sentenza 15 gennaio 2003

TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITA’ EUROPEE (LUSSEMBURGO) SENTENZA 15 gennaio 2003. Nelle cause riunite T-377/00, T-379/00, T-380/00, T-260/01 e T-272/01, Philips Morris International, Inc., R. J. Reynolds Tobacco Holdings, Inc., RJR Acquisition Corp., R. J. Reynolds Tobacco Company, R. J. Reynolds Tobacco International, Inc., Japan Tobacco, Inc., contro Commissione delle Comunità europee, sostenuta da : Parlamento europeo, Regno di Spagna, Repubblica francese, Repubblica italiana, Repubblica portoghese, Repubblica di Finlandia, Repubblica federale di Germania, Repubblica ellenica, Regno dei Paesi Bassi. (Il diritto di esperire un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice competente ((spettante a tutti coloro i cui diritti e le cui libertà tutelati dall'ordinamento giuridico dell'Unione siano stati violati)) si fonda sulle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e sugli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nonché sull’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, la quale, pur se non dotata di forza giuridica vincolante, dimostra l'importanza, nell'ordinamento giuridico comunitario, dei diritti che essa enuncia.

   

SENTENZA DEL TRIBUNALE  DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITA’ EUROPEE (LUSSEMBURGO)

15 gennaio 2003

(Seconda Sezione ampliata)

«Decisione di proporre un'azione giudiziaria dinanzi al giudice di uno Stato terzo - Ricorso di annullamento - Nozione di decisione ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE - Ricevibilità»

Nelle cause riunite T-377/00, T-379/00, T-380/00, T-260/01 e T-272/01,

Philips Morris International, Inc., con sede in Rye Brook (Stati Uniti), rappresentata dagli avv.ti É. Morgan de Rivery e J. Derenne, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente nelle cause T-377/00 e T-272/01,

R. J. Reynolds Tobacco Holdings, Inc., con sede in Winston-Salem, Carolina del Nord (Stati Uniti),

RJR Acquisition Corp., con sede in Wilmington, New Castle, Delaware (Stati Uniti),

R. J. Reynolds Tobacco Company, con sede in Jersey City, New Jersey (Stati Uniti),

R. J. Reynolds Tobacco International, Inc., con sede in Dover, Kent, Delaware (Stati Uniti),

rappresentate dai sigg. P. Lomas, solicitor e O. Brouwer, avocat, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrenti nelle cause T-379/00 e T-260/01,

Japan Tobacco, Inc., con sede in Tokyo (Giappone), rappresentata dai sigg. P. Lomas, solicitor, e O. Brouwer, avocat, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente nella causa T-380/00,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dai sigg. X. Lewis e C. Ladenburger, in seguito dai sigg. C. Docksey e Ladenburger, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

sostenuta da

Parlamento europeo, rappresentato dai sigg. R. Passos, e A. Baas, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Regno di Spagna, rappresentato dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Repubblica francese, rappresentata dal sig. G. de Bergues, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. U. Leanza, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Repubblica portoghese, rappresentata dai sigg. L. Fernandes e Â. Cortesão de Seiça Neves, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Repubblica di Finlandia, rappresentata dalle sig.re T. Pynnä e E. Bygglin, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

intervenienti nelle cause T-377/00, T-379/00, T-380/00, T-260/01 e T-272/01,

Repubblica federale di Germania, rappresentata dai sigg. W.-D. Plessing e M. Lumma, in qualità di agenti,

Repubblica ellenica, rappresentata dal sig. V. Kontolaimos, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

intervenienti nelle cause T-260/01 e T-272/01,

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato, nelle cause T-260/01 e T-272/01, dalla sig.ra H. Sevenster e, nella causa T-379/00, dalle sig.re Sevenster e J. van Bakel, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

intervenienti nelle cause T-379/00, T-260/01 e T-272/01,

aventi ad oggetto le domande di annullamento di due decisioni della Commissione di avviare un'azione giudiziaria nei confronti delle ricorrenti dinanzi ad un giudice federale degli Stati Uniti d'America,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),

composto dal sig. R. M. Moura Ramos, presidente, dalla sig.ra V. Tiili, dai sigg. J. Pirrung, P. Mengozzi e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 26 giugno 2002,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti all'origine della controversia

1.

Nell'ambito della lotta contro il contrabbando di sigarette destinate alla Comunità europea, la Commissione approvava, il 19 luglio 2000, «la proposizione di un'azione civile, in nome della Commissione, diretta contro alcuni produttori americani di sigarette». Essa decideva inoltre d'informarne il Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) secondo le procedure previste ed autorizzava il proprio presidente, nonché il membro della Commissione responsabile del bilancio, a dare istruzioni al servizio giuridico per l'adozione dei necessari provvedimenti.

2.

Il 3 novembre 2000, la Comunità europea, rappresentata dalla Commissione ed «agendo in nome proprio ed in nome degli Stati membri che essa ha la capacità di rappresentare», proponeva un'azione civile contro diverse società appartenenti al gruppo Philip Morris (in prosieguo: il «gruppo Philip Morris») e al gruppo Reynolds (in prosieguo: il «gruppo Reynolds») nonché contro la società Japan Tobacco, Inc. (in prosieguo: la «Japan Tobacco») dinanzi alla United States District Court, Eastern District of New York, una giurisdizione federale degli Stati Uniti d'America (in prosieguo: la «District Court»).

3.

Nell'ambito di tale azione (in prosieguo: la «prima azione»), la Comunità deduceva la partecipazione delle ricorrenti, imprese produttrici di tabacco, ad un sistema di contrabbando per l'introduzione e la distribuzione di sigarette sul territorio della Comunità europea. La Comunità mirava, in particolare, ad ottenere il risarcimento del danno derivante da tale sistema di contrabbando, e consistente, principalmente, nella perdita dei dazi doganali e dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) che sarebbero stati versati in caso di regolare importazione, nonché la pronuncia di ingiunzioni dirette a far cessare il comportamento delittuoso.

4.

La Comunità fondava le proprie domande su una legge federale statunitense, il Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act del 1970 (legge sul riciclaggio dei proventi del crimine; in prosieguo il «RICO») nonché su alcune teorie di common law, vale a dire le teorie della «common law fraud» (frode di common law), della «public nuisance» (reato di common law) e del «unjust enrichment» (ingiusto arricchimento). Il RICO si propone di combattere la criminalità organizzata, in particolare facilitando la perseguibilità dei reati commessi dagli operatori economici. A tal fine esso conferisce legittimazione ad agire alle parti civili. Per incentivare le azioni civili, il RICO prevede che l'attore possa ottenere un risarcimento corrispondente al triplo del danno effettivamente subito («treble damages»).

5.

Con decisione 16 luglio 2001, la Discrict Court respingeva le domande della Comunità europea.

6.

Il 25 luglio 2001, la Commissione approvava «la proposizione di una nuova azione civile dinanzi ai giudici americani, da parte della Comunità congiuntamente ad almeno uno Stato membro, diretta contro i gruppi di produttori di sigarette convenuti nella causa precedente». Essa autorizzava inoltre il proprio presidente ed il membro della Commissione responsabile del bilancio a dare istruzioni al servizio giuridico per adottare i necessari provvedimenti.

7.

Il 6 agosto 2001 la Commissione, in nome della Comunità europea e degli Stati membri che essa aveva il potere di rappresentare, nonché dieci Stati membri, vale a dire il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Repubblicaellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato del Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica portoghese e la Repubblica finlandese, in nome proprio, proponevano una nuova azione dinanzi alla District Court contro il gruppo Philip Morris ed il gruppo Reynolds. Nell'ambito di tale azione (in prosieguo: la «seconda azione»), la Comunità non basava più le sue domande sul RICO, ma unicamente sulle teorie di common law invocate nell'ambito della prima azione. Per contro, gli Stati membri fondavano le loro domande sia sul RICO che sui principi di diritto comune invocati dalla Comunità. Veniva inoltre lamentato un danno patrimoniale ed un danno non patrimoniale che la Comunità non aveva dedotto nell'ambito della prima azione e venivano richiamati ulteriori elementi relativamente alle teorie della «public nuisance» e del «unjust enrichment».

8.

La Comunità non proponeva appello contro la decisione della District Court 16 luglio 2001, menzionata al precedente punto 5. Tuttavia, il 10 agosto 2001 essa chiedeva al giudice americano di disapplicare quest'ultima decisione e di consentirle di modificare la sua domanda (motion to vacate the judgment and to amend the complaint). Tale domanda veniva respinta con decisione della District Court 25 ottobre 2001.

