sentenza 17 ottobre 2002

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)
CASO TERAZZI S.A.S. contro ITALIA
SENTENZA del 17 ottobre 2002 Ricorso n° 27265/95

Violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (protezione della proprietà) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in ipotesi reiterazione di vincoli di inedificabilità preordinati all’esproprio di un terreno per la durata di oltre trenta anni, senza effettivo esproprio e senza alcuna forma di indennizzo.
La Corte si riserva di decidere sull’equa soddisfazione spettante alla società ricorrente proprietaria del terreno.

 

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)
CASO TERAZZI S.A.S. contro ITALIA
SENTENZA del 17 ottobre 2002 Ricorso n° 27265/95
QUARTA SEZIONE

La sentenza così motiva
( traduzione non ufficiale a cura del dott. Corrado Quinto)
Nel caso TERAZZI S.r.l. contro Italia,

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo (quarta sezione), riunitasi in una camera composta di:
NICOLAS BRATZA, presidente, M. PELLONPAA, B. CONFORTI, A. PASTOR RIDRUEJO, E. PALM, M. FISCHBACH, J. CASADEVALL, giudici,
e di F. ELENS-PASSOS, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo averla deliberata in camera di consiglio il 26 settembre 2002,
rende la seguente sentenza, adottata in questa data:

PROCEDURA

1§ All’origine del caso vi è un ricorso (n° 27265/95) diretto contro la Repubblica italiana, con il quale una società in accomandita semplice di diritto italiano, la società Terazzi S.a.s. (“la ricorrente”), trasformata in società a responsabilità limitata a partire dal 12 novembre 1994, aveva adito la Commissione europea dei Diritti dell’Uomo (“la Commissione”) il 12 agosto 1994, in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2§ La ricorrente che agisce per il tramite del suo rappresentante legale, è rappresentata davanti alla Corte dagli avvocati Codacci Pisanelli e G. Lavitola, avvocati del foro di Roma. Il governo Italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, Signor U. Leanza e dal suo coagente, Signor V. Esposito.
3§ La ricorrente denunciava la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n°1 a motivo del vincolo di inedificabilità che gravava sul suo terreno così come la violazione dell’articolo 6 della Convenzione in ragione della durata eccessiva di una procedura. Il 2 luglio 1997, la Commissione ha deciso di portare alla conoscenza del Governo la doglianza circa la violazione ingiustificata del diritto al rispetto dei beni della ricorrente, invitandolo a presentare per iscritto delle osservazioni sulla sua ricevibilità e sulla sua fondatezza; essa ha dichiarato irricevibile il resto del ricorso.
4§ Il ricorso è stato trasmesso alla Corte il 1° novembre 1998, data dell’entrata in vigore del protocollo n°11 della Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo n°11).
5§ Il ricorso è stato assegnato alla prima sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). In seno a questa, la camera incaricata di esaminare il caso (articolo 27 § 1 della Convenzione) è stata costituita conformemente all’articolo 26 § 1 del regolamento.
6§ Con una decisione del 30 marzo 1999, la camera ha dichiarato il ricorso parzialmente ricevibile (articolo 54 § 4 del regolamento).
7§ Sia la ricorrente che il Governo hanno depositato osservazioni scritte sul merito del caso (articolo 59 § 1 del regolamento). D’altra parte, dopo avere consultato le parti, la camera ha deciso che non era necessario tenere un’udienza (articolo 59 § 2 del regolamento).
8§ Il 1°novembre 2001, la Corte ha ricomposto le sue sezioni (articolo 25 § 1 del regolamento). Il presente ricorso è stato assegnato alla nuova quarta sezione.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE

9§ La ricorrente è proprietaria di un terreno di circa 50.000 metri quadri, situato nel comune di Roma ed iscritto al catasto, foglio 435, (particelle n° 33, 34, 35, 36, 39 e 41) e foglio 437 (particelle n° 14, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 44, 45, 53p, 54p, 56, 57, 58, 59, 60 e 95).
10§ Con due decreti ministeriali del 30 maggio 1961 e del 1° giugno 1963, il terreno della ricorrente fu assoggettato alle disposizioni sulla tutela del paesaggio (vincolo archeologico e paesaggistico), ai sensi della legge n° 1497 del 1939. Di conseguenza ogni progetto di modifica del terreno era sottoposto all’autorizzazione preliminare dell’ufficio ministeriale competente (soprintendenza). Il terreno non diveniva per questo fatto inedificabile. 

A. Il primo vincolo di inedificabilità in vista dell’esproprio del terreno

11§ Il 18 dicembre 1962, il comune di Roma adottò una delibera in vista dell’adozione di un nuovo piano regolatore che destinava la maggior parte del terreno della ricorrente alla creazione di un parco pubblico (verde pubblico). 
12§ Il 16 dicembre 1965, il nuovo piano regolatore generale di Roma (di seguito PRG) fu approvato con un decreto del Presidente della Repubblica. Il PRG destinava a “verde pubblico” (zona N) la maggior parte del terreno della ricorrente e colpiva il predetto terreno con vincolo assoluto di inedificabilità in vista del suo esproprio.
13§ Tale vincolo di inedificabilità in vista dell’esproprio, all’origine imposto sine die, fu sottoposto ad un termine di cinque anni con la legge del 19 novembre 1968, n° 1187, a partire dall’entrata in vigore di questa legge, nel caso in cui nessun piano particolareggiato urbanistico fosse adottato.
14§ Nel 1973, alla scadenza del termine di cinque anni, nessun piano urbanistico particolareggiato era stato adottato.
15§ Tuttavia, il divieto controverso non cessò in quel momento poiché fu prorogato ex lege (legge N° 756 del 1973, decreto-legge n°562 del 1975, legge n° 696 del 1975, decreto-legge n°781 del 1976, legge n° 6 del 1977 fino all’entrata in vigore della legge n°10 del 1977.)

