Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
CASO SCOZZARI e GIUNTA contro ITALIA
SENTENZA del 13 luglio 2000 Ricorso n° 39221/98 et 41963/98
La sentenza così motiva
(traduzione non ufficiale a cura di Maria Antonia Lorusso)
GRANDE CAMERA
Sentenza del 13 luglio 2000
sul ricorso n° 39221/98 e 41963/98
presentato da SCOZZARI E GIUNTA
contro l’ Italia
Nel caso SCOZZARI e GIUNTA c. Italia,
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, riunita nella Grande Camera composta dai seguenti giudici :
Sign. L. Wildhaber, presidente,
Signori J.-P. Costa,
L. Ferrari Bravo,
Gaukur Jörundsson,
L. Caflisch,
I. Cabral Barreto,
W. Fuhrmann,
K. Jungwiert,
M. Fischbach,
B. Zupančič,
Signora N. Vajić,
Sign. J. Hedigan,
Signora M. Tsatsa-Nikolovska,
Signori T. Panţîru,
E. Levits,
K. Traja, giudici ;
C. Russo, giudice ad hoc ;
e dal Sign. M. de Salvia, cancelliere,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 26 gennaio 2000 e il 5 luglio 2000,
Pronuncia la seguente sentenza , adottata in tale ultima data :
PROCEDURA
1. Il caso è stato deferito alla Corte, in conformità delle disposizioni che si applicavano prima dell’entrata in vigore del Protocolllo n° 11 aggiuntivo alla Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (« la Convenzione »), dalla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo (« la Commissione »), e dal governo italiano (« il Governo »), rispettivamente il 4 dicembre 1998 e il 21 gennaio 1999 (articolo 5 § 4 del Protocollo n° 11 e vecchi articoli 47 e 48 della Convenzione).
2. Il caso ha origine da due ricorsi (n. 39221/98 e n. 41963/98 –riuniti) proposti contro l’Italia. La prima ricorrente, signora Dolorata Scozzari, cittadina belga e italiana residente attualmente a Figline Valdarno, agisce anche a nome dei figli, G., nato nel 1987 e avente la doppia nationalità italiana e belga, e M., nato nel 1994 e avente la nazionalità italiana. La seconda ricorrente, signora Carmela Giunta, è una cittadina italiana nata nel 1939 e residente a Bruxelles. Dalla fine del 1998 ha anche una residenza in Italia. Ella è la madre della prima ricorrente.
3. La prima ricorrente aveva investito la Commissione europea dei Diritti dell’Uomo del primo ricorso il 9 dicembre 1997, in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione. La prima e la seconda ricorrente hanno poi investito la Commissione del secondo ricorso il 16 giugno 1998 (i due ricorsi sono stati riuniti l’ 8 luglio 1998).
4. La prima ricorrente allegava la violazione dell’articolo 8 della Convenzione a causa della decisione del tribunale per i minorenni di Firenze d’interrompere ogni relazione tra lei e i suoi figli e di collocare questi presso la comunità « Il Forteto », come anche a causa dell’impossibilità di incontrare il figlio minore. La seconda ricorrente allegava, quanto a lei, la violazione dell’articolo 8 della Convenzione per il fatto che non era mai stata presa in considerazione la possibilità di affidarle i bambini. Le ricorrenti lamentavano anche la violazione degli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione a causa, rispettivamente, dei ritardi nell’esame dei loro ricorsi e di un sedicente trattamento discriminatorio. Infine, la prima ricorrente allegava la violazione dell’ articolo 3 della Convenzione, a causa dei sedicenti trattamenti inumani inflitti ai bambini all’interno della comunità, e dell’articolo 2 del Protocollo addizionale n° 1, in relazione a una pretesa insufficiente scolarizzazione dei bambini.