9.

Il 9 gennaio 202, la Comunità, rappresentata dalla Commissione, unitamente ai dieci Stati membri menzionati al precedente punto 7 proponevano dinanzi alla District Court una terza azione diretta contro la ricorrente Japan Tobacco, Inc. ed altre imprese ad essa legate (in prosieguo: la «terza azione»).

10.

Il 19 febbraio 2002, la District Court respingeva la seconda e la terza azione della Comunità e degli Stati membri, in base ad una norma di common law (la revenue rule) secondo la quale i giudici statunitensi si astengono dal dare esecuzione alle leggi fiscali di altri Stati.

11.

Il 20 marzo 2002 la Commissione approvava la proposta di interporre appello avverso la decisione della District Court. Il 25 marzo 2002 veniva depositato un atto d'appello dinanzi alla United States Court of Appeals for the Second Circuit (corte d'appello del secondo circuito) in nome della Comunità e dei dieci Stati membri.

Procedimento

12.

Con atti depositati nella cancelleria del Tribunale il 19 ed il 20 dicembre 2000, le ricorrenti hanno presentato ricorso nelle cause T-377/00, T-379/00 e T-380/00, diretto all'annullamento della decisione della Commissione di proporre la prima azione, nonché, nelle cause T-379/00 e T-380/00, diretto all'annullamento di un'eventuale decisione del Consiglio in merito.

13.

Con separati atti, depositati nella cancelleria del Tribunale il 29 gennaio 2001, il Consiglio e la Commissione hanno sollevato, per ognuna di tali cause, un'eccezione di irricevibilità ai sensi dell'art. 114 del regolamento di procedura del Tribunale.

14.

Il 7 giugno 2001 il Tribunale ha decisio di rinviare le tre cause dinanzi alla sezione composta da cinque giudici (Seconda Sezione ampliata).

15.

Con ordinanza 2 luglio 2001, il presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale, dopo aver sentito le parti in merito, ha disposto la riunione delle tre cause ai fini della fase scritta, della fase orale e della sentenza, in conformità all'art. 50 del regolamento di procedura.

16.

Con ordinanza 12 luglio 2001, il presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale ha ammesso l'intervento del Regno di Spagna, della Repubblica francese, della Repubblica italiana, del Regno dei Paesi Bassi, della Repubblica portoghese, della Repubblica di Finlandia e del Parlamento europeo, nelle cause riunite a sostegno della domanda del Consiglio e della Commissione.

17.

Il 27 luglio 2001, il Tribunale ha invitato le parti a presentare osservazioni sulla decisione resa dalla District Court il 16 luglio 2001. Le ricorrenti, la Commissione, il Consiglio, il Regno di Spagna, la Repubblica italiana, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Finlandia e il Regno dei Paesi Bassi hanno presentato le loro osservazioni nel termine stabilito.

18.

Con atti depositati nella cancelleria del Tribunale il 15 ottobre 2001, i gruppi Reynolds e Philip Morris hanno proposto i ricorsi di cui alle cause T-260/01 e T-272/01, diretti all'annullamento della decisione di avviare la seconda azione.

19.

Il 23 novembre 2001, la Commissione ha trasmesso al Tribunale la decisione della District Court 25 ottobre 2001, che respingeva la domanda di disapplicazione della decisione 16 luglio 2001. Essa ha chiesto al Tribunale di invitare le parti a presentare osservazioni in ordine alla questione se tale decisione avesse reso privi di oggetto i ricorsi di cui alle cause T-377/00, T-379/00 e T-380/00. Le ricorrenti, la Commissione, nonché il Regno di Spagna, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica portoghese, la Repubblica di Finlandia ed il Parlamento europeo hanno depositato le loro osservazioni, in ordine alla questione se occorresse ancora statuire sui ricorsi nel termine loro all'uopo impartito.

20.

Con separati atti, depositati nella cancelleria del Tribunale il 10 ed il 18 dicembre 2001, la Commissione ha sollevato nelle cause T-260/01 e T-272/01 un'eccezione di irricevibilità ai sensi dell'art. 114 del regolamento di procedura.

21.

Il 10 gennaio 2002, il Tribunale ha deciso di rinviare le cause T-260/01 e T-272/01 dinanzi alla sezione composta da cinque giudici (Seconda Sezione ampliata).

22.

Con ordinanza 31 gennaio 2002, il presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale, dopo aver sentito le parti in merito, ha disposto la riunione delle cinque cause T-377/00, T-379/00, T-380/00, T-260/01 e T-272/01 per il prosieguo della fase scritta, per la fase orale e per la sentenza.

23.

Con decisione della Seconda Sezione ampliata 31 gennaio 2002 è stata respinta la domanda diretta ad ottenere che la causa venga decisa con procedura abbreviata, presentata dalla ricorrente nella causa T-272/01.

24.

Il 6 febbraio 2002, le ricorrenti nelle cause T-379/00 e T-380/00 hanno desistito dai rispettivi ricorsi limitatamente alla parte in cui questi erano diretti contro il Consiglio. Con ordinanza 21 marzo 2002, il presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale ha deciso la cancellazione di questi due ricorsi nella parte in cui essi erano diretti contro il Consiglio.

25.

Con ordinanza 22 marzo 2002, il presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale ha ammesso l'intervento del Parlamento europeo, della Repubblica federale di Germania, della Repubblica ellenica, del Regno di Spagna, della Repubblica francese, della Repubblica italiana, del Regno dei Paesi Bassi, della Repubblica portoghese, e della Repubblica di Finlandia, nelle cause T-260/01 e T-272/01 a sostegno della domanda della Commissione.

26.

Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso di passare alla fase orale senza disporre provvedimenti istruttori, ponendo tuttavia alcuni quesiti alla Commissione. Quest'ultima ha risposto nel termine stabilito.

27.

Le difese orali delle parti e le loro risposte ai quesiti del Tribunale sono state sentite all'udienza del 26 giugno 2002.

Conclusioni delle parti

28.

La Commissione e le parti intervenienti chiedono che il Tribunale voglia:

- respingere i ricorsi in quanto irricevibili;

- condannare i ricorrenti alle spese.

29.

Il gruppo Philip Morris chiede che il Tribunale voglia:

- statuire sull'eccezione di irricevibilità unitamente al merito;

- in subordine, respingere l'eccezione di irricevibilità;

- condannare la Commissione alle spese.

30.

Il gruppo Reynolds e la Japan Tobacco chiedono che il Tribunale voglia:

- statuire sulla questione della ricevibilità unitamente al merito;

- in ogni caso, respingere l'eccezione di irricevibilità;

- riservare le spese.

In diritto

Argomenti delle parti

31.

Le eccezioni di irricevibilità della Commissione sono fondate ciascuna su un unico motivo, vertente sul fatto che gli atti impugnati non potrebbero formare oggetto di ricorso ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE. Alcuni intervenienti fanno inoltre valere che le ricorrenti non sarebbero direttamente ed individualmente interessate dagli atti impugnati e che non avrebbero interesse ad agire.

32.

Con riguardo all'unico motivo dedotto dalla Commissione, gli argomenti delle parti riguardano tre aspetti della questione della ricevibilità dei presenti ricorsi. In primo luogo, le parti sviluppano argomenti relativi alla natura delle decisioni della Commissione 19 luglio 2000 e 25 luglio 2001 (in prosieguo: gli «atti impugnati»). In secondo luogo, esse procedono all'analisi dei differenti effetti che tali atti possono produrre. In terzo luogo, esse discutono determinate considerazioni di ordine generale svolte dalla Commissione a fondamento della propria posizione.

Sulla natura degli atti impugnati

33.

La Commissione, sostenuta dagli intervenienti, afferma che la decisione di proporre un'azione dinanzi ad un tribunale non costituisce un atto suscettibile di formare oggetto di ricorso ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE.

34.

Secondo la Commissione, esisterebbero analogie tra gli atti impugnati ed alcuni altri atti che, secondo la giurisprudenza, non possono formare oggetto di ricorso.

35.

In primo luogo, essa richiama la sentenza della Corte 29 settembre 1998, causa C-191/95, Commissione/Germania (Racc. pag. I-5449), dalla quale deduce che la decisione della Commissione di adire la Corte di giustizia con un ricorso per inadempimento ex art. 226 CE non costituirebbe un atto che possa formare oggetto di ricorso ai sensi dell'art. 230 CE.

36.

In secondo luogo, la Commissione, sostenuta dal Regno di Spagna, dalla Repubblica federale di Germania e dalla Repubblica ellenica, ritiene che le decisioni di adire il giudice americano abbiano tutte le caratteristiche di misure preparatorie.