B. Periodo che va dal 1977 al 1990

16§ L’origine delle restrizioni gravanti sul terreno durante il periodo in causa costituiscono un punto controverso.
17§ Secondo la ricorrente il vincolo di inedificabilità controverso, imposto dal PRG in vista dell’esproprio, avrebbe cessato i suoi effetti nel 1977; da allora in attesa della decisione del comune di Roma circa la nuova destinazione da dare al terreno oggetto di lite, questo sarebbe stato sottoposto al regime previsto dall’articolo 4 della legge n° 10 del 1977, conformemente alla giurisprudenza del Consiglio di Stato. 
18§ Il Governo sostiene che i vincoli di cui alla legge n°10 del 1977 sono stati imposti al terreno solo dal 1982. Nel periodo che va dal 1977 al 1982, il terreno sarebbe stato ancora sottoposto al vincolo controverso, prorogato di nuovo ex lege.
19§ Comunque stiano le cose, le parti convengono che il terreno è rimasto inedificabile tra il 1977 e il 1990.

C. Periodo che va dal 1990 al 1995 

20§ Con una decisione del 4 giugno 1990, il Comune di Roma impose di nuovo sul terreno della ricorrente un vincolo di inedificabilità in vista dell’esproprio. Il terreno era classificato nella zona N del PRG (verde pubblico).
21§ Risulta dal fascicolo che, al momento di tale delibera, era stato suggerito di modificare il PRG in modo da poter autorizzare un uso transitorio delle zone destinate ad esproprio, in particolare della zona N. Fra gli usi previsti erano compresi un parcheggio o un vivaio, spettacoli itineranti, mercati, il tutto senza infrastrutture fisse.
22§ Il 3 agosto 1990, la ricorrente propose un ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale del Lazio mirante ad ottenere l’annullamento del nuovo vincolo di inedificabilità in vista dell’esproprio.
Innanzitutto osservava che secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, il diritto di proprietà non poteva essere colpito da limitazioni così gravi come un permesso di esproprio accompagnato da un assoluto vincolo di inedificabilità, per una durata indeterminata e senza indennizzo. D’altra parte, la ricorrente osservava che ai termini dell’articolo 2 § 1della legge n° 1187 del 1968, ogni vincolo assoluto di inedificabilità stabilito da un piano regolatore generale perde la sua efficacia se nel termine di cinque anni l’amministrazione non adotta un piano regolatore particolareggiato.
Ora, il terreno controverso era stato sottoposto a lungo ad un vincolo assoluto di inedificabilità in vista dell’esproprio, senza che l’amministrazione adottasse un piano regolatore particolareggiato e procedesse all’esproprio. Perciò, la ricorrente sosteneva che il rinnovo del vincolo di inedificabilità in vista dell’esproprio fosse contrario ai principi esposti dalla Corte costituzionale e allo spirito della legge n°1187 del 1968.
23§ Con una sentenza del 4 aprile 1991, il tribunale amministrativo regionale respinse il ricorso della ricorrente.
Il tribunale osservò in particolare che la reiterazione del vincolo assoluto di inedificabilità in vista dell’esproprio era giustificata dall’interesse generale rivolto ad una pianificazione moderna ed efficace della città e che il piano regolatore non consentiva altre soluzioni. Inoltre, il tribunale ritenne che la reiterazione, oggetto di lite, avesse una durata determinata e non costituisse un esproprio de facto, svuotando della sua sostanza il diritto di proprietà della ricorrente. Quindi, la questione di un indennizzo finanziario non si poneva e l’eccezione di incostituzionalità sollevata dalla ricorrente era chiaramente infondata.
24§ Il 30 aprile 1992, la ricorrente propose appello al Consiglio di Stato. Riprendeva sostanzialmente gli argomenti portati davanti al Tribunale Amministrativo, e reiterava l’eccezione di incostituzionalità.
25§ In due memorie del 20 gennaio e del 20 marzo 1993, il Comune di Roma eccepì l’inammissibilità dell’appello. Osservò che la ricorrente non aveva alcun interesse ad ottenere l’annullamento della reiterazione controversa, poiché il suo terreno era comunque inedificabile in ragione dei vincoli miranti alla tutela del paesaggio.
26§ Con una sentenza depositata in cancelleria il 22 febbraio 1994, il Consiglio di Stato rigettò l’appello della ricorrente.
27§ Il Consiglio di Stato rigettò, a titolo pregiudiziale, l’eccezione dell’assenza di interesse ad agire sollevata dal comune di Roma. Ritenne che la ricorrente aveva interesse ad impugnare la decisione controversa malgrado l’esistenza di limitazioni in vista della tutela del paesaggio. Queste ultime, infatti, non miravano in alcun modo all’esproprio del terreno e potevano essere revocate dall’autorità competente, mentre nel caso specifico si trattava di un vincolo di inedificabilità tendente all’esproprio.
Venne dichiarata inoltre manifestamente infondata la questione di incostituzionalità sollevata dalla ricorrente, ricordando che nei termini della giurisprudenza della Corte costituzionale, nessun indennizzo era dovuto quando, come nel caso specifico, il vincolo assoluto di inedificabilità aveva una durata limitata. 
28§ Quanto al merito del caso, il Consiglio di Stato constatò che il terreno della ricorrente era stato colpito da un primo permesso di esproprio previsto dal PRG. Una volta cessati gli effetti di questo permesso di esproprio, il terreno della ricorrente era stato assoggettato all’articolo 4 della legge n°10 del 1977, da ciò conseguiva sopra questo un vincolo assoluto di inedificabilità. In seguito il Comune aveva imposto nuovamente un permesso di esproprio con la delibera impugnata.
Il Consiglio di Stato ritenne che la reiterazione del vincolo di inedificabilità preordinato all’esproprio del terreno rispettasse le condizioni stabilite dalla legge, fosse conforme all’interesse generale e fosse motivata in modo logico e sufficiente. Respinse quindi il ricorso della ricorrente.