5. Il 10 marzo 1998 la Commissione ha dichiarato irricevibile una parte del primo ricorso (n° 39221/98). Il 15 settembre 1998, ha accolto il secondo ricorso (n° 41963/98) e il surplus del primo ricorso. Nel suo rapporto del 2 dicembre 1998 (vecchio articolo 31 della Convenzione), la Commisione formula il parere che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione quanto alla sospensione della potestà genitoriale della prima ricorrente e dell’allontanamento dei suoi bambini (24 voti contro 1) ; che non vi è stata violazione dell’articolo 8 quanto alla sistemazione dei bambini presso la comunità « Il Forteto » (13 voti contro 12) ; che vi è stata violazione dell’articolo 8 a causa dell’interruzione di ogni contatto tra la prima ricorrente e i suoi bambini, ivi compresa la sospensione degli incontri programmati tra la prima ricorrente e il minore dei suoi bambini (21 voti contro 4). La Commissione formula inoltre, all’unanimità, il parere : che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione per ciò che concerne la seconda ricorrente; che non vi è stata violazione degli articoli 3 della Convenzione e 2 del Protocollo addizionale n° 1 ; che nessuna diversa questione si pone riguardo agli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione.
Il testo integrale del suo parere e delle opinioni dissenzienti che lo accompagnano figura in allegato alla presente sentenza.
6. Davanti alla Corte, le ricorrenti sono rappresentate dall’avv. Annamaria Mazzarri, avvocato del foro di Livorno. Il governo italiano è rappresentato dal suo agente, sign. Umberto Leanza, capo del servizio del Contenzioso Diplomatico al Ministero degli Affari Esteri, in qualità d’agente, assistito dal sign. Vitaliano Esposito, co-agente del governo italiano presso la Corte europea dei Diritti dell’Uomo.
7. Il 3 febbraio 1999, il collegio della Grande Camera ha stabilito che il caso dovesse essere esaminato dalla Grande Camera (articolo 100 § 1 del regolamento). Il sign. B. Conforti, giudice eletto per l’Italia, che aveva preso parte all’esame della causa in seno alla Commissione, si è dimesso (articolo 28). Di conseguenza, il governo convenuto ha designato il sign. C. Russo per siedere in qualità di giudice ad hoc(articoli 27 § 2 della Convenzione e 29 § 1 del regolamento).
8. Le ricorrenti hanno depositato delle memorie il 3 marzo, il 16 luglio e il 22 settembre 1999, il governo convenuto il 9 dicembre 1998, il primo marzo, il 6 e 10 aprile, il 5 e 19 luglio e il 10 settembre 1999. Sono state ricevute anche le osservazioni del governo belga, che aveva esercitato il suo diritto d’intervenire (articoli 36 § 1 della Convenzione e 61 § 2 del regolamento).
9. Un’udienza si è svolta a porte chiuse al Palazzo dei Diritti dell’Uomo, a Strasburgo, il 26 gennaio 2000.
Sono comparsi :
– per il governo italiano
Sign. Vitaliano Esposito, magistrato distaccato al servizio del Contenzioso diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, co-agente ;
– per le ricorrenti
Avv. Annamaria Mazzarri, consulente,
Signore Dolorata Scozzari,
Carmela Giunta, ricorrenti;
– per il governo belga
Avv. Annick Davis,
Avv. Muriel Gillet, consulenti.
La Corte ha ascoltato le loro dichiarazioni.
10. L’ 8 marzo 2000, la Corte ha esaminato le registrazioni video e sonore relative agli incontri del 29 aprile e del 9 settembre 1999, presentate il 2 febbraio 2000 dal governo convenuto. La Corte ha ritenuto che il caso fosse istruito e che non fosse necessario dare seguito alle altre domande delle parti e del governo belga in vista di un supplemento d’istruzione.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO
A. Avvenimenti che hanno condotto le autorità ad intervenire nella vita familiare della prima ricorrente
11. La prima ricorrente conobbe N.A., il padre dei suoi figli, in Belgio, mentre questi era in carcere. N.A. era stato condannato il 17 febbraio 1984 ai lavori forzati a vita in particolare per fatti di furto con violenza e per tentato omicidio. In passato era già stato condannato, tra l’altro, per furto, atti osceni in presenza di un fanciullo minore degli anni 15 e violenza sessuale su un fanciullo minore degli anni 14, ma maggiore degli anni 10 (per questi due ultimi delitti aveva ottenuto la grazia con estinzione della pena della reclusione). La pena dei lavori forzati a vita , in seguito, fu commutata in una pena a 27 anni di lavori forzati in virtù della grazia accordata nel 1991.