37.

In terzo luogo, la Commissione afferma che la proposizione di un'azione civile equivarrebbe all'espressione di un'opinione giuridica priva di efficacia obbligatoria, paragonabile alle raccomandazioni che l'istituzione può inviare alle autorità nazionali senza vincolarle.

38.

Il Parlamento, la Repubblica federale di Germania e la Republica ellenica sono inoltre del parere che gli atti impugnati riguarderebbero l'organizzazione interna dell'istituzione convenuta.

39.

In risposta ad un quesito del Tribunale, la Commissione ha affermato che possono essere impugnati soltanto gli atti con i quali l'istituzione stessa modifica la situazione giuridica di cui trattasi, e non gli atti con i quali essa chieda ad un terzo di adottare provvedimenti obbligatori.

40.

La Commissione, sostenuta dalla Repubblica federale di Germania, ritiene poi che l'inesistenza, nella fattispecie, di un successivo atto di un'istituzione comunitaria idoneo a formare oggetto di ricorso di annullamento, non potrebbe consentire di considerare gli atti impugnati, per effetto di una fictio, quali atti definitivi produttivi di effetti giuridici. Essa riconosce che il principio di una tutela giurisdizionale effettiva costituisce un diritto fondamentale, ma sostiene che tale principio non implicherebbe che tutti gli atti di un'istituzione debbano poter formare oggetto di un sindacato giurisdizionale, compresi quelli non idonei a produrre effetti giuridici obbligatori. La Commissione, sostenuta dalla Repubblica federale di Germania e dalla Repubblica italiana, aggiunge che le ricorrenti sarebbero sufficientemente tutelate, nell'ambito del procedimento dinanzi alla District Court, dalle garanzie procedurali del diritto statunitense, compresa la possibilità di chiedere alla District Court di accertare se essa sia stata adita da soggetti legittimati ad agire.

41.

Le ricorrenti sottolineano, in via preliminare, il carattere straordinario degli atti impugnati con i quali la Commissione tenterebbe, a loro parere9, di aggirare l'intero sistema vigente di riscossione delle imposte, ed in particolare la ripartizione delle competenze in materia tra la Comunità e gli Stati membri, affermando che nessun organo sovrano potrebbe procedere alla riscossione di imposte in via indiretta avvalendosi di un'azione di risarcimento del danno. Esse sottolineano di non essere state mai avvisate dalle autorità competenti degli Stati membri di essere debitrici di imposte, cosicché non avrebbero mai avuto la possibilità di esporre il loro punto di vista in proposito precedentemente alla proposizione delle azioni controverse.

42.

Le ricorrenti considerano che gli atti impugnati potrebbero formare oggetto di un ricorso di annullamento poiché produrrebbero effetti giuridici, poiché costituirebbero provvedimenti definitivi che esprimerebbero la definitiva posizione dell'istituzione e poiché, per tale motivo, avrebbero determinato una precisa modificazione della loro sfera giuridica. Il gruppo Reynolds sostiene, inoltre, che per determinare se un atto sia impugnabile, non occorrerebbe necessariamente accertare se tale atto produca effetti giuridici, bensì se esso sia diretto a produrre effetti giuridici.

43.

Le ricorrenti ritengono che gli atti impugnati non potrebbero essere paragonati alla decisione di avviare un procedimento per inadempimento ai sensi dell'art. 226 CE, situazione all'origine della sentenza Commissione/Germania, citata al precedentepunto 35. Secondo le stesse, la decisione di proporre ricorso per inadempimento non costituirebbe altro che una fase di un procedimento disciplinato dal diritto comunitario, diretto a far accertare dalla Corte, sola competente in merito, l'inadempimento degli obblighi di uno Stato membro. Essa non altererebbe, pertanto, i diritti e gli obblighi dello Stato membro interessato.

44.

Le ricorrenti sostengono che gli atti impugnati non potrebbero essere qualificati come atti preparatori. A loro parere il criterio essenziale, per distinguere se un provvedimento produca effetti giuridici o se sia meramente preparatorio, consisterebbe nell'accertare se la decisione adottata risolva in maniera definitiva la questione di cui trattasi nell'ambito giuridico comunitario ovvero se si tratti di un provvedimento finalizzato a preparare la decisione finale, la cui illegittimità potrà essere eccepita nell'ambito di un ricorso diretto contro la stessa. Esse insistono sul fatto che i presenti ricorsi costituirebbero la sola possibilità per il giudice comunitario di controllare se la Commissione, nel proporre le azioni dinanzi alla District Court, abbia agito nell'ambito delle proprie competenze ed in conformità al diritto comunitario.

45.

Le ricorrenti ritengono che la proposizione di un'azione civile dinanzi ad un giudice americano non potrebbe essere assimilata all'espressione di un'opinione giuridica da parte della Commissione, che possa essere accettata o respinta dal giudice.

46.

Esse aggiungono che gli atti impugnati non potrebbero nemmeno essere assimilati a misure di organizzazione interna.

47.

In risposta ad un quesito del Tribunale, le ricorrenti hanno affermato che non vi sarebbe stata differenza tra l'ipotesi in cui la Commissione adottasse essa stessa un atto e quella in cui essa chiedesse ad un terzo di farlo.

48.

In via subordinata, le ricorrenti sostengono che gli atti impugnati sarebbero privi di ogni apparente legittimità, cosicché il Tribunale dovrebbe annullarli anche se si trattasse di atti preparatori. Esse richiamano la sentenza della Corte 11 novembre 1981, causa 60/81, IBM/Commissione (Racc. pag. 2639) e la sentenza del Tribunale 18 dicembre 1992, cause riunite da T-10/92 a T-12/92 e T-15/92, Cimenteries CBR e a./Commissione (Racc. pag. II-2667, punto 49), secondo le quali il giudice comunitario sarebbe competente ad annullare un atto preparatorio manifestamente illegittimo.

Sugli effetti degli atti impugnati

49.

La Commissione, sostenuta dalle parti intervenienti, ritiene che occorrerebbe operare una distinzione tra gli effetti che un atto può produrre sul piano procedurale, effetti che essa qualifica come di fatto, e gli effetti giuridici obbligatori. Essa afferma che gli effetti derivanti dal fato di aver adito il giudice americano fatti valere dalle ricorrenti costituirebbero solo conseguenze di fatto che si produrrebbero normalmente nei confronti di chiunque sia convenuto dinanzi ad ungiudice. Secondo la Commissione, non si tratterebbe di effetti giuridici, poiché le ricorrenti non sarebbero obbligate a modificare le proprie condotte fintanto che un giudice non glielo imponga.

50.

All'udienza la Commissione ha affermato che il fatto di aver adito la District Court non avrebbe prodotto l'effetto di eludere le procedure di riscossione delle imposte o di repressione delle frodi in ambito comunitario. Procedimenti di tal genere sarebbero in corso e la Commissione vi parteciperebbe laddove ciò è previsto dal diritto nazionale. Si tratterebbe comunque di procedimenti con parti ed oggetto diversi da quelli delle azioni controverse.

51.

Le ricorrenti sostengono che gli atti impugnati e la proposizione effettiva delle azioni dinanzi alla District Court hanno prodotto diversi effetti, che, a loro parere, presenterebbero natura giuridica. Da un lato, esse rilevano l'esistenza di alcuni effetti nell'ordinamento giuridico comunitario. Dall'altro, esse sottolineano l'esistenza di taluni effetti derivanti dal diritto processuale applicabile dinanzi al giudice americano adito.

52.

Con riferimento agli effetti giuridici degli atti impugnati nell'ordinamento giuridico comunitario, le ricorrenti fanno valere, in primo luogo, che la Commissione avrebbe assunto, con gli atti impugnati, una posizione definitiva quanto al proprio potere di intentare azioni dinanzi alla District Court. Esse ritengono che una simile decisione unilaterale ed autonoma, con la quale la Commissione aggiunge alle competenze conferitele dalla lettera del Trattato il potere di adire i giudici di uno Stato terzo, sarebbe impugnabile, in conformità alla giurisprudenza della Corte (sentenza 9 ottobre 1990, causa C-366/88, Francia/Commissione, Racc. pag. I-3571). Esse sottolineano che nessun atto in grado di pregiudicare l'equilibrio istituzionale previsto dai Trattati potrebbe sfuggire al sindacato giurisdizionale. A sostegno di tale tesi, esse richiamano in particolare la sentenza della Corte 9 agosto 1994, causa C-327/91, Francia/Commissione, (Racc. pag. I-3641) relativa all'accordo tra la Commissione e gli Stati Uniti d'America sull' applicazione del rispettivo diritto della concorrenza e la sentenza della Corte 12 maggio 1998, causa C-170/96, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I-2763) riguardante un'azione comune sul regime di transito aeroportuale, nonché la sentenza della Corte 13 novembre 1991, causa C-303/90, Francia/Commissione (Racc. pag. I-5315), riguardante un codice di condotta relativo al controllo finanziario nell'ambito degli interventi strutturali.