D. Il periodo dopo il 1995

29§ Mancando l’approvazione della Regione, la decisione municipale del 1990 che imponeva di nuovo il permesso di esproprio divenne inefficace nel 1995.
30§ A partire da questa data, il terreno della ricorrente è stato sottoposto alle limitazioni conseguenti all’applicazione dell’articolo 4 della legge n° 10/1977, e perciò ad un vincolo assoluto di inedificabilità. Tale situazione permarrà fino a che il comune di Roma non attribuirà una nuova destinazione al terreno.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

1. Nozioni generali in materia urbanistica

31§ Ai sensi dell’articolo 42 §§ 2 e 3 della Costituzione italiana, “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”.
32§ La legge urbanistica (legge n°1150 del 1942 e successive modifiche) disciplina lo sviluppo urbanistico del territorio.
33§ Il Piano regolatore generale (infra PRG) è un atto a durata indeterminata. La procedura di adozione di un PRG ha inizio con una delibera del comune (delibera di adozione), in seguito alla quale comincia un periodo di salvaguardia, durante il quale ogni decisione sulle domande di licenza che possa contrastare la realizzazione del PRG è sospesa (Legge n°1902 del 1952 e successive modifiche). L’approvazione del PRG è di competenza delle regioni (articolo 1 del decreto presidenziale (DPR) n°8 del 1972 ed articoli 79 e 80 del DPR n° 616 del 1977), mentre prima si faceva con decreto del Presidente della Repubblica. Una volta approvato il PRG, viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (delle leggi) e depositato in comune.
34§ Quando esso regolamenta in modo preciso il territorio, il PRG può essere attuato de plano; molto frequentemente, il PRG necessita per la sua applicazione di un atto complementare, in particolar modo un piano regolatore particolareggiato, che ha una durata determinata. Infatti, una volta adottato il piano particolareggiato, (piano equivalente a una dichiarazione di pubblica utilità) l’amministrazione dispone di un termine tassativo (che non può superare 10 anni, ai sensi dell’art. 16 della legge urbanistica) per espropriare e in ogni caso per eseguirlo sotto pena di decadenza. Nel caso in cui il PRG necessita di un piano regolatore particolareggiato per la sua applicazione, spetta al comune adottarne uno. Tuttavia, nessun termine tassativo è previsto per l’adozione di un piano particolareggiato.

2. L’imposizione e la durata di un vincolo di inedificabilità: i principi fissati dalla Corte Costituzionale

35§ I limiti al diritto di disporre della proprietà, quali un vincolo di inedificabilità, sono imposti in caso di adozione di un piano regolatore. Un vincolo di inedificabilità può essere imposto in vista dell’esproprio del terreno (Vincolo preordinato all’esproprio), quando esso colpisce un terreno destinato ad uso pubblico o alla realizzazione di edifici o infrastrutture pubbliche (articolo 7 n. 3 e 4 della legge urbanistica).
36§ La legge urbanistica, nel suo testo originale, stabiliva che i limiti al diritto di proprietà dei privati cittadini previsti da un piano regolatore generale, in particolare i vincoli di inedificabilità, avevano una durata equivalente a quella del piano regolatore generale, avevano cioè una durata indeterminata; nello stesso tempo, non era previsto alcun indennizzo per i proprietari (articolo 40).
37§ La Corte costituzionale fu investita della questione se un vincolo che colpisca gravemente il diritto di proprietà, quale il vincolo espropriativo o un vincolo di inedificabilità, che poteva prolungarsi sine die senza alcuna forma di indennizzo, fosse compatibile con il diritto di proprietà.
38§ Con sentenze rese tra il 1966 e il 1968 (vedi in particolare le sentenze n°6 del 1966 e n°55 del 29 maggio 1968), la Corte costituzionale giunse alla conclusione negativa e dichiarò la legge urbanistica incostituzionale nella misura in cui prevedeva la durata indeterminata dei limiti che colpiscono gravemente il diritto di proprietà, quale un vincolo di inedificabilità o un vincolo preordinato all’esproprio, in mancanza di ogni indennizzo. 
La Corte costituzionale ha precisato che la legge può limitare il diritto di proprietà dei privati, a condizione che la sostanza non sia svuotata. D’altronde, il diritto di costruire deve essere considerato come una facoltà inerente al diritto di proprietà, che può essere limitato solo per ragioni di utilità pubbliche precise e attuali. In caso di esproprio o di limitazioni che colpiscano la natura stessa del diritto in questione aventi una durata indeterminata, il proprietario deve ricevere una compensazione finanziaria. Al contrario, alcun indennizzo è dovuto quando un vincolo di inedificabilità è previsto per una durata determinata.
39§ Conseguentemente a queste sentenze della Corte costituzionale, che stabiliscono i principi in materia di limiti gravi al diritto di proprietà, il legislatore aveva due possibilità: optare per vincoli a durata determinata senza indennizzo o per vincoli a durata indeterminata con indennizzo immediato.
40§ Il legislatore italiano ha dato seguito queste sentenze scegliendo la prima opzione e adottando, il 19 novembre 1968, la legge n° 1187 del 1968, che ha modificato la legge Urbanistica: ai sensi dell’articolo 2 § 1 di questa legge, al momento dell’adozione di un piano regolatore generale, le autorità locali possono imporre ai privati cittadini dei vincoli preordinati all’esproprio del terreno e dei vincoli di inedificabilità. Tuttavia, tali limiti perdono il loro vigore entro i cinque anni se l’esproprio non ha avuto luogo o quando un piano regolatore di esecuzione, segnatamente un piano regolatore particolareggiato, non viene adottato.
41§ L’articolo 2 di cui sopra prevedeva una proroga ex lege, per un periodo di cinque anni, dei termini fissati dai piani urbanistici approvati prima della sua entrata in vigore. Le leggi n° 756 del 1973, 696 del 1975 e 6 del 1977 hanno prorogato questi stessi termini fino all’entrata in vigore della legge n°10 del 1977 (Norme per la edificabilità dei suoli).
42§ Con la sentenza n° 92 del 12 maggio 1982, la Corte costituzionale ha precisato la portata della legge n°10 del 1977, affermando che anche dopo la sua entrata in vigore, il diritto di costruire restava una facoltà inerente il diritto di proprietà. Quanto ai vincoli di inedificabilità, la Corte ha precisato che questi restano sottoposti alla legge n° 1187 del 1968, vale a dire la loro durata non può superare cinque anni in mancanza di adozione di un piano particolareggiato.