12. Mentre N.A. era ancora in carcere nacque il primo figlio . La ricorrente e N.A. si sposarono successivamente. A una data non precisata del 1993, N.A. non rientrò nell’ istituto penitenziario e, da allora, è ricercato dalle autorità belghe. Di fatto, N.A. e la prima ricorrente erano partiti per l’Italia con il loro figlio.
13. Nel febbraio del 1994 nacque il secondo figlio. Tuttavia, la situazione familiare aveva cominciato a deteriorarsi. Le controversie tra i genitori si intensificarono e sfociarono in episodi di violenza in danno della prima ricorrente, che, in seguito, sporse denuncia contro suo marito (l’esito di questo procedimento non è conosciuto).
14. Nel frattempo, M.L., un educatore che lavorava per i servizi sociali della provincia di Firenze, aveva stabilito delle buone relazioni con la famiglia della prima ricorrente. Ex tossicodipendente al quale era stato affidato il controllo di vari bambini provenienti da famiglie difficili e collocati in istituti, egli si offrì di occuparsi gratuitamente del figlio maggiore della prima ricorrente durante i fine settimana. Questa accettò l’offerta, tenuto conto del fatto che i due genitori lavoravano, della necessità di occuparsi del nuovo nato, come anche dell’impossibilità di beneficiare di un controllo gratuito da parte dei servizi sociali pubblici durante i fine settimana.
15. Poco dopo, il figlio maggiore manifestò dei problemi di salute. La prima ricorrente lo accompagnò all’ospedale più volte, ma questi disturbi, inizialmente, furono attribuiti ad una alimentazione inadeguata.
16. Nel novembre del 1996, la prima ricorrente si oppose al proseguimento delle visite di M.L. Quest’ultimo, allora, cominciò a vedere il bambino al domicilio della prima ricorrente e unicamente in presenza dei suoi genitori. La prima ricorrente tentò di porre fine ai rapporti tra M.L e suo figlio, ma quest’ultimo ebbe delle crisi in seguito a questa rottura e tentò di frequentare M.L. all’insaputa dei suoi genitori.
17. Poco dopo, il bambino fece cenno ad un amico di famiglia di «giochi particolari » ai quali M.L. l’aveva fatto partecipare più volte. Essendo stata messa al corrente di questa confessione del bambino, la prima ricorrente e suo marito allora presentarono formale denuncia alla polizia il 2 febbraio 1997.
18. Fu aperta un’ inchiesta. Gli investigatori scoprirono rapidamente vari elementi che dimostravano che in realtà M.L. era al centro di una rete di pedofilia. In particolare, egli era accusato di avere abusato sessualmente di parecchi bambini a partire dal 1986, approfittando dei suoi legami di collaborazione con i servizi sociali e delle sue funzioni di educatore (alcune delle presunte vittime erano collocate in istituti e una di queste gli era stata affidata anche dal tribunale per i minorenni di Palermo). M.L. era anche accusato di avere rivenduto delle foto scattate durante gli incontri sessuali nei quali erano coinvolti dei bambini, compreso anche il figlio maggiore della prima ricorrente, e di avere gestito un traffico di stupefacenti.
19. Il 6 giugno 1997, il giudice per le indagini preliminari ordinò l’arresto di M.L. Il giudice evidenziò il fatto che quegli, ex tossicomane, aveva finto di volersi riscattare e, con questa astuzia, era riuscito a infiltrarsi nelle istituzioni pubbliche demandate alla protezione dei bambini e aveva approfittato della custodia dei bambini che gli erano stati affidati sia dai privati che dalle autorità pubbliche. Al termine del processo di primo grado, M.L. fu condannato.