53.

In secondo luogo, le ricorrenti rilevano che un effetto giuridico obbligatorio degli atti impugnati risulterebbe dal fatto che tali atti esporrebbero le ricorrenti stesse ad un giudizio civile dinanzi ai giudici di uno Stato terzo e le sottoporrebbero, in tal modo, all'applicazione di norme di un altro ordinamento giuridico. Esse precisano che le azioni intentate negli Stati Uniti le esporrebbero a sanzioni più gravi di quelle previste negli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri.

54.

Secondo le ricorrenti, la Commissione, malgrado la propria posizione di garante del Trattato, aggirerebbe le procedure del diritto comunitario al fine di ottenere,attraverso procedimenti negli Stati Uniti, un risultato che l'ordinamento giuridico comunitario non le permetterebbe di raggiungere. Le ricorrenti sottolineano di non vantare il diritto a non essere sottoposte ad azioni legali, ma certamente di godere del diritto costituzionalmente garantito a vedersi applicare le procedure previste dall'ordinamento giuridico comunitario.

55.

Le ricorrenti ritengono che l'incertezza dell'esito del procedimento negli Stati Uniti non osterebbe a che venga considerato come effetto giuridico definitivo degli atti impugnati il fatto che tali atti le costringano a partecipare a procedimenti dinanzi ai giudici americani ed a subire pertanto un rischio cui esse non sarebbero esposte nell'ambito del sistema comunitario.

56.

Esse sottolineano che la decisione della District Court non potrebbe formare oggetto di sindacato giurisdizionale da parte del giudice comunitario e che essa non sarebbe subordinata al rispetto delle garanzie concesse dall'ordinamento comunitario alle persone fisiche e giuridiche accusate di violare il diritto comunitario. In particolare, esse fanno valere che la District Court non sarebbe vincolata al principio del primato del diritto comunitario sul diritto nazionale e potrebbe applicare il diritto statunitense, invece del diritto comunitario, per determinare se la Comunità fosse legittimata ad agire dinanzi ad essa.

57.

Le ricorrenti fanno altresì valere che la decisione della Commissione di citarle dinanzi ad un giudice negli Stati Uniti avrebbe modificato la loro posizione giuridica sul piano processuale. Esse richiamano, in particolare, le sentenze della Corte 15 marzo 1967, cause riunite 8/66-11/66, Cimenteries CBR e a./Commissione (Racc. pag. 93), e 30 giugno 1992, causa C-312/90, Spagna/Commissione (Racc. pag. I-4117), secondo le quali sono impugnabili gli atti che producono effetti giuridici sul piano processuale. A loro parere, gli atti impugnati eluderebbero le procedure previste nell'ordinamento giuridico comunitario per la riscossione delle imposte e dei dazi doganali, nonché per la lotta contro le frodi. Nel diritto comunitario soltanto gli Stati membri avrebbero potuto richiedere alle ricorrenti il versamento di imposte non pagate. Il solo rimedio giuridico possibile in materia per la Commissione sarebbe quello del ricorso per inadempimento contro gli Stati membri. Nell'ambito di un siffatto procedimento, sarebbe stato garantito «che nessuna pronuncia arbitraria sarebbe stata resa contro [le stesse]». Esse ritengono che gli atti impugnati le avrebbero private sia delle garanzie processuali del diritto nazionale, sia del vantaggio rappresentato dall'obbligo dei giudici nazionali di sollevare, d'ufficio, questioni di diritto comunitario. Esse rilevano che, nella specie, possono essere poste numerose complesse questioni di diritto comunitario e sottolineano l'importanza del procedimento pregiudiziale ai fini della loro soluzione. Orbene, gli atti impugnati avrebbero altresì eluso la possibilità, ovvero l'obbligo, di un rinvio pregiudiziale. Esse aggiungono comunque che l'esposizione dettagliata dei procedimenti elusi e delle garanzie che essi avrebbero fornito sarebbero inerenti al merito della causa.

58.

In risposta ad un quesito del Tribunale, il gruppo Reynolds e la Japan Tobacco hanno dichiarato che nessun procedimento sarebbe stato avviato nei loro confronti dagli Stati membri. Secondo tali imprese, il principio del ne bis in idem osterebbe, in ogni caso, a che esse fossero citate in giudizio contemporaneamente sia dinanzi alla District Court, sia all'interno di uno Stato membro.

59.

Con riferimento agli effetti giuridici derivanti dal diritto statunitense, le ricorrenti ritengono, in primo luogo, che il semplice fatto di iniziare un'azione civile dinanzi al giudice americano determinerebbe effetti giuridici, in quanto, da quel momento esse verrebbero sottoposte alle norme di procedura applicabili dinanzi a tale giudice. Le ricorrenti si riferiscono, in particolare, all'obbligo di difendersi a pena di dover subire una decisione in contumacia, e di presentare, dall'inizio del procedimento, tutti i loro mezzi di difesa, a pena di non potersene valere in seguito. Esse sottolineano la necessità di ricorrere ad un difensore ed i costi molto elevati che ne conseguono, che non verranno loro rimborsati, secondo la legge statunitense, in caso di vittoria in giudizio. Inoltre, ritengono che una modificazione della loro posizione giuridica risulterebbe dal fatto di doversi sottoporre alle regole della «discovery» applicabili nel processo civile negli Stati Uniti, che le obbligherebbero a divulgare numerosi dati che resterebbero protetti nell'ambito di un procedimento che si svolgesse in uno Stato membro, e richiamano le sanzioni che potrebbero essere loro inflitte nel caso di rifiuto a cooperare. Pertanto, esse ritengono che la proposizione di un'azione legale negli Stati Uniti produrrebbe effetti giuridici.

60.

Le ricorrenti sostengono che un altro effetto giuridico derivante dal fatto di aver adito il giudice americano consisterebbe nel fatto che la Comunità sarebbe giuridicamente vincolata dai termini delle denunce depositate dinanzi al giudice americano.

61.

In secondo luogo, le ricorrenti fanno valere che l'azione della Commissione le esporrebbe a sanzioni. Da una parte, esse richiamano alcune possibili conseguenze derivanti dall'applicazione del RICO, specificamente il rischio di vedersi condannate al risarcimento di danni corrispondenti al triplo del pregiudizio effettivamente subito («treble damages»). Dall'altra, esse rilevano che la Comunità chiederebbe la loro condanna al risarcimento di danni che presenterebbe altresì un carattere sanzionatorio («punitive damages»), dal momento che le azioni intentate sarebbero fondate su teorie del common law. A parere delle ricorrenti la proposizione dei ricorsi produrrebbe, quindi, effetti paragonabili a quelli della decisione di eccepire l'immunità ai sensi dell'art. 15, n. 6, del regolamento del Consiglio CEE 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione degli artt. [81] e [82] del Trattato (GU 1962, L 13, pag. 204), dichiarato impugnabile nella sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, menzionata al precedente punto 57. Le ricorrenti aggiungono che nell'ambito delle azioni controverse verrebbero loro contestati comportamenti delittuosi e che, in base alla legge statunitense, le parti di una controversia godrebbero di un'immunità che le proteggerebbe da un'azioneper diffamazione relativa alle dichiarazioni calunniose rese nell'ambito del procedimento.

62.

In terzo luogo, le ricorrenti rilevano che le decisioni impugnate avrebbero prodotto effetti giuridici in conseguenza della pubblicazione su internet, da parte del giudice americano, delle denunce della Commissione. Esse ritengono che tali effetti sarebbero analoghi a quelli derivanti dalla decisione esaminata nella sentenza del Tribunale 18 settembre 1996, causa T-353/94, Postbank/Commissione (Racc. pag. II-921).

63.

Infine, esse fanno riferimento alle conseguenze che la proposizione delle azioni controverse potrebbe produrre sul piano della pubblicità delle società quotate in borsa.

Sulle considerazioni di ordine generale effettuate dalla Commissione a sostegno della propria posizione

64.