3. Situazione dopo la scadenza di un vincolo di inedificabilità

43§ Secondo la giurisprudenza, nel caso in cui il vincolo di inedificabilità cessi ai sensi dell’articolo 2 § 1 della legge n° 1187 del 1968, dopo lo scadere del termine di cinque anni, i terreni in oggetto non recuperano automaticamente la loro destinazione originaria e non acquistano automaticamente la destinazione dei terreni vicini. Per determinare la nuova destinazione di un terreno, occorre un atto positivo dell’amministrazione, come un piano regolatore particolareggiato.
In attesa di questo atto positivo dell’amministrazione, i terreni interessati sono considerati dalla giurisprudenza come sottoposti al regime previsto nell'articolo 4 della legge n° 10 del 1977, relativo ai terreni delle municipalità che non abbiano adottato dei piani regolatori generali (giurisprudenza del Consiglio di Stato, vedere in particolare sentenze della Adunanza plenaria n° 7 e 10 del 1984).
Secondo l’articolo 4 di questa legge, una concessione edilizia può essere rilasciata solo se il terreno è situato fuori da un centro abitato ed a certe condizioni, per un volume molto ridotto. Se il terreno è situato all’interno di un centro abitato, viene proibita ogni nuova costruzione.
44§ La regione Lazio ha recepito questa giurisprudenza nella legge n° 86 del 24 novembre 1990, che prevede espressamente che un vincolo assoluto di inedificabilità colpisca i terreni privi di destinazione urbanistica che si collochino all’interno di un centro abitato.

4. In caso di inerzia dell’amministrazione

45§ Scaduto il vincolo di inedificabilità, spetta al comune determinare rapidamente la nuova destinazione del terreno interessato; tuttavia non è previsto alcun termine.
46§ L’inerzia dell’amministrazione può essere impugnata dagli interessati davanti alle giurisdizioni amministrative (sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 20.5.96 n°664). Queste ultime possono ordinare alla municipalità di determinare la nuova destinazione degli immobili in oggetto, senza tuttavia potere sostituirsi alle autorità interessate nella scelta della destinazione. Nella sentenza n° 67 del 1990, che verte su un caso di esproprio in cui si contestava l’inerzia dell’amministrazione, la Corte costituzionale ha affermato che il ricorso che permetta di impugnare l’inerzia dell’amministrazione davanti al tribunale amministrativo è <<« defatigante e non conclusivo con conseguente scarsa efficacia ».
47§ La Corte costituzionale è stata investita della questione di sapere se la sottomissione di un terreno al regime previsto dall’articolo 4 della legge n° 10/1977 sia compatibile con la Costituzione, dato che questo regime determina un vincolo di inedificabilità sine die- in ragione dell’inerzia dell’amministrazione nella definizione di una nuova destinazione del terreno in questione (segnatamente nell’adozione di un piano regolatore) – e alcun indennizzo è previsto. Nella sentenza n° 185 del 1993, la Corte costituzionale ha dichiarato la questione irricevibile, poiché spetta all’esclusiva competenza del legislatore intervenire rapidamente e in modo atto a rimediare a questa situazione.

5. Il rinnovo di un vincolo di inedificabilità (attraverso un atto amministrativo)

48§ Con una sentenza del 1989 (n°575), La Corte costituzionale ha indicato che, alla scadenza del periodo di cinque anni previsto nell’articolo 2 della legge n° 1187/1968 e al momento di una nuova pianificazione del territorio, le autorità locali possono rinnovare il vincolo di inedificabilità per motivi di pubblica utilità. Tale sentenza ha riconosciuto il potere dell’amministrazione di reiterare il divieto una volta che fosse scaduto il primo.
49§ Tuttavia, il potere dell’amministrazione di rinnovare il vincolo di inedificabilità non può tradursi in un divieto sine die in mancanza di ogni forma di indennizzo. Infatti, quando il vincolo di inedificabilità svuota della sostanza il diritto di proprietà poiché dà luogo ad un’incertezza sostanziale, per la ragione che esso è prorogato per una durata indeterminata o è reiterato, il proprietario dovrebbe beneficiare di un indennizzo (vedere la sentenza della Corte costituzionale n°305 del 1996 e la sentenza del Consiglio di Stato n°159 del 1994).