20. Nel frattempo, i servizi sociali cominciarono a seguire più da vicino la situazione della famiglia della prima ricorrente. In un rapporto del 30 gennaio 1997, l’assistente sociale incaricato del caso, signora S.G., sottolineò la grave situazione conflittuale tra i genitori (nel corso dell’estate dell’anno precedente, la prima ricorrente si era rivolta a diverse autorità per denunciare la situazione) e la difficoltà di cooperare efficacemente con questi. Un secondo rapporto del 7 febbraio 1997 mostrava il deterioramento della situazione. Peraltro, la signora S.G. riferì che il minore dei bambini frequentava irregolarmente l’asilo a causa di problemi di salute non gravi, mentre il maggiore veniva descritto dagli insegnanti come un bambino intelligente e molto attivo.
21. Il 25 febbraio 1997, il tribunale per i minorenni di Firenze ordinò la collocazione dei bambini e della madre in un istituto scelto dai servizi sociali. Il tribunale si riferì in particolare alla denuncia concernente i sedicenti abusi sessuali subiti dal figlio maggiore della prima ricorrente.
22. In un rapporto del 12 marzo 1997, i servizi sociali segnalarono la difficoltà di trovare un istituto disposto ad accogliere sia i bambini che la madre. Daltronde, questa rifiutava ogni separazione dai bambini e il maggiore aveva dichiarato di volere restare con lei. Tutti e tre furono alloggiati provvisoriamente presso una casa d’accoglienza dell’associazione « Caritas ». Su iniziativa della prima ricorrente, i bambini ricominciarono a frequentare la scuola. Nello stesso rapporto, i servizi sociali descrissero la prima ricorrente come persona instabile e fragile.
23. Nel marzo del 1997, i servizi sociali dichiararono l’impossibilità per l’associazione « Caritas » di continuare ad accogliere la prima ricorrente. D’altronde, essi indicarono che questa sembrava incapace di seguire un adeguato programma di protezione dei bambini e vi erano dei dubbi quanto alle sue effettive capacità di occuparsene. Inoltre, ella aveva continuato a frequentare un uomo all’esterno , come pure all’interno dell’istituto, e aveva manifestato la volontà di ritornare a casa sua, dato che il marito non l’aveva, secondo lei, più picchiata.
24. Un rapporto di una neuropsichiatra della Unità Sanitaria Locale, datato 9 giugno 1997, sottolineò che la prima ricorrente sembrava presentare delle turbe della personalità. I passaggi pertinenti si possono leggere qui di seguito :
« (...) La signora non sembra in grado di esaminare la realtà e trarne un comportamento adeguato. Sembra molto confusa sia quanto al modo di riferire le cose che quanto agli atti sprovvisti di razionalità. E’ incapace di discernere ciò che è bene e ciò che è male per il bambino e, dunque, incapace di proteggerlo ; alterna dei momenti in cui sembra molto infantile, in funzione della immagine idealizzata della madre, e dei momenti in cui colloca G. in un ruolo d’adulto con dei tratti di seduzione e una sottile perversione.
Posso concludere che la Signora presenta un disturbo della personalità serio che concerne talora la sfera della conoscenza e della ideazione, talora la sfera emozionale e relazionale, e si potrebbe avanzare l’ipotesi di un quadro clinico del genere « border-line ».
Nello stato attuale, la Signora si mostra incapace di gestire la situazione estremamente complessa della sua famiglia e quella molto delicata di G., e ancora di più di costruire un ambiente sufficientemente positivo intorno a lui. »
25. Un rapporto dell’istituto scolastico frequentato dal maggiore dei bambini, datato 10 giugno 1997, annotò una agitazione crescente del bambino. Quanto alla prima ricorrente, questo rapporto dichiarava che ella manifestava un atteggiamento assai mutevole sia verso i figli, sia verso il personale della scuola, ora aggressivo, ora premuroso. Secondo la scuola, era stato molto difficile instaurare un dialogo costruttivo con lei. Una relazione dell’assistente sociale, con data del giorno successivo, confermò le difficoltà crescenti del figlio maggiore.
