sentenza 18 dicembre 2002

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo) GRANDE CAMERA CASO  N.C. contro ITALIA SENTENZA del 18 dicembre  2002  Ricorso n° 24952/94.  Non-violazione dell’articolo  5 paragrafo 5   della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, (diritto alla libertà e alla sicurezza) (per non aver proposto il ricorrente davanti ai giudici nazionali il procedimento per la riparazione per l’ingiusta detenzione ai sensi dell’articolo 314 del codice di procedura penale italiano).

 

(traduzione non ufficiale del comunicato stampa a cura dell’avv. Maurizio de Stefano).

1. Principali fatti
2.

Il ricorrente, N. C., è un cittadino italiano, nato nel 1951 e residente a Velenzano (Bari).

Sospettato d’aver commesso i reati di abuso di potere e di corruzione nell’esercizio delle sue  funzioni di direttore tecnico, consulente tecnico ed economico, e procuratore speciale ed agente della società X, il ricorrente fu arrestato il 3 novembre 1993. Secondo le dichiarazioni di testimoni, egli era accusato di aver fatto  nominare il sig.  Y, assessore all’urbanistica del comune  di Brindisi, alle funzioni d’ingegnere capo di un  progetto di costruzione di una strada e direttore dei lavori in seconda  per i lavori  di costruzione del nuovo carcere  di Lecce, in contropartita di false dichiarazioni fatte da quest’ultimo a beneficio della società X.

Con una decisione del 13 novembre 1993, il tribunale di Brindisi rigettò la istanza di scarcerazione presentata dal  ricorrente, in ragione che sussistevano contro di lui gravi indizi di colpevolezza, ma rilevando che egli era incensurato , il tribunale accolse la sua istanza subordinata e gli concesse gli arresti domiciliari. Il ricorrente chiese l’annullamento dell’ordinanza d’assegnazione agli arresti domiciliari in considerazione del fatto che egli era stato  destituito dalla carica di direttore tecnico  della società X, ed, il 20 dicembre 1993, il tribunale di Brindisi ordinò la sua scarcerazione  immediata.

Con una sentenza del 15 aprile 1999, il tribunale di Brindisi prosciolse  il ricorrente con la formula  perché il fatto non sussiste. Questa sentenza divenne irrevocabile il 14 ottobre 1999.

2. Procedura e composizione della Corte

Il ricorso è stato presentato davanti alla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo il 28 aprile 1994 e trasmesso alla Corte il 1° novembre 1998. Il ricorso è stato dichiarato ricevibile il  15 dicembre 1998 e, l’11 gennaio 2001, la Corte nella Camera della seconda sezione ha emesso una sentenza che ha concluso per  quattro voti contro tre, che non vi era stata violazione dell’articolo 5 paragrafo 5 della Convenzione. Il 4 aprile 2001, il ricorrente ha chiesto il rinvio del caso davanti alla  Grande Camera conformemente all’articolo 43 ( rinvio davanti alla  Grande Camera) della Convenzione, ed il  5 settembre 2001, il collegio della  Grande Camera ha accettato la predetta  istanza.

La sentenza è stata pronunciata dalla  Grande Camera composta da 17 giudici , segnatamente  :

Luzius Wildhaber (Svizzero), presidente 
Jean-Paul Costa (Francese),
Georg Ress (Tedesco), 
Gaukur Jörundsson (Islandese, 
Elisabeth Palm (Svedese),
Lucius Caflisch (Svizzero), 
Pranas Kūris (Lituano),
Ireneu Cabral Barreto (Portoghese),
Corneliu Bîrsan (Rumeno), 
Josep Casadevall (Andorrano),
Boštjan Zupančič (Sloveno),
Matti Pellonpää (Finlandese),
Hanne Sophie Greve (Norvegese),
András Baka (Ungherese),
Snejana Botoucharova (Bulgara), 
Anatoli Kovler (Russo),
Vladimiro Zagrebelsky (Italiano), giudici,
così come da Paul Mahoneycancelliere.

3. Riassunto della sentenza

Doglianze

Invocando l’articolo 5 paragrafo 5 della Convenzione, il ricorrente deduceva che il  diritto italiano non gli aveva permesso di chiedere la riparazione del pregiudizio subito in conseguenza di una  custodia cautelare, che  secondo  lui non aveva rispettato  l’articolo 5 § paragrafo 1 c) e 3 della Convenzione.

Decisione della Corte

La Corte ricorda che il  diritto alla  riparazione enunciato nell’articolo 5 paragrafo 5 suppone che sia stata accertata, da un’  autorità nazionale o dagli organi della Convenzione, una  violazione di uno degli altri  paragrafi di questa  disposizione . Nel caso di specie , le autorità nazionali non hanno dichiarato che  la custodia cautelare o l’assegnazione agli arresti domiciliari del ricorrente erano illegali o contrari all’articolo 5 della Convenzione. Benché il  ricorrente abbia presentato alla Corte  delle argomentazioni  tendenti a dimostrare che le  misure privative della libertà adottate a suo carico fossero contrarie all’articolo 5 paragrafo 1 c) e 3, la Corte non ritiene  necessario indagare sul punto se queste disposizioni sono state violate , perché anche a voler supporre che lo siano state , non sussiste nella specie alcuna apparenza della  violazione del paragrafo 5 dell’articolo 5.

La Corte osserva che  l’articolo 314 del codice di procedura penale (C.P.P.) italiano prevede la possibilità per una persona che è stata assolta , d’intentare una azione in riparazione quando è accertato che i  fatti di cui era stato accusato non sussistevano, che egli non li ha commessi, che essi non costituivano reato o che non erano previsti dalla legge come reato. Nella fattispecie, il ricorrente avrebbe potuto proporre  una domanda fondata sull’articolo 314 del C.P.P. a decorrere dal momento in cui la sentenza che lo aveva prosciolto era divenuta irrevocabile , cioè il  14 ottobre 1999. Per conseguenza, l’ordinamento giuridico italiano garantiva al  ricorrente, con un grado di sufficiente certezza , un diritto alla riparazione in conseguenza della  custodia cautelare che egli aveva subito.

La Corte osserva che dopo il suo proscioglimento, il ricorrente poteva chiedere la riparazione per il solo fatto della sua custodia cautelare, senza dover provare che essa era stata illegale o eccessivamente lunga. Per accordare questa  riparazione, le giurisdizioni nazionali avrebbero potuto basare la loro decisione sul solo fatto che il proscioglimento dell’imputato aveva reso la sua  custodia cautelare <<ingiusta>>, indipendentemente da ogni  considerazione circa la sua illegalità. In queste condizioni, la Corte considera che la compensazione dovuta al  ricorrente secondo il  C.P.P. italiano si confonde con quella a cui egli avrebbe avuto diritto in applicazione dell’articolo 5 paragrafo 5 della Convenzione. A tal riguardo, è opportuno notare che l’articolo 314 del C.P.P. non effettua alcuna  distinzione quanto all’ammontare liquidato a titolo di  compensazione a seguito di un proscioglimento o per il fatto dell’illegalità della custodia cautelare. Di  conseguenza, la Corte considera che non vi è stata violazione dell’articolo 5 paragrafo 5 della Convenzione.