sentenza 17 luglio 2003

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo CASO  CRAXI contro ITALIA (n.1) sentenza del 17 luglio 2003 Ricorso n° 25337/94. Violazione dell’articolo 8(diritto al rispetto della vita privata) della Convenzione, in quanto lo Stato italiano non ha assicurato la custodia dei verbali delle conversazioni telefoniche intercettate, né condotto in seguito una indagine effettiva  sulla maniera in cui queste comunicazioni private sono state rese pubbliche ed in ragione che le autorità italiane non hanno rispettato le procedure legali prima della lettura dei verbali delle conversazioni telefoniche intercettate.

 

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)
CASO  CRAXI contro ITALIA (n.1)

SENTENZA del 17 luglio 2003. Ricorso n° 25337/94.

● Violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata) della Convenzione in quanto lo Stato italiano non ha assicurato la custodia dei verbali delle conversazioni telefoniche né condotto in seguito una indagine effettiva  sulla maniera in cui queste comunicazioni private sono state rese pubbliche sulla stampa,

● Violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata)  della Convenzione  in ragione che le autorità italiane non hanno rispettato le procedure legali prima della lettura dei verbali delle conversazioni telefoniche intercettate,

● La Corte liquida un’equa soddisfazione per il danno morale nella misura di duemila euro per ogni erede del ricorrente .

 (La sentenza esiste solo in inglese)

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)

Sentenza del 17 luglio 2003. sul Ricorso n° 25337/94 presentato da CRAXI contro ITALIA (n.1)

(traduzione non ufficiale del comunicato stampa a cura dell’avv. Maurizio de Stefano)

 

RIASSUNTO DELLA SENTENZA

1. Principali fatti

Il ricorrente, Benedetto Craxi era  un cittadino italiano nato nel 1934. Egli  fu segretario del Partito Socialista italiano (PSI) dal 1976 al 1993 e Primo ministro della Repubblica italiana dal 1983 al 1987. Egli è vissuto ad Hammamet (Tunisia) dal 1994 fino alla sua morte, in data 19 gennaio 2000. La sua  vedova Anna Maria Moncini Craxi, come i suoi due figli, Stefania e Vittorio Craxi, hanno precisato che essi desideravano portare a termine  la presente procedura.

A decorrere dal maggio 1994, il sig. Craxi, venne fatto oggetto di procedimenti penali nell’ambito dell’operazione condotta in Italia e denominata <<mani pulite>>. Il ricorrente fu accusato di corruzione , di aver ricevuto delle bustarelle, di occultamento di incassi fraudolenti e di finanziamento illegale dei partiti politici.  Il ricorrente non compariva nel dibattimento. Con delle sentenze del 29 luglio e 7 dicembre 1994, egli fu condannato in contumacia ad una pena di reclusione. Il pubblico ministero ottenne una ordinanza al fine di intercettare le conversazioni telefoniche dell’interessato tra l’Italia ed il suo domicilio. Un servizio specializzato della polizia italiana intercettò le sue chiamate telefoniche tra il 20 luglio ed il 3 ottobre 1995.

Nel corso d’una udienza tenutasi il  29 settembre 1995  nel  processo  intentato dalla  società Metropolitana Milanese, il pubblico ministero consegnò al cancelliere del Tribunale i verbali delle conversazioni telefoniche intercettate e chiese che fossero acquisite come prove a carico del sig. Craxi. L’accusa  procedette in seguito alla lettura di un certo numero di estratti durante il processo. Il tenore di alcune  conversazioni telefoniche così come il nome degli interlocutori del sig. Craxi furono in seguito pubblicati dalla stampa. Infine, il tribunal di Milano decise di non utilizzare le informazioni raccolte attraverso  le conversazioni intercettate.

Il  16 aprile 1996, il sig. Craxi fu condannato alla  pena della reclusione di otto anni e tre mesi ed una multa di 150 milioni di lire italiane (77 468 euro circa). Il  24 luglio  1998, la corte  d’appello di Milano ridusse la sua pena della reclusione a quattro anni e sei mesi.