6 L’assenza di indennizzo

50§ La Corte di Cassazione ha indicato che in caso di limiti del diritto di proprietà in vista di esproprio ed anche in assenza di indennizzo, il proprietario interessato è titolare di un semplice interesse legittimo, cioè di una posizione individuale protetta in modo indiretto e subordinato al rispetto dell’interesse pubblico e non di un diritto pieno e assoluto (diritto soggettivo) alla attribuzione di un compenso finanziario (vedi le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n° 11308 del 28 ottobre 1995, 11257 del 15 ottobre 1992 e 3987 del 10 giugno 1983).
Quindi, di fronte alla decisione delle autorità municipali che gli impongono un vincolo di inedificabilità, il proprietario può adire le giurisdizioni amministrative per fare accertare se, nell’esercizio del suo potere discrezionale, l’amministrazione abbia rispettato le regole fissate dalla legge e non abbia superato il margine di discrezionalità di cui dispone nella valutazione dell’equilibrio tra l’interesse pubblico e quello dei privati cittadini. Tuttavia anche se le giurisdizioni amministrative annullano il vincolo di inedificabilità, non è dovuto alcun compenso finanziario quando il vincolo di inedificabilità sia stato ordinato per una durata determinata, specialmente se esso è stato soggetto al termine di cinque anni previsto dall’articolo 2 della legge n° 1187 del 1968. 
51§ Ricordando i principi fissati nella sua precedente giurisprudenza (vedere le sentenze citate al § 37 come pure le sentenze n°82 del 1982, n°575 del 1989, n°344 del 1995), la Corte Costituzionale, con la sentenza n°179 del 12-20 maggio 1999, ha dichiarato incompatibile con la Costituzione la mancanza di previsione per legge di una forma di indennizzo per il caso in cui un permesso di esproprio o un vincolo di inedificabilità, siano reiterati dall’amministrazione in modo che il diritto di proprietà ne venga gravemente colpito.
Pur lasciando integra la possibilità per l’amministrazione di rinnovare i vincoli di inedificabilità, la Corte ha affermato che è necessario che il legislatore intervenga e preveda una forma di indennizzo, precisandone i criteri e le modalità. 
La Corte non ha escluso che un giudice investito di una richiesta di indennizzo prima dell’intervento del legislatore possa ricercare nel sistema giuridico dei criteri che gli consentano di concedere, all’occorrenza, un indennizzo. 
La Corte ha ugualmente precisato che l’obbligo di indennizzo concerne solo il periodo successivo i primi cinque anni del divieto (periodo di franchigia).

7. La legge che codifica le disposizioni sull’esproprio (Testo unico sulle espropriazioni)

52§ Il decreto del Presidente della Repubblica n°327 del 2001 ha codificato le disposizioni esistenti in materia di esproprio. L’entrata in vigore di questo decreto è stata rinviata al 30 giugno 2002 e poi al 1° gennaio 2003.
Ai sensi dell’articolo 39 di questo testo, “In attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all'entità del danno effettivamente prodotto”

IN DIRITTO

I. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N°1

53§ La società ricorrente adduce che i limiti imposti sul suo terreno per un lungo periodo ed in assenza di indennizzo colpiscono il suo diritto al rispetto dei suoi beni, garantito dall’articolo1 del Protocollo n°1, che così recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

1. 1. Sull’esistenza di un’ingerenza nel diritto di proprietà della ricorrente 

54§ La Corte osserva che le parti concordano nell’affermare che c’è stata ingerenza nel diritto al rispetto dei beni della ricorrente. Esse divergono solo in merito all’origine ed agli effetti dell’ingerenza nel periodo che va dal 1977 al 1990 (vedere §§ 16-19).
55§ Resta da esaminare se detta ingerenza abbia infranto o meno l’articolo 1 del Protocollo n°1.

2. Sulla giustificazione dell’ingerenza nel diritto di proprietà della ricorrente.

a) La regola applicabile 

56§ La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo n°1 contiene tre norme distinte: “la prima che è espressa nella prima frase del primo comma e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso comma concerne la privazione della proprietà e la sottomette a determinate condizioni; quanto alla terza, menzionata nel secondo comma, riconosce agli Stati il potere, fra gli altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale (..). Non si tratta tuttavia di regole prive di rapporto fra di loro. La seconda e la terza sono tratte da esempi particolari di violazioni del diritto di proprietà; quindi, devono essere interpretate alla luce del principio consacrato nella prima.” (vedere, tra le altre, la sentenza James e altri c. Regno Unito del 21 febbraio 1986, serie A n°98-B, pp.29-30, § 37, la quale riprende in parte i termini dell’analisi che la Corte ha sviluppato nella sua sentenza Sporrong e Lönnroth c. Svezia del 23 settembre 1982, serie A n°52, p.24, 61§; vedere anche le sentenze I santi monasteri c. Grecia del 9 dicembre 1994, serie A n°301-A, p.31, § 56, e Iatridis c. Grecia [GC], n° 31107/96, § 55, CEDH 1999-II). 
57§ La ricorrente adduce di essere vittima di un esproprio di fatto per l’effetto combinato dei vincoli di inedificabilità preordinati all’espropriazione del terreno, che hanno annullato il valore e le possibilità di disporre del medesimo.
58§ Il Governo sostiene che la situazione oggetto di lite concerne la regolamentazione dell’uso dei beni.
59§ La Corte nota che il terreno della ricorrente è stato sottoposto a vincoli di inedificabilità combinati con permessi di esproprio. Ora, tali misure non hanno comportato una privazione formale di proprietà, ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 1, poiché il diritto di proprietà della ricorrente è rimasto giuridicamente integro.
60§ In mancanza di un passaggio di proprietà, la Corte deve guardare oltre le apparenze ed analizzare la realtà della situazione controversa. A tale riguardo, è importante verificare se detta situazione non equivalga ad un esproprio di fatto, come pretende l’interessata (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Airey c. Irlanda del 9 ottobre 1979, serie A n°32, p. 14, § 25). 
61§ La Corte rileva che gli effetti della situazione controversa denunciati dalla ricorrente scaturiscono tutti dalla diminuzione della disponibilità del bene in causa. Risultano dei limiti apportati al diritto di proprietà così come delle conseguenze di queste sul valore dell’immobile. Pertanto, benché abbia perduto la sua sostanza, il diritto in causa non è venuto meno. Gli effetti delle misure in questione non sono tali che si possa assimilarli ad una privazione di proprietà. La Corte nota a tale proposito che la ricorrente non ha perduto né l’accesso al terreno né il suo possesso e che teoricamente la possibilità di vendere il terreno, anche resa più difficile, è rimasta ( sentenza Loizidou c. Turchia del 18 dicembre 1996, Raccolta 1996-VI, p. 2237, §63; sentenza Sporrong e Lonnroth succitata, p. 24, § 63). In queste condizioni, la Corte ritiene che non c’è stata espropriazione di fatto e quindi la seconda frase del primo comma non deve applicarsi nella fattispecie.
62§ La Corte è dell’avviso che le misure controverse non rilevano in base alla regolamentazione dell’uso dei beni, ai sensi del secondo comma dell’articolo 1 del Protocollo n°1. Infatti, se è vero che si tratta di divieto di costruire per regolamentare il territorio (sentenza Sporrong succitata, p. 25, § 64), è vero anche che le stesse misure miravano essenzialmente all’esproprio del terreno (vedere § 35). 
63§ La Corte ritiene quindi che la situazione denunciata dalla ricorrente concerne la prima frase dell’articolo 1 del Protocollo n°1 (sentenza Sporrong succitata, p. 25, § 65; sentenze Erkner e Hofauer c. Austria del 23 aprile 1987, serie A n°117, p. 65, § 74 e Poiss c. Austria del 23 aprile 1987, serie A n°117, p. 108, § 64; sentenza Elia srl c. Italia del 2 agosto 2001, CEDH 2001, § 57).