26. Il 22 luglio 1997, il tribunale per i minorenni ordinò la collocazione del figlio maggiore in un altro istituto. I genitori si opposero a questa decisione il 30 luglio 1997. Con una ordinanza dell’ 8 agosto 1997, il tribunale precisò che questa sistemazione doveva limitarsi a tre mesi e aveva come scopo quello di osservare il comportamento del bambino. Tuttavia, il bambino si mostrò scontento di questa soluzione. Durante questa permanenza, egli fuggì e ritornò a casa sua. Ciononostante, i servizi sociali insistetterò affinchè egli restasse presso l’istituto.
27. Una perizia medica privata, depositata in quel periodo, sottolineò che il bambino, che era terrorizzato dal prete incaricato della direzione dell’ istituto, aveva bisogno di un ambiente sereno e non di essere circondato da altri bambini con un passato tragico come il suo.
28. Intanto il figlio minore era stato trasferito in un altro istituto.
29. L’ 8 settembre 1997, al termine di una riunione alla quale presero parte, in particolare, gli assistenti sociali e gli specialisti che avevano seguito la prima ricorrente e i suoi figli, i responsabili dei servizi sociali competenti conclusero sulla necessità di allontanare i bambini dalla loro famiglia naturale e raccomandarono di collocarli presso la comunità « Il Forteto », organizzata sotto forma di cooperativa agricola.
30. Il 9 settembre 1997, il tribunale per i minorenni di Firenze ordinò la collocazione dei due bambini presso « Il Forteto », in applicazione dell’ articolo 333 del codice civile (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli), sospese la potestà genitoriale del padre e della madre, in applicazione dell’articolo 330 del codice civile (Decadenza dalla potestà sui figli ), ordinò che in caso di opposizione dei genitori, la decisione fosse eseguita con l’aiuto della forza pubblica, autorizzando i genitori a fare visita solo al figlio minore, nei locali della cooperativa ed in presenza del suo personale. Il tribunale, in particolare, sottolineò la mancanza di collaborazione da parte dei genitori , che avevano, in una occasione, tolto il maggiore dei bambini dall’istituto in cui si trovava precedentemente nonostante l’opposizione dei responsabili. Il tribunale, inoltre, rimproverò ai genitori di avere esposto per lungo tempo il maggiore dei loro bambini alla situazione tragica della quale era stato la vittima, senza esercitare la sorveglianza alla quale erano tenuti come genitori e senza notare i segnali d’allarme manifestati dal bambino, che, al contrario, non erano sfuggiti al personale della scuola, che aveva invano cercato di instaurare un dialogo con la famiglia. Infine, il tribunale ordinò ai servizi sociali di seguire da vicino la situazione dei bambini e di elaborare, a partire dai risultati di questa osservazione, un progetto di rieducazione.
B. Elementi relativi alla comunità « Il Forteto »
31. Risulta dal fascicolo di causa che la cooperativa in questione fu oggetto, alla fine degli anni ‘70, di una inchiesta penale in relazione a tre dei suoi fondatori, per supposti atti di zoofilia e pedofilia commessi all’interno della cooperativa. Due di queste persone, L.R.F. e L.G., furono arrestate, poi rimesse in libertà, ma , nondimeno rinviate a giudizio.