La Commissione sostiene che la tesi secondo la quale la decisione di adire un giudice non potrebbe formare oggetto di ricorso di annullamento dinanzi ad un altro giudice sarebbe sorretta da determinate ragioni di carattere generale.

65.

In primo luogo, la Commissione, sostenuta dalla Repubblica italiana, afferma che tale concezione si fonderebbe sul principio dell'esistenza del diritto fondamentale a rivolgersi al giudice precostituito per legge e che spetterebbe al giudice adito valutare se esso sia stato correttamente individuato.

66.

In secondo luogo, la Commissione considera che tale tesi si tradurrebbe in una notevole economia processuale, in quanto tutti i motivi e le argomentazioni relative all'azione intentata verrebbero sollevati e concentrati dinanzi al giudice effettivamente adito, sia che si tratti di questioni di merito, sia che si tratti di questioni procedurali o di competenza.

67.

In terzo luogo, la Commissione sostiene che, in mancanza di un trattato o di una convenzione tra la Comunità e gli Stati Uniti d'America in materia di litispendenza, la tesi da essa sostenuta sarebbe quella più aderente al principio secondo il quale una controversia non deve essere suddivisa tra giudici diversi .

68.

La Repubblica italiana aggiunge che i presenti ricorsi mirano a trasferire al giudice comunitario la decisione sull'esistenza del diritto sostanziale oggetto del procedimento negli Stati Uniti. Essa ritiene che tali ricorsi appaiono pertanto come un abuso del diritto al sindacato giurisdizionale degli atti delle istituzioni comunitarie.

69.

Le ricorrenti ricordano che la Comunità europea è una comunità di diritto e sottolineano che in materia di ricevibilità di un ricorso il giudice comunitariodovrebbe vigilare a che il convenuto disponga di una tutela giurisdizionale sufficiente. Esse affemano che la necessità di un'effettiva tutela giurisdizionale sarebbe stata specificamente riconosciuta nella sentenza del Tribunale 3 maggio 2002, causa T-177/01, Jégo-Quéré/Commissione (Racc. pag. II-2365).

70.

Le ricorrenti contestano il carattere civile delle azioni controverse. Secondo le stesse, la Commissione agirebbe, nella fattispecie, nella veste di pubblica autorità. Esse contestano l'argomento secondo il quale spetterebbe alla District Court accertare se essa sia stata adita legittimamente, facendo valere che la presente controversia solleverebbe questioni sostanziali di diritto pubblico non rientranti nelle competenze del giudice americano. Ritengono inoltre che la questione se la Commissione potesse validamente adire il giudice americano non riguarderebbe il diritto processuale statunitense, bensì il diritto pubblico comunitario e non interesserebbe necessariamente il giudice americano.

71.

Le ricorrenti respingono il secondo argomento della Commissione in base al rilievo che l'economia processuale invocata sarebbe concepibile soltanto quando i due giudici aditi si trovino su un piano paritario per pronunciarsi sulla questione controversa. Sottolineando che, nella fattispecie, si tratterebbe del sindacato giurisdizionale su un atto ammministrativo straniero, le ricorrenti ritengono che i due giudici non si troverebbero sullo stesso piano, poiché il giudice americano non sarebbe competente a conoscere di tale questione.

72.

Riguardo al terzo argomento della Commissione, relativo alla litispendenza, le ricorrenti fanno valere che la presente controversia e le azioni dinanzi alla District Court presenterebbero un oggetto diverso. Esse osservano che il principio della litispendenza si applicherebbe unicamente quando il giudice per primo adito sia competente a pronunciarsi sulle questioni sollevate. Orbene, secondo le ricorrenti stesse, la District Court non sarebbe competente a conoscere della questione della competenza della Commissione sollevata nell'ambito del presente ricorso. Inoltre, esse sottolineano il rischio di un «amalgama di interpretazioni del diritto comunitario» qualora giudici di Stati terzi si pronunciassero su questioni di diritto comunitario. Il gruppo Reynolds e la Japan Tobacco richiamano, inoltre, la sentenza della Corte 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost (Racc. pag. 4199) che, secondo le ricorrenti, riserverebbe al giudice comunitario il potere di invalidare gli atti degli organi comunitari.

73.

Le ricorrenti aggiungono, infine, che l'autonomia dell'ordinamento giuridico comunitario esigerebbe che ogni atto che possa pregiudicare la coerenza del diritto comunitario debba poter essere sottoposto al sindacato giurisdizionale della Corte o del Tribunale.

Giudizio del Tribunale

74.

Ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE, «Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre (...) un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro ledecisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente».

75.

I presenti ricorsi sono diretti, da un lato, contro la decisione con la quale la Commissione ha approvato, il 19 luglio 2000, «la proposizione di un'azione civile, in nome della Commissione, diretta contro alcuni produttori americani di sigarette» e, dall'altro, contro la decisione 25 luglio 2001, con la quale la Commissione ha approvato «la proposizione di una nuova azione civile dinanzi ai giudici americani, da parte della Comunità congiuntamente ad almeno uno Stato membro, diretta contro i gruppi di produttori di sigarette convenuti nella causa precedente».

76.

Secondo una giurisprudenza costante, occorre avere riguardo alla natura dell'atto del quale è chiesto l'annullamento per accertare se esso possa formare oggetto di un ricorso, essendo a tal proposito in linea di massima irrilevante la forma nella quale lo stesso è stato adottato (sentenze della Corte IBM/Commissione, citata al precedente punto 48, punto 9, e 28 novembre 1991, cause riunite C-213/88 e C-39/89, Lussemburgo/Parlamento, Racc. pag. I-5643, punto 15; v. anche, in tal senso, sentenza del Tribunale 24 marzo 1994, causa T-3/93, Air France/Commissione, Racc. pag. II-121, punti 43 e 57).

77.

Risulta altresì da giurisprudenza costante che costituiscono atti o decisioni che possono essere oggetto di un ricorso di annullamento soltanto i provvedimenti che producono effetti giuridici obbligatori idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questo (v., in particolare, sentenza IBM/Commissione, citata al precedente punto 48, punto 9; ordinanza della Corte 4 ottobre 1991, causa C-117/91, Bosman/Commissione, Racc. pag. I-4837, punto 13; sentenza Air France/Commissione, citata al punto precedente, punto 43; ordinanza del Tribunale 15 maggio 1997, causa T-175/96, Berthu/Commissione, Racc. pag. II-811, punto 19).

78.

Occorre pertanto esaminare la questione se gli atti impugnati, aventi ad oggetto il fatto di aver adito la District Court, producano effetti giuridici nel senso di tale giurisprudenza.

79.

Adire un giudice non è mai privo di effetti giuridici, ma questi riguardano principalmente il procedimento dinanzi al giudice adito. La proposizione dell'azione è un atto indispensabile per ottenere una decisione giurisdizionale vincolante ma, di per sé, non determina in maniera definitiva gli obblighi delle parti della controversia, potendo ciò risultare soltanto dalla decisione del giudice adito. La decisione di avviare un'azione giurisdizionale non modifica quindi, di per sé, la situazione giuridica controversa (v., riguardo la decisione della Commissione di proporre un ricorso ai sensi dell'art. 226, secondo comma, CE, sentenza Commissione/Germania, citata al precedente punto 35, punto 47). Infatti, la Commissione, nel momento in cui decide di proporre un ricorso, non intende modificare (essa stessa) la situazione giuridica controversa, ma si limita a dare avvio ad un procedimento finalizzato ad ottenere una modificazione di tale situazioneattraverso una decisione giurisdizionale. Una decisione dell'istituzione in tal senso non potrebbe dunque, in linea di principio, essere considerata quale una decisione impugnabile.

80.

Questo ragionamento vale non soltanto per i ricorsi che un'istituzione propone dinanzi alla Corte di giustizia, ma anche per le azioni che la stessa può intentare dinanzi ai giudici nazionali. Infatti, in entrambi i casi, non è l'istituzione che adisce il giudice comunitario o nazionale, bensì unicamente quest'ultimo, con la decisione che è chiamato a rendere, che potrà modificare la situazione giuridica all'origine della controversia e stabilire in modo definitivo i diritti e gli obblighi delle parti.

81.

Le conseguenze che possono derivare ex lege dalla proposizione di un'azione giurisdizionale, quali l'interruzione della prescrizione o l'obbligo del pagamento degli interessi sulla somma richiesta, non costituiscono, in quanto tali, effetti giuridici nel senso della giurisprudenza relativa all'art. 230 CE. Inoltre, il fatto che il ricorso al giudice conferisce al medesimo la possibilità di adottare decisioni idonee a pregiudicare la situazione giuridica delle parti non costituisce, in quanto tale, una modificazione della situazione giuridica dell'interessato imputabile alla parte attrice.