b) Il rispetto della norma enunciata nella prima frase del primo comma

64§ Ai fini della prima frase del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n°1, La Corte deve ricercare se è stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo (sentenza Sporrong e Lönnroth succitata, p. 26, § 69; sentenza Phocas c. Francia del 23 aprile 1996, Raccolta 1996-II, p. 542, § 53.)

i. Tesi sostenuta dalla ricorrente

65§ La ricorrente sostiene che la situazione denunciata non è conforme all’articolo 1 del Protocollo n° 1.
66§ Fa osservare che l’ingerenza nel suo diritto al rispetto dei suoi beni dura da più di trentanove anni, cioè dalla delibera municipale del 18 dicembre 1962 che concerne l’adozione del piano regolatore generale.
67§ Durante tutto questo periodo, il terreno è stato colpito da vincolo di inedificabilità, nell’attesa che l’amministrazione decidesse in merito alla destinazione da dare al terreno.
68§ In tali circostanze, la ricorrente rimprovera alle autorità la loro inerzia e di non avere mai proceduto all’espropriazione. Ella lamenta la totale assenza di indennizzo per il sacrificio che le è stato imposto.
69§ A questo riguardo, la ricorrente osserva che, per l’effetto combinato dei vincoli di inedificabilità preordinati all’esproprio del terreno, il suo diritto di proprietà è stato svuotato di sostanza.
70§ Da una parte, la ricorrente osserva che il valore del terreno è stato ridotto a nulla e che ha perduto la possibilità di vendere il suo bene alle normali condizioni del mercato.
71§ D’altro lato, la ricorrente osserva che non ha potuto mai utilizzare il terreno. Essendo quest’ultimo situato nelle vicinanze del Vaticano, il suo utilizzo a fini agricoli sarebbe del tutto impensabile. Trattandosi di un uso commerciale, non sarebbe autorizzato dal piano regolatore generale per i terreni, come quello della ricorrente, facente parte della zona N.
72§ La ricorrente precisa infine, che la situazione da lei denunciata concerne la quasi totalità del terreno ed è la causa unica dell’impossibilità di costruire sullo stesso. A tale riguardo, la ricorrente sottolinea che i decreti ministeriali adottati in precedenza in vista della tutela del paesaggio non hanno comportato l’impossibilità di costruire sul terreno.
73§ In conclusione, la ricorrente chiede alla Corte di accertare la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n°1.

