanti alla Corte, sulla base degli stessi fatti, di essere vittime di una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, così formulato: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.” 57.§ La Corte ha il compito di stabilire se l’articolo 8 della Convenzione si applica ed è stato violato. La Corte nota in primo luogo che le ricorrenti risiedono tutte a Manfredonia, a circa un chilometro dallo stabilimento in questione che, a causa della produzione di fertilizzanti e di caprolattame, è stato classificato ad alto rischio nel 1988, in virtù dei criteri stabiliti dal D.P.R. 175/88. Durante il suo ciclo produttivo lo stabilimento ha liberato grandi quantità di gas infiammabile, oltre ad altre sostanze nocive, tra le quali l’anidride d’arsenico. D’altronde, nel 1976, in seguito all’esplosione della torre di lavaggio dei gas di sintesi dell’ammoniaca, diverse tonnellate di soluzione di carbonato e di bicarbonato di potassio, contenenti anidride di arsenico, erano fuoriuscite causando il ricovero in ospedale di 150 persone, a seguito di una intossicazione acuta da arsenico. Inoltre, nel suo rapporto dell’8 dicembre 1988, la commissione tecnica nominata dal comune di Manfredonia affermava in particolare che, a causa della localizzazione dello stabilimento, le emissioni di sostanze nell’atmosfera erano spesso canalizzate verso la città (paragrafi 14-16 qui sopra) L’incidenza diretta di tali emissioni nocive sul diritto delle ricorrenti al rispetto della propria vita privata e familiare porta a concludere per l’applicabilità dell’articolo 8. 58.§ La Corte ritiene poi che le ricorrenti non potrebbero sostenere di aver subito da parte dell’Italia una vera e propria “ingerenza”, nella loro vita privata e familiare: esse lamentano non un atto, ma un’omissione dello Stato. Ad ogni modo, se l’articolo 8 ha essenzialmente ad oggetto la tutela dell’individuo contro le arbitrarie ingerenze dei pubblici poteri, esso non si limita ad imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questo impegno meramente negativo, possono aggiungersi degli obblighi positivi inerenti ad un rispetto effettivo della vita privata o familiare (sentenza Airey c. Irlanda del 9 ottobre 1979, serie A n° 32, p. 17, § 32). In questo caso, è sufficiente verificare se le autorità nazionali hanno adottato le misure necessarie per assicurare l’effettiva tutela del diritto delle interessate al rispetto della propria vita privata e familiare, garantito dall’articolo 8 (sentenza López Ostra c. Spagna del 9 dicembre 1994, serie A n° 303-C, p. 55, § 55). 59.§ Il 14 settembre 1993, ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. 175/88, i ministri dell’Ambiente e della Sanità adottarono conclusioni congiunte sul rapporto di sicurezza presentato dallo stabilimento nel luglio 1989. In esse si prescrivevano delle modifiche migliorative da apportare agli impianti, sia riguardo alla produzione in corso di fertilizzanti, sia nel caso di riavvio della produzione di caprolattame. Sifornivano inoltre indicazioni al prefetto in merito al piano d’urgenza – da questi predisposto nel 1992 - e le misure di informazione della popolazione prescritte dall’articolo 17 del suddetto D.P.R. Ciò nonostante, in una lettera datata 7 dicembre 1995, indirizzata alla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo, il sindaco di Monte Sant’Angelo affermò che, a quest’ultima data, l’istruzione finalizzata alle conclusioni previste dall’articolo 19 proseguiva e che non gli era pervenuto alcun documento riguardante le conclusioni medesime. Egli precisava inoltre che il Comune era sempre in attesa di ricevere, dal servizio della protezione civile, le direttive necessarie per stabilire le misure di sicurezza da adottare e le regole da seguire in caso di incidente e da comunicare alla popolazione, e che le misure concernenti l’informazione alla cittadinanza sarebbero state adottate subito dopo la conclusione dell’istruttoria, nell’ipotesi di un riavvio della produzione dello stabilimento (paragrafo 27 qui sopra). 60.§ La Corte ricorda che gravi danni all’ambiente possono intaccare il benessere delle persone e privarle del godimento del loro domicilio, così nocendo alla loro vita privata e familiare (vedere, mutatis mutandis, la sentenza López Ostra, precitata, p. 54, § 51). Nel caso in questione, le ricorrenti sono rimaste, fino al blocco della produzione di fertilizzanti nel 1994, nell’attesa di informazioni essenziali che avrebbero permesso loro di valutare i rischi che potevano derivare, su di loro e sui loro congiunti, dal fatto di continuare a risiedere nel territorio del comune di Manfredonia, un comune esposto al pericolo nel caso di incidente all’interno dello stabilimento. La Corte constata, quindi, che lo Stato convenuto è venuto meno al suo obbligo di garantire il diritto delle ricorrenti al rispetto della propria vita privata e familiare, violando così l’articolo 8 della Convenzione. Pertanto, vi è stata violazione di tale disposizione. IV. SULLA ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DELLA CONVENZIONE 61.§ Evocando la morte di operai della fabbrica, dovuta al cancro, le ricorrenti sostengono che la mancanza delle informazioni, di cui si discute, ha determinato la violazione del loro diritto alla vita, garantito dall’articolo 2 della Convenzione, che così recita: “1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale, pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il delitto é punito dalla legge con talepena. 2. La morte non si considera inflitta in violazione di questo articolo quando risulta da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: a) per assicurare la difesa di ogni persona dalla violenza illegale; b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta; c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.”