82.

Per quanto riguarda la tesi delle ricorrenti secondo la quale si tratterebbe di accertare se gli atti impugnati siano diretti a produrre effetti giuridici e non se li producano effettivamente, occorre rilevare che la decisione di adire un giudice non ha, in principio, il fine di produrre effetti giuridici ulteriori rispetto a quelli connessi alla proposizione del ricorso. Se è certamente vero che la parte che ricorre ad un giudice desidera ottenere da quest'ultimo una decisione a suo favore, non può tuttavia ritenersi che la decisione di adire il giudice miri a produrre, di per sé, gli effetti della decisione giudiziale.

83.

Occorre esaminare, tuttavia, la questione se gli atti impugnati nella specie, poiché non riguardano il ricorso alla Corte o ad un giudice di uno Stato membro, bensì ad un giudice di uno Stato terzo, abbiano prodotto effetti giuridici definitivi, ulteriori rispetto a quelli necessariamente connessi al ricorso al giudice, che modifichino in misura rilevante la situazione giuridica delle ricorrenti.

84.

Le ricorrenti fanno valere, da un lato, determinati effetti che gli atti impugnati avrebbero prodotto nell'ordinamento giuridico comunitario e, dall'altro, alcuni effetti che la proposizione delle azioni civili avrebbe prodotto secondo il diritto statunitanse.

Sugli effetti degli atti impugnati nell'ordinamento giuridico comunitario

85.

In primo luogo occorre esaminare la tesi delle ricorrenti secondo la quale gli atti impugnati avrebbero prodotto effetti giuridici con riguardo alla ripartizione delle competenze prevista dal Trattato, pregiudicando l'equilibrio istituzionale.

86.

A tal proposito, si deve rilevare che gli atti impugnati, come ogni atto di un'istituzione, implicano in via accessoria una decisione del loro autore quanto alla propria competenza ad adottarli. Una tale decisione non può tuttavia essere qualificata come effetto giuridico obbligatorio ai sensi della giurisprudenza relativa all'art. 230 CE. Infatti, tale decisione, anche supponendo che sia errata, non ha carattere autonomo rispetto all'atto adottato. Diversamente ragionando, l'esclusione delle raccomandazioni e dei pareri dal novero degli atti impugnabili non deriverebbe dal fatto che tali atti non producono effetti giuridici, poiché anch'essi presuppongono una decisione relativa alla competenza del loro autore. Occorre aggiungere che una decisione simile, a differenza di un atto avente ad oggetto un'attribuzione di commpetenza, quale quello all'origine della sentenza 9 ottobre 1990, Francia/Commissione, citata al precedente punto 52, non é diretto a modificare la ripartizione delle competenze prevista dal Trattato.

87.

Allo stesso modo non può affermarsi che la pretesa incompetenza della Commissione e l'eventuale pregiudizio all'equilibrio istituzionale che ne deriverebbe siano sufficienti ad attribuire agli atti impugnati effetti giuridici obbligatori. Infatti, un tale ragionamento porterebbe a dedurre l'impugnabilità dell'atto dalla sua eventuale illegittimità. A tal riguardo, risulta dalla giurisprudenza della Corte che la gravità di un'asserita violazione dell'istituzione interessata o la rilevanza del pregiudizio che ne deriverebbe con riguardo al rispetto dei diritti fondamentali, non consente di eludere l'applicazione delle eccezioni di irricevibilità di ordine pubblico previste dal Trattato. In tal senso, un'asserita violazione dell'equilibrio istituzionale non consente di eludere i requisiti di ricevibilità del ricorso di annullamento fissati dal Trattato (v., per analogia, ordinanza della Corte 10 maggio 2001, causa C-345/00 P, FNAB e a./Consiglio, Racc. pag. I-3811, punti 39-42).

88.

La giurisprudenza richiamata dalle ricorrenti non è idonea ad inficiare tale conclusione. Se è vero che la Corte e il Tribunale hanno ricordato, con riguardo agli atti preparatori, la possibilità di esaminare la questione se, «in circostanze eccezionali, quando si tratta di provvedimenti sprovvisti anche della più vaga apparenza di regolarità, un ricorso giurisdizionale precoce (...) possa essere considerato compatibile con il sistema di mezzi di ricorso contemplato dal trattato» (sentenza IBM/Commissione, citata al precedente punto 48, punto 23; v. anche sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, citata al precedente punto 48, punto 49), i giudici comunitari non hanno mai confermato la possibilità di procedere in via eccezionale ad un simile controllo degli atti preparatori o di altri atti privi di effetti giuridici. Inoltre, le decisioni che hanno menzionato tale ipotesi sono precedenti all'ordinanza FNAB e a./Consiglio, citata al punto precedente, nella quale la Corte si è chiaramente pronunciata contro la possibilità di far dipendere la ricevibilità di un ricorso dalla gravità delle violazioni del diritto comunitario asserite.

89.

Non si potrebbe nemmeno dedurre dalla sentenza Commissione/Consiglio, menzionata al precedente punto 52, o dalla sentenza 13 novembre 1991,Francia/Commissione, citata al precedente punto 52, che la Corte abbia esteso la nozione di atto impugnabile ad atti privi di effetti giuridici obbligatori.

90.

La tesi delle ricorrenti non può neanche essere fondata sulla sentenza 9 agosto 1994, Francia/Commissione, citata al precedente punto 52, nella quale la Corte ha dichiarato impugnabile l'atto con il quale la Commissione ha inteso concludere l'accordo con gli Stati Uniti d'America sull'applicazione del diritto della concorrenza (v. punti 15 e 17 della sentenza). Le ricorrenti sostengono che l'atto impugnato in tale causa sarebbe stata la decisione che autorizzava il vice presidente della Commissione a firmare l'accordo controverso e ritengono che tale decisione sarebbe analoga a quelle impugnate nella specie, che autorizzano il presidente ed un membro della Commissione ad adottare i provvedimenti necessari ad adire i giudici degli Stati Uniti. Tuttavia, gli effetti che una decisione di autorizzazione può produrre dipendono dall'oggetto dell'autorizzazione. Nella causa che aveva dato luogo alla menzionata sentenza Francia/Commissione, l'accordo in questione mirava, come risultava dal suo tenore letterale, a produrre effetti giuridici, in particolare a creare obblighi reciproci di scambio d'informazioni e di cooperazione tra la Commissione e le autorità americane. Nel caso di specie, le autorizzazioni avevano ad oggetto soltanto il ricorso alla District Court e non hanno pertanto prodotto effetti autonomi rispetto alle decisioni di proporre le azioni.

91.

Da quanto precede risulta infondata la tesi delle ricorrenti, secondo la quale gli atti impugnati avrebbero prodotto effetti giuridici obbligatori con riguardo alle competenze della Commissione e all'equilibrio istituzionale.

92.

In secondo luogo, occorre esaminare la tesi delle ricorrenti secondo la quale gli atti impugnati avrebbero prodotto effetti giuridici obbligatori eludendo le procedure previste dal diritto comunitario e dagli ordinamenti giuridici degli Stati membri in materia di riscossione delle imposte e dei dazi doganali ed in materia di lotta contro le frodi, privando le ricorrenti delle garanzie giurisdizionali di cui esse avrebbero goduto nell'ambito di tali procedure e assoggettandole alle norme di un ordinamento giuridico diverso.

93.

In limine, occorre ricordare che il ricorso ad un giudice non modifica, di per sé, la situazione giuridica delle parti in causa ai sensi della giurisprudenza relativa all'art. 230 (v. supra, punto 79). Tale principio vale sia nel caso di ricorso al giudice comunitario sia nel caso in cui vengano aditi giudici degli Stati membri e persino di Stati terzi, quali gli Stati Uniti, e non è inficiato dal fatto che ogni giudice sia chiamato ad applicare le norme procedurali del proprio ordinamento giuridico e le norme sostanziali individuate in base alla proprie disposizioni sul conflitto di leggi. Infatti, indipendentemente dalle norme applicabili, le conseguenze giuridiche che ne derivano, ex lege o a seguito delle decisioni del giudice adito, non possono essere attribuite alla parte che ha adito il giudice.

94.

Di conseguenza, né il fatto che il ricorso alla District Court dia luogo all'applicazione da parte della medesima di norme del proprio ordinamento, né il fatto che tale ordinamento possa presentare differenze rispetto all'ordinamento giuridico comunitario e a quelli degli Stati membri sono di per sé sufficienti a modificare, in maniera rilevante, la situazione giuridica delle ricorrenti.