2. Procedura e composizione della Corte

Il ricorso è stato presentato alla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo il 16  giugno 1994 ed assegnato alla Corte il 1° novembre 1998. E’ stato dichiarato parzialmente ricevibile il 7 dicembre  2000.

La sentenza è stata emessa da una Camera  composta da 7  giudici.

Christos Rozakis (Greco), presidente,
Peer Lorenzen (Danese),
Giovanni Bonello (Maltese),
Nina Vajić (Croato),
Snejana Botoucharova (Bulgaro),
Vladimiro Zagrebelsky (Italiano),
Elisabeth Steiner (Austriaca), giudici,


3. Riassunto della  sentenza

Doglianze

Il ricorrente deduceva che la pubblicazione di conversazioni telefoniche di  carattere privato  intercettate  aveva violato gli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata), 14 (divieto di discriminazione) e 18 (limite all’applicazione delle restrizioni ai diritti) della Convenzione.  Egli  denunciava segnatamente la decisione del pubblico ministero di consegnare al cancelliere del tribunale i verbali di tali conversazioni.

Decisione della Corte

Articolo 8  della Convenzione

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo osserva che alcune conversazioni rese pubbliche dalla stampa  rivestivano un carattere strettamente privato e non avevano che modesta oppure alcuna attinenza, con le accuse penali rivolte contro il ricorrente. Secondo la Corte, non sussisterebbe alcuna esigenza sociale imperativa di pubblicarli. Per determinare  se l’ingerenza denunziata potesse essere attribuita allo Stato e dunque impegnare la  responsabilità dell’Italia davanti agli  organi giurisdizionali  della Convenzione, la Corte osserva che i giornali che avevano pubblicato gli estratti erano privati e che il ricorrente non ha dedotto che essi avrebbero potuto in qualche modo trovarsi sotto il controllo delle autorità pubbliche.

La Corte conclude che  la divulgazione delle conversazioni da parte della stampa non è stata la conseguenza diretta  di un atto del  pubblico ministero ma è risultata  probabilmente da una disfunzione della cancelleria del tribunale o dall’ottenimento delle  informazioni da parte della stampa attraverso una delle parti del  processo  o dei loro  avvocati. La Corte  considera che competeva al Governo di fornire una spiegazione plausibile quanto al modo in cui queste informazioni sono giunte nella disponibilità dei mezzi di informazione e che ciò non ha fatto. Non vi sono state indagini sulle circostanze in cui i giornalisti hanno ottenuto i verbali. Pertanto, il  Governo non ha assolto alla sua obbligazione di garantire al  sig. Craxi il  diritto al rispetto della vita privata.

Trattandosi della lettura di conversazioni intercettate, nel corso dell’udienza del 29 settembre 1995, la Corte ritiene che le autorità italiane non hanno osservato le procedure legali.  Non vi è stata una udienza preliminare nel corso della quale le parti ed il giudice avrebbero potuto escludere i brani delle conversazioni intercettate sprovviste di attinenza con il procedimento giudiziario e così fornire una garanzia importante quanto al diritto enunciato nell’articolo 8. L’ingerenza  non era  dunque  prevista dalla legge. L’interpretazione fornita dal tribunale di Milano circa la legislazione interna giungeva a riconsocere l’assenza delle garanzie per proteggere il diritto previsto nell’articolo 8 della Convenzione. Questa interpretazione sollevava gravi preoccupazioni quanto al rispetto da parte dello Stato del suo obbligo di assicurare la protezione effettiva di questi diritti.

La Corte ritiene che non vi sia luogo per esaminare le doglianze sotto il profilo degli articoli  14 e 18 della Convenzione.

Il giudice  Zagrebelsky ha espresso una opinione in parte dissenziente il cui testo si trova annesso alla sentenza.