ii. Tesi sostenuta dal Governo

74§ Il Governo sostiene che la situazione denunciata dalla ricorrente è compatibile con l’articolo 1 del Protocollo n° 1.
75§ Argomenta che i limiti concernenti il terreno della ricorrente non hanno colpito questo in modo continuo e non hanno di conseguenza svuotato di sostanza il suo diritto di proprietà.
76§ Il Governo sostiene, infatti, che si devono prendere in considerazione solo i limiti incombenti sul terreno che derivano da un atto dell’amministrazione; il vincolo di inedificabilità derivante da un’applicazione di una legge o di un principio giurisprudenziale non sarebbe al contrario da prendere in considerazione.
Seguendo tale ragionamento, risulterebbe che il periodo decorrente dal 1982 al 1990 e poi quello dal 1995 ad oggi non dovrebbe essere preso in considerazione, poiché i limiti che colpiscono il terreno della ricorrente in tale periodo non troverebbero la loro base giuridica in un atto amministrativo comunale, ma direttamente nelle disposizioni legislative adottate in virtù del “diritto che hanno gli Stati di mettere in vigore le leggi giudicate necessarie per regolamentare l’uso dei beni in conformità dell’interesse generale”. Quindi, la società ricorrente non potrebbe pretendersi titolare, in diritto italiano, di alcun diritto all’indennizzo per il periodo in questione.
77§ Quanto al permesso di espropriazione imposto dalla decisione del Comune del 4 giugno 1990, tale misura era giustificata da ragioni di utilità pubblica, relative alle esigenze di una pianificazione moderna della città e non ha comportato alcun esproprio “ de facto”, non essendo stato rinnovato per dei periodi di “lunga durata”. Esso aveva per di più un carattere puramente provvisorio, dato che la sua validità era limitata a cinque anni e sottoposta alla condizione che, a scadenza avvenuta di questo termine, un piano regolatore particolareggiato fosse approvato dal Consiglio regionale, ciò che, nella fattispecie non è accaduto.
78§ D’altra parte il Governo sottolinea che la ricorrente è proprietaria di una zona assai ampia, il cui terreno controverso costituisce solo una parte.
79§ Il Governo osserva poi che la ricorrente avrebbe potuto in via provvisoria fare un uso alternativo del suo terreno, specialmente un uso agricolo, oppure un uso commerciale, utilizzando il terreno come per esempio zona di esposizione, parcheggio, senza infrastrutture fisse.
80§ Inoltre, il Governo sostiene che la perdita del valore del terreno addotta dalla ricorrente non dipende dalla situazione denunciata da lei; dipenderebbe dai due decreti ministeriali del 1961 e del 1963, che avrebbero reso il terreno non edificabile in vista della tutela del paesaggio. In ogni caso, la ricorrente non avrebbe dimostrato la diminuzione del valore del terreno.
81§ In conclusione, il Governo sostiene che l’assenza di indennizzo nella fattispecie è assolutamente compatibile con l'articolo 1 del Protocollo n°1.

iii. Valutazione della Corte

82§ La Corte constata che il terreno della ricorrente è stato sottoposto ad un vincolo di inedificabilità preordinato alla sua espropriazione imposta dal piano regolatore urbanistico; a scadenza avvenuta, il vincolo di inedificabilità è stato mantenuto con l’applicazione del regime previsto dalla L. n°10/1977; un vincolo di inedificabilità preordinato all’esproprio è stato reiterato dall’amministrazione nel 1990 ed è decaduto nel 1995; a partire da questa data, il terreno è stato nuovamente sottoposto al vincolo di inedificabilità ai sensi della legge n°10/1977.
83§ Indipendentemente dal fatto che i limiti gravanti sul terreno scaturiscono da un atto amministrativo o dall’applicazione di una legge, risulta che il terreno è stato colpito da vincolo di inedificabilità in maniera continua (vedere particolarmente § 19).
84§. La Corte nota che l’ingerenza controversa dura da più di trentasei anni a partire dall’approvazione del piano regolatore generale (vedere § 12), e da più di trentanove anni a partire dalla delibera municipale in vista dell’adozione di questo (vedere § 11). In entrambi i casi, l’inizio dell’ingerenza controversa si colloca prima della data di entrata in vigore, il 1° agosto 1973, del riconoscimento da parte dell’Italia del diritto di ricorso individuale. Tuttavia, la Corte terrà conto ugualmente del periodo precedente questa data al fine di valutare globalmente e nel suo contesto l’ingerenza controversa.
85§ La Corte giudica naturale che in un settore così complesso e difficile come la pianificazione del territorio, gli Stati contraenti godano di un largo margine di valutazione per condurre la loro politica urbanistica (sentenza Sporrong e Lönnroth succitata, p. 26, § 69). Stabilisce che l’ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni rispondeva alle esigenze dell’interesse generale. La Corte non potrebbe tuttavia rinunciare al suo potere di controllo.
86§ Spetta alla Corte verificare che l’equilibrio voluto è stato preservato in modo compatibile con il diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni, ai sensi della prima frase dell’articolo 1.
87§ la Corte ritiene che durante tutto il periodo in oggetto la ricorrente è rimasta nella più completa incertezza circa la sorte della sua proprietà.
In un primo tempo, dato che il piano regolatore generale colpiva il terreno con un vincolo di inedificabilità preordinato all’esproprio, detto terreno sarebbe potuto essere espropriato, a condizione che fosse adottato un piano particolareggiato, la qual cosa non si è verificata (vedere §§ 13-14).
Dopo il 1977, secondo le deduzioni della ricorrente (vedere § 17), o dopo il 1982, secondo le deduzioni del Governo (vedere §18), il terreno era inedificabile ai sensi della legge n°10 del 1977 e poteva in ogni momento, essere nuovamente colpito da un altro permesso di espropriazione, ciò che è accaduto nel giugno del 1990, con una delibera municipale decaduta nel 1995 (vedere § 20 e § 29).
A partire dal 1995, il terreno è stato nuovamente sottoposto alla legge n°10 del 1977 ed è dunque inedificabile e suscettibile, in ogni momento, di essere colpito da un nuovo permesso di espropriazione.
88§ La Corte rileva d’altra parte che in diritto italiano non sembra esserci un ricorso suscettibile di rimediare all’inerzia dell’amministrazione, quando questa tardi ad attribuire ad un terreno la sua destinazione urbanistica (vedere § 45).
89§ Inoltre, la Corte ritiene che l’esistenza, durante il periodo in questione, di vincoli di inedificabilità abbia ostacolato il pieno godimento del diritto di proprietà della ricorrente ed abbia accentuato le ripercussioni dannose sulla situazione della ricorrente, diminuendo notevolmente, fra le altre, le opportunità di vendere il terreno.
90§ Constata, infine, che non c’è stata possibilità, nella fattispecie, di ottenere una qualunque forma d’indennizzo.
91§ Le circostanze della causa, in particolare l’incertezza raddoppiata dall’inesistenza di ogni ricorso interno efficace suscettibile di porre rimedio alla situazione litigiosa, combinata con l’impedimento del pieno godimento del diritto di proprietà e l’assenza di indennizzo, inducono la Corte a considerare che la ricorrente abbia dovuto sopportare un onere particolare ed esorbitante che ha rotto il giusto equilibrio che deve sussistere, da una parte, tra le esigenze dell’interesse generale e, dall’altra, la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni (sentenza Sporrong succitata, p. 28 §§ 73-74; sentenza Erkner e Hofauer succitata, p.66, §§ 78-79; sentenza Poiss succitata, p. 109, §§ 68-69; Almeida Garret, Mascarenhas Falcão e altre c. Portogallo, n° 29813/96 e 30229/96 (Sez. I) CEDH 2000, § 54; sentenza Elia succitata, § 83).
92§ In conclusione, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