95.

Le ricorrenti rilevano correttamente che alcune decisioni di carattere procedurale possono produrre effetti giuridici obbligatori e definitivi ai sensi della giurisprudenza relativa all'art. 230 CE.

96.

Si tratta, da una parte, di decisioni che, pur costituendo fasi di una procedura amministrativa in corso, non si limitano a creare le condizioni per l'ulteriore svolgimento di quest'ultima, ma producono effetti che vanno al di là dell'ambito procedurale e modificano i diritti e gli obblighi degli interessati sul piano sostanziale.

97.

Ciò vale, in particolare, per le decisioni adottate ai sensi dell'art. 15, n. 6, del regolamento n. 17, aventi ad oggetto la revoca, con effetto costitutivo, dell'esenzione dalle sanzioni della quale godono le imprese, a termini dell'art. 15, n. 5, di detto regolamento, a seguito della notificazione del loro accordo (sentenza Cimenteries e a./Commissione CEE, citata al precedente punto 57), per le decisioni di richiesta di informazioni ai sensi dell'art. 11, n. 5, del regolamento n. 17 (sentenza del Tribunale 9 novembre 1994, causa T-46/92, Scottish Football/Commissione, Racc. pag. 1039, punto 13), per le decisioni che neghino l'applicazione del segreto commerciale a documenti provenienti da un'impresa (sentenza della Corte 24 giugno 1986, causa C-53/85, AKZO Chemie/Commissione, Racc. pag. 1965) e per le decisioni che determinino l'apertura del procedimento di esame degli aiuti di Stato ai sensi dell'art. 88, n. 2, CE, e qualifichino provvisoriamente come aiuti nuovi gli aiuti considerati, obbligando in tal modo gli Stati membri interessati a modificare la propria condotta riguardo gli aiuti stessi (sentenze della Corte Spagna/Commissione, citata al precedente punto 57, punti 12-24, e 9 ottobre 2001, causa C-400/99, Italia/Commissione, Racc. pag. I-7303, punti 55-63; sentenza del Tribunale 30 aprile 2002, cause riunite T-195/01 e T-207/01, Governo di Gibilterra/Commissione, Racc. pag. II-2309, punti 68-86).

98.

A differenza di tali casi specifici, gli atti impugnati non modificano, di per sé, i diritti e gli obblighi delle ricorrenti sul piano sostanziale. In particolare, l'assenza di un procedimento comunitario in materia di riscossione delle imposte e dei dazi doganali non potrebbe essere paragonata all'immunità espressamente accordata alle parti di un accordo notificato dall'art. 15, n. 5, del regolamento n. 17. Inoltre, se è pur vero che gli atti impugnati implicano una valutazione provvisoria da parte della Commissione del comportamento delle ricorrenti in base al diritto degli Stati Uniti, essi si differenziano dalla decisione di avviare il procedimento di esame degli aiuti di Stato per il fatto che il diritto comunitario non prevede conseguenze giuridiche determinate derivanti da questa valutazione. Il ricorso ai giudici americani non impone pertanto nuovi obblighi alle ricorrenti e, come correttamente rilevato dalla Commissione, non le obbliga a modificare la loro condotta.

99.

D'altra parte, alcune decisioni di carattere procedurale sono impugnabili in quanto recano pregiudizio a diritti procedurali degli interessati (v., per quanto riguarda la decisione di sospendere un procedimento amministrativo ai sensi del regolamento n. 17 e di avviare un procedimento per inadempimento, la sentenza del Tribunale 18 novembre 1992, causa T-16/91, Rendo e a./Commissione, Racc. pag. II-2417, punti 39-57, parzialmente annullata, per altri motivi, dalla sentenza della Corte 19 ottobre 1995, causa C-19/93 P, Rendo e a./Commissione, Racc. pag. I-3319).

100.

Nel caso di specie, le ricorrenti non avrebbero tuttavia goduto di diritti procedurali nell'ambito del procedimento per inadempimento che, secondo le stesse, avrebbe dovuto essere avviato dalla Commissione. Di conseguenza, il ricorso alla District Court non ha potuto privarle di diritti al riguardo. La sentenza della Corte 5 maggio 1977, causa 110/76, Pretore di Cento/X (Racc. pag. 851), richiamata dalle ricorrenti, non riconosce ai singoli diritti procedurali specifici. Essa si pronuncia semplicemente sulla ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri in materia di riscossione delle imposte. Orbene, in assenza di una competenza comunitaria quanto alla riscossione dei diritti e dei dazi di cui trattasi, non esiste nemmeno un procedimento previsto in materia dalla normativa comunitaria che attribuisca alle ricorrenti garanzie delle quali queste ultime sarebbero state private.

101.

Le ricorrenti non hanno nemmeno dimostrato che gli atti impugnati abbiano pregiudicato la loro situazione giuridica con riferimento ai procedimenti di riscossione delle imposte e dei dazi doganali esistenti negli Stati membri. Esse hanno, certamente, affermato genericamente che gli ordinamenti giuridici degli Stati membri conterrebbero regole atte a limitare o ad escludere la loro responsabilità in materia e regole che attribuirebbero loro garanzie procedurali. Esse non hanno tuttavia fatto valere che determinate procedure, esperibili all'interno di uno Stato membro, sarebbero state eluse o aggirate per effetto del ricorso ai giudici americani. Infatti, in risposta ai quesiti del Tribunale, le ricorrenti hanno indicato che, a quanto loro risultava, non vi erano procedimenti di recupero avviati nei loro confronti negli Stati membri.

102.

Anche l'argomento delle ricorrenti secondo il quale nessun organo sovrano potrebbe riscuotere indirettamente tasse attraverso un'azione di risarcimento del danno, é inidoneo a dimostrare una violazione dei loro diritti procedurali. D'altronde tale argomento attiene al merito della controversia.

103.

Del pari, le ricorrenti non hanno concretamente indicato sotto quale profilo gli atti impugnati avrebbero arrecato pregiudizio alla loro situazione giuridica con riferimento alle procedure relative alla lotta antifrode.

104.

Ne consegue che le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione, con gli atti impugnati, abbia eluso o aggirato le procedure esistenti nell'ordinamento giuridico comunitario in materia di riscossione delle imposte e dei dazi doganali o in materia di lotta antifrode.

105.

Le ricorrenti hanno poi correttamente rilevato, che il procedimento dinanzi alla District Court si differenzierebbe dai procedimenti esperibili dinanzi ai giudici degli Stati membri per l'assenza della disciplina del rinvio pregiudiziale di cui all'art. 234 CE. E' tuttavia normale, nelle controversie che presentino elementi di internazionalità, che il giudice debba applicare disposizioni giuridiche straniere e che lo faccia nell'ambito del proprio diritto processuale. Ora, il fatto che il giudice applichi le proprie norme procedurali costituisce una delle conseguenze necessariamente connesse all'adizione di qualsiasi organo giurisdizionale e non può essere qualificato come effetto giuridico ai sensi della giurisprudenza relativa all'art. 230 CE. Occorre aggiungere che se l'art. 234 CE dà ai giudici degli Stati membri la facoltà di sottoporre questioni pregiudiziali ed impone ad alcuni di loro un obbligo di rinvio, esso non conferisce d'altro canto alle parti in causa alcun diritto di adire la Corte.

106.

Ne consegue che gli atti impugnati non hanno pregiudicato i diritti procedurali delle parti ricorrenti.

107.

Di conseguenza, la tesi delle ricorrenti secondo la quale gli atti impugnati, sottoponendole ad un altro ordinamento giuridico o modificando la loro situazione giuridica sul piano sostanziale o procedurale avrebbero prodotto effetti giuridici obbligatori, è infondata.

108.

Pertanto gli atti impugnati non producono, nell'ordinamento giuridico comunitario, effetti giuridici obbligatori ai sensi della giurisprudenza relativa all'art. 230 CE.

Sugli effetti della proposizione delle azioni civili secondo il diritto americano

109.

Le ricorrenti rilevano giustamente che dalla proposizione delle azioni civili dinanzi ai giudici federali negli Stati Uniti deriverebbero loro numerose conseguenze per effetto, da un lato, del diritto processuale applicabile e, dall'altro, delle disposizioni di diritto sostanziale richiamate nell'ambito di tali azioni.

110.