62.§ Tenuto conto della conclusione relativa all’articolo 8, la Corte non ritiene necessario esaminare il caso in relazione all’art. 2.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 50 DELLA CONVENZIONE63.§ Ai sensi dell’articolo 50 della Convenzione, “Se la decisione della Corte dichiara che una decisione presa o una misura ordinata da un’autorità giudiziaria o da ogni altra autorità di una Parte Contraente si trova interamente o parzialmente in contrasto con obbligazioni che derivano dalla (…) Convenzione, e se il diritto interno di detta Parte non permette che in modo incompleto di eliminare le conseguenze di tale decisione o di tale misura, la decisione della Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.” A. DANNO64.§ Le interessate chiedono il risarcimento di un danno “biologico”, nella misura di 20 miliardi di lire italiane. 65.§ Secondo il Governo, le ricorrenti non hanno provato di aver subito un danno né lo hanno esposto nei dettagli. Nel caso in cui la Corte affermasse l’esistenza di un danno morale, il riconoscimento della violazione costituirebbe, di per sé, un’equa soddisfazione. 66.§ Il delegato della Commissione invita la Corte ad accordare alle interessate un risarcimento adeguato e proporzionato al danno considerevole da loro subito. Egli suggerisce la somma di 100 milioni di lire italiane, per ciascuna ricorrente. 67.§. La Corte ritiene che le interessate non hanno dimostrato l’esistenza di un danno patrimoniale, derivante dall’addotta mancanza d’informazioni. Per il resto, la Corte stima che le ricorrenti hanno subito un sicuro danno morale e decide di accordar loro la somma di 10 milioni di lire italiane per ciascuna. B. SPESE LEGALI68.§. Le interessate hanno ottenuto il gratuito patrocinio presso la Corte per l’ammontare di 16.304 franchi francesi, ma in sede di udienza, il loro difensore ha presentato in cancelleria una domanda volta ad ottenere una somma più consistente, a titolo dei suoi onorari. 69.§ Né il Governo, né il delegato della Commissione si sono pronunciati su questo punto.
70.§ Tenendo conto della somma già accordata a titolo di gratuito patrocinio e del deposito tardivo della domanda suddetta (articoli 39 § 1 e 52 § 1 del regolamento B della Corte), la Corte decide di non accogliere tale domanda. C. ALTRE PRETESE71.§ Le interessate chiedono infine alla Corte di obbligare lo Stato convenuto a procedere al risanamento di tutta la zona industriale in questione ed a realizzare uno studio epidemiologico sul territorio e sulle popolazioni interessate, oltre ad un’inchiesta volta ad evidenziare le eventuali gravi conseguenze per gli abitanti più esposti alle sostanze presumibilmente cancerogene. 72.§ Il Governo ritiene tali pretese infondate. 73.§ Secondo il delegato della Commissione, la realizzazione di un’inchiesta approfondita ed efficace da parte delle autorità nazionali, nonché la pubblicazione e la comunicazione alle richiedenti di un rapporto completo e preciso su tutti gli aspetti riguardanti l’attività dello stabilimento durante il periodo relativo ai fatti in questione, compresi i danni effettivamente causati all’ambiente ed alla salute delle persone, consentirebbero di adempiere, insieme al versamento di un’equa soddisfazione, l’obbligo previsto dall’art. 53 della Convenzione. 74.§ La Corte ritiene che quest’ultimo non le consenta di accogliere tale richiesta. Ricorda che spetta allo Stato la scelta degli strumenti da utilizzare nel suo ordinamento giuridico per conformarsi alle disposizioni della Convenzione o per rimediare ad una situazione che ha determinato una violazione (vedere, mutatis mutandis, le sentenze Zanghì c. Italia del 19 febbraio 1991, serie A n° 194-C, p. 48, § 26, Demicoli c. Malta del 27 agosto 1991, serie A n° 210, p. 19, § 45, e Yağcı e Sargın c. Turchia dell’ 8 giugno 1995, serie A n° 319-A, p. 24, § 81). D. INTERESSI DI MORA75.§ Secondo le informazioni di cui dispone la Corte, il tasso legale annuale applicabile in Italia alla data di emissione della presente sentenza è del 5%. PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE1. Rigetta, per diciannove voti contro uno, l’eccezione preliminare del Governo; 2. Dichiara, per diciotto voti contro due, che l’articolo 10 della Convenzione non si applica nel caso in questione; 3. Dichiara, all’unanimità, che l’articolo 8 della Convenzione si applica ed è stato violato; 4. Dichiara, all’unanimità, che non vi è spazio per esaminare il caso anche alla luce dell’articolo 2 della Convenzione; 5. Dichiara, all’unanimità: a) che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi, 10.000.000 di lire italiane a ciascuna ricorrente per il danno morale subito; b) che a tale somma va aggiunto un interesse semplice del 5% annuale, calcolato dalla scadenza del detto termine fino alla data del versamento; 6. Rigetta, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il surplus. Redatta in francese ed in inglese, quindi letta in pubblica udienza al Palazzo dei Diritti dell’Uomo, a Strasburgo, il 19 febbraio 1998. Rudolf Bernhardt (Presidente) |