93§ Ai sensi dell’articolo 41 della convenzione,
« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell' Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa » 
94§ A titolo di danno materiale, la ricorrente richiede 44.643.200.000 lire italiane (ITL) corrispondenti al valore commerciale del terreno, in conformità alla perizia del 1999 da lei stessa prodotta a sostegno.
95§ Quanto al danno non patrimoniale, la ricorrente afferma di non essere in grado di quantificarlo.
96§ La ricorrente reclama il rimborso delle spese affrontate davanti alle giurisdizioni nazionali, che ammontano a 51.604.000 ITL, più IVA (imposta sul valore aggiunto) e CPA (contributo per la Cassa di previdenza degli avvocati).
97§. Quanto alla procedura a Strasburgo, presentando un progetto di notula degli onorari, la ricorrente sollecita il rimborso di 51.920.000 ITL più IVA e CPA per ognuno dei due avvocati che la rappresentano.
98§ Secondo il Governo, la richiesta a titolo di pregiudizio materiale è infondata poiché, a suo parere, non vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n°1. Nel caso in cui la Corte si pronunciasse tuttavia sulla violazione di questa disposizione, il Governo rifiuta il criterio di valutazione utilizzato dalla ricorrente che si riferisce unicamente al valore del terreno. A tale riguardo, il Governo sostiene che è risarcibile l’impossibilità di fare uso normale del terreno o la perdita del valore del terreno.
Riferendosi alle sue considerazioni sul merito, il Governo sostiene che la situazione denunciata dalla ricorrente non ha avuto ripercussioni dannose.
99§ Quanto all’eventuale pregiudizio non patrimoniale, il Governo ritiene che la constatazione della violazione rappresenta una riparazione sufficiente.
100§ Il Governo fa quindi osservare che le spese affrontate dinanzi alle giurisdizioni interne non sono rimborsabili trattandosi di spese che la ricorrente avrebbe in ogni caso affrontato, indipendentemente dalla violazione dell’articolo 1 del Protocollo n°1.
101§ Quanto alle spese dinanzi agli organi della Convenzione, il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
102§ La Corte ritiene che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 non è ancora istruita cosicché è necessario riservarla avuto riguardo dell’eventualità di un accordo tra lo Stato convenuto e l’interessata (articolo 75 §§ 1 e 4 del regolamento).

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

1. Dichiara, per sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n°1;

2. Dichiara, all’unanimità, che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non è istruita;

3. Di conseguenza
a) la riserva per intero;
b) invita il Governo e la ricorrente a rivolgerle per iscritto, entro tre mesi, le loro osservazioni su questa questione e in particolare ad informarla di qualunque accordo possano raggiungere;
c) riserva la procedura ulteriore e delega al presidente della camera il compito di fissarla all’occorrenza.

Redatta in francese, comunicata poi per iscritto il 17 ottobre 2002 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise ELENS-PASSOS, Nicolas BRATZA
Cancelliere aggiunto Presidente

Alla Presente sentenza si trova unita conformemente agli articoli 45 § 2 del regolamento, l’opinione dissenziente del giudice Conforti

OPINIONE DISSENZIENTE
DEL GIUDICE CONFORTI
A mio parere, l'articolo 1 del Protocollo n° 1 non è stato violato in questo caso.
La questione principale che il caso solleva è il vincolo di inedificabilità che ha colpito il terreno della società ricorrente durante più di trenta anni a causa sia del comportamento del Comune di Roma sia, a causa delle leggi dello Stato italiano.
Secondo la maggioranza della Corte, essendo rimasta la società ricorrente in una incertezza completa quanto alla sorte della sua proprietà in ragione del vincolo di inedificabilità preordinato all’espropriazione e della mancanza dei piani regolatori particolareggiati, è stato rotto il giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale ed il diritto al rispetto dei beni della ricorrente.
Io non sono d'accordo.
Tutti sanno in Italia che il vincolo di inedificabilità previsto dalla legge del 1977 è stato una reazione ad un comportamento dei privati – società immobiliari o persone fisiche – che avevano ridotto la maggior parte del territorio italiano – dunque di quello che era stato definito il più bel giardino d'Europa ! – ad una massa di cemento. Tutti sanno in Italiaa che la possibilità d'espropriare la totalità dei terreni colpiti dal vincolo di inedificabilità non era che puramente virtuale e non attuale e che dunque il vincolo di inedificabilità non era « preordinato all'espropriazione » ma semplicemente un vincolo di inedificabilità.
A mio umile avviso, la Corte avrebbe dovuto tener conto di questo quando ha dovuto valutare gli interessi in gioco per non rischiare di decidere in astratto o, lo dico con rispetto, nel vuoto. La Corte avrebbe dovuto chiedersi se un provvedimento di vincolo di inedificabilità per i terreni che, per la maggior parte, erano dei terreni agricoli o dei giardini privati, e che dunque dovevano restare terreni agricoli o dei giardini, non fosse giustificato dall’interesse generale. Per me questa era la giusta soluzione ; per me non si tratta nella fattispecie, come in casi similari, del diritto dell'uomo ma ... del diritto degli affari.