Per quanto riguarda gli effetti del ricorso alla District Court sul piano procedurale, si deve anzitutto rilevare che le conseguenze addotte dalle ricorrenti non sono, in gran parte, diverse da quelle necessariamente connesse al ricorso a qualsiasi giudice, ed in parte sono soltanto conseguenze di fatto. Ciò vale specificamente per la circostanza che le ricorrenti, per salvaguardare i propri interessi, sono tenute a difendersi contro tali azioni e che questa difesa comporta costi elevati.

111.

Inoltre, è innegabile che i giudici federali degli Stati Uniti possono, in base al loro diritto processuale, adottare decisioni con effetti obbligatori nei confronti delle parti in causa, in particolare obbligando queste ultime a divulgare elementi di fatto e documenti.

112.

Tali effetti derivano tuttavia dall'esercizio autonomo dei poteri di cui tali giudici sono investiti in base al diritto statunitense. Essi non sono quindi imputabili alla Commissione. Di conseguenza, non se ne può dedurre che gli atti impugnati abbiano di per sé prodotto effetti giuridici obbligatori al riguardo (v., per analogia, sentenza del Tribunale 13 dicembre 1990, causa T-113/89, Nefarma et Bond van Groothandelaren in het Farmaceutische Bedrijf/Commissione, Racc. pag. II-797, punti 95 e 96).

113.

Per le stesse ragioni, deve essere disattesa la tesi delle ricorrenti secondo cui un effetto giuridico del ricorso al giudice americano consisterebbe nel fatto che la Comunità sarebbe giuridicamente vincolata dal tenore delle denunce depositate dinanzi al giudice americano stesso, in quanto quest'ultimo potrebbe infliggerle sanzioni, anche nel caso in cui essa desista dalla propria azione, ove venisse accertato che questa sia stata proposta in modo abusivo o ha un contenuto futile o vessatorio. Infatti il comportamento vessatorio o abusivo di un ricorrente, che può essere sanzionato dal giudice americano, non può essere assimilato all'adozione di un atto con effetti obbligatori adottato da un'istituzione comunitaria.

114.

Per quanto riguarda gli effetti del ricorso alla District Court sul piano sostanziale, le ricorrenti si riferiscono, innanzitutto, al contenuto che potrebbe avere una decisione che le condannasse. La decisione di adire la District Court, di per sé, non modifica tuttavia la loro situazione giuridica a tal riguardo, per il fatto di esporle a sanzioni che, in mancanza della stessa, non potrebbero essere pronunciate. Essa si limita ad avviare un procedimento diretto a far accertare la loro responsabilità, l'esistenza della quale, sul piano del diritto sostanziale, non è determinata dalla proposizione dell'azione. Se gli atti impugnati hanno potuto quindi avere l'effetto di mostrare alle ricorrenti che esse corrono un rischio concreto di vedersi infliggere sanzioni dal giudice americano, ciò costituisce una semplice conseguenza di fatto, e non un effetto giuridico che gli atti impugnati sono diretti a produrre (v., per analogia, sentenza IBM/Commissione, citata al precedente punto 48, punto 19). Infatti, se il ricorso al giudice è indispensabile, sul piano procedurale, affinché possa intervenire una decisione definitiva del giudice riguardante la condotta delle ricorrenti, essa non incide tuttavia sulla sostanza della situazione giuridica su cui quest'ultimo è chiamato a pronunciarsi.

115.

Con riferimento, inoltre, alla tesi delle ricorrenti secondo la quale esse sono accusate di condotte delittuose nell'ambito delle azioni controverse, occorre rilevare che si tratta, al riguardo, di una conseguenza di fatto. Le ricorrenti invocano, inoltre, l'immunità che tutela le parti in causa da un'azione per diffamazione concernente le affermazioni calunniose effettuate nell'ambito del procedimento. Tale immunità risulta tuttavia soltanto dalle disposizioni del diritto statunitense e non costituisce quindi un effetto degli atti impugnati, imputabile alla Commissione.

116.

Lo stesso ragionamento vale per quanto riguarda la pubblicazione delle denunce della Commissione su Internet da parte della District Court. Infatti tale pubblicazione è stata effettuata dal giudice adito nell'esercizio dei propri poteri. Essa non può quindi essere paragonata ad una decisione con la quale la Commissione rimuove un divieto, posto ad imprese cui sia stato trasmesso undocumento relativo ad un procedimento dinanzi ad essa pendente, di utilizzare tale documento nell'ambito di un procedimento giurisdizionale nazionale, come quello all'origine della sentenza del Tribunale 18 settembre 1996, causa T-353/94, Postbank/Commissione (Racc. pag. II-921).

117.

Infine, anche le conseguenze che possono derivare dalla proposizione delle azioni controverse sul piano della pubblicità delle società quotate in borsa sono di natura fattuale.

118.

Pertanto, gli effetti della proposizione delle azioni civili in base al diritto statunitense, addotti dalle ricorrenti, non possono essere considerati quali effetti giuridici obbligatori ai sensi della giurisprudenza relativa all'art. 230 CE.

119.

Si deve quindi rilevare che gli atti impugnati non costituiscono atti che possono formare oggetto di un ricorso ai sensi dell'art. 230 CE. Ciò premesso, appare superfluo esaminare le altre tesi delle parti relative alle questioni se tali atti possano essere qualificati quali atti preparatori, atti assimilabili a pareri o atti di organizzazione interna.

Sulla necessità di una tutela giurisdizionale effettiva

120.

Le ricorrenti sottolineano che l'irricevibilità dei presenti ricorsi produrrebbe l'effetto di privarle di ogni rimedio giuridico per poter contestare gli atti impugnati. Infatti, trovandosi il giudice adito in uno Stato terzo, ed in assenza di un ulteriore atto di un'istituzione comunitaria, né i giudici comunitari, né i giudici degli Stati membri potrebbero quindi essere chiamati a pronunciarsi sulla legittimità del comportamento della Commissione.

121.

A tal riguardo, si deve ricordare che la Corte ha affermato che l'accesso al giudice è uno degli elementi basilari di una comunità di diritto, e che esso è garantito, nell'ordinamento giuridico fondato sul Trattato CE, dal fatto che quest'ultimo ha istituito un sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte di giustizia il controllo sulla legittimità degli atti delle istituzioni (sentenza della Corte 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts/Parlamento, Racc. pag. 1339, punto 23). La Corte fonda il diritto di esperire un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice competente sulle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e sugli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (sentenza della Corte 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 18).

122.

Il diritto ad esperire un ricorso effettivo spettante a tutti coloro i cui diritti e le cui libertà tutelati dall'ordinamento giuridico dell'Unione siano stati violati, è stato inoltre ribadito dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU 2000, C 364, pag. 1), la quale, pur se non dotata di forza giuridica vincolante, dimostra l'importanza, nell'ordinamento giuridico comunitario, dei diritti che essa enuncia.

123.

A tal riguardo occorre rilevare che i singoli non sono privati dell'accesso al giudice per il fatto che una condotta priva di carattere decisionale non può formare oggetto di un ricorso di annullamento, dato che, se una simile condotta è di natura tale da far sorgere la responsabilità della Comunità, resta aperta la via del ricorso per responsabilità extracontrattuale, previsto negli artt. 235 CE e 288, secondo comma, CE.

124.

Se può apparire auspicabile, inoltre, che i singoli dispongano, oltre che del ricorso per il risarcimento del danno, di un rimedio giuridico che consenta di prevenire - o far cessare - comportamenti non decisionali delle istituzioni che possano recare pregiudizio ai loro interessi, occorre tuttavia rilevare che un tale mezzo di ricorso, che comporterebbe necessariamente l'invio alle istituzioni di provvedimenti ingiuntivi da parte del giudice comunitario, non è contemplato dal Trattato. Orbene, il giudice comunitario non può sostituirsi al potere costituente comunitario per procedere ad una modifica del sistema dei rimedi giuridici e dei procedimenti istituiti dal Trattato (sentenza del Tribunale 27 giugno 2000, cause riunite T-172/98, T-175/98 - T-177/98, Salamander e a./Parlamento e Consiglio, Racc. pag. II-2487, punto 75).

125.

Da quanto precede risulta che i ricorsi devono essere respinti.

Sulle spese

126.

Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

127.

Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, le ricorrenti devono essere condannate in solido alle spese.

128.

Ai sensi dell'art. 87, n. 4, primo comma, del regolamento di procedura, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata),

dichiara e statuisce:

1) I ricorsi sono respinti.

2) Le ricorrenti sopportano le proprie spese nonché, in solido, quelle dichiarate dalla Commissione.

3) Gli intervenienti sopportano le proprie spese.

 

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 gennaio 2003.

Il cancelliere H. Jung

Il presidente  R.M. Moura Ramos