32. Con una sentenza della corte di appello di Firenze del 3 gennaio 1985, L.R.F. e L.G. furono condannati segnatamente per maltrattamenti e abusi sessuali su persone accolte nella comunità (essi furono, peraltro, prosciolti dagli altri capi di imputazione per insufficienza di prove). La corte di appello ritenne opportuno esaminare gli elementi a carico degli accusati alla luce del contesto del Forteto, dal quale risultava sia una istigazione da parte dei suoi responsabili alla rottura dei rapporti tra i bambini che erano affidati loro e i loro genitori biologici, sia una pratica diffusa di omosessualità. La corte dichiarò L.R.F. e L.G. colpevoli in particolare per i seguenti capi (la condanna si basava tra l’altro sulle testimonianze e sulle parziali confessioni degli imputati) :
- entrambi per avere maltrattato una ragazza handicappata di diciotto anni che avava soggiornato per qualche giorno nella comunità, in particolare picchiandola più volte al giorno, insultandola anche in presenza di altre persone, impedendole di comunicare con l’esterno, umiliandola a causa delle sue caratteristiche fisiche; quanto a L.R.F., la corte stabilì anche che questi aveva sputato sul viso della ragazza e, per disprezzo, le aveva mostrato il suo organo sessuale ;
- L.R.F. anche per avere abusato sessualmente (atti di libidine violenti) di due handicappati mentali di sesso maschile, in una occasione in presenza di un tredicenne.
33. Il primo fu condannato ad una pena di due anni di reclusione e il secondo ad una pena di dieci mesi di reclusione . Comunque ottennero la condizionale e la sospensione dell’interdizione dai pubblici uffici. Inoltre furono amnistiati per il delitto di usurpazione di titolo , di cui erano stati accusati per essersi arrogati il titolo di psicologi diplomati presso le università di Berna e Zurigo.
34. Il loro ricorso in cassazione fu respinto l’ 8 maggio 1985.
35. Questi due uomini fanno sempre parte del personale che lavora per la cooperativa. Inoltre, uno dei due, L.R.F., ha preso parte alla riunione summenzionata dell’ 8 settembre 1997, al termine della quale i servizi sociali competenti raccomandarono al tribunale per i minorenni di Firenze di collocare i figli della prima ricorrente presso la comunità in questione. Secondo le ultime informazioni di cui dispone la Corte, L.R.F. ne sarebbe attualmente il presidente.
36. Si evince anche dal fascicolo di causa , in particolare da uno dei libri pubblicati sulla comunità (Ritratti di famiglia, Firenze, 1997), che alcune delle persone che lavorano nella comunità, o che vi sono accolte, provengono da famiglie con problemi e hanno subito nel loro passato violenze di natura pedofila.
37. A sostegno delle sue affermazioni, la prima ricorrente ha anche presentato varie testimonianze scritte: per iniziare quella di tre persone, che hanno declinato la loro identità, di cui rispettivamente la nipote, la sorella e la figlia erano state accolte, per diverse ragioni, nella comunità in causa. Di seguito alcuni estratti pertinenti.
38. Testimonianza n° 1 :
« (...) la ragazzina mi ha riconosciuto e mi si è avvicinata, un signore che si trovava al suo fianco l’ha bloccata, si è avvicinato a noi intimandoci di andare via (...). Sono andata al Forteto un’altra volta nel 1997 (...). Ho tentato più volte e ho sempre avuto delle risposte negative
39. Testimonianza n° 2 :
« (...) la ragazze che frequentavano Il Forteto erano denutrite e prostrate e mia sorella era una di loro ; quando è ritornata da sua madre, non parlava e le sue idee non si concatenavano ; con mia madre, abbiamo dovuto nutrirla con il cucchiaino per diversi mesi (...) ».
40. Testimonianza n° 3 :
« (...) nel maggio del 1991, una sera tardi in presenza di altri membri della famiglia, lei era così spaventata da non riuscire neppure a spiegare la situazione e non smetteva di dire che non voleva più tornare al Forteto. Questo ci fece capire che in quel momento stavano succedendo dei fatti gravi al Forteto. Ella dovette ritornarci perché essi la minacciavano (...). In passato è stata picchiata da (...) G. (...) L. (...) per non avere partecipato ad alcuni atti di violenza che lei rifiutava (...). Sono pronta a testimoniare davanti alla Corte europea. »
41. La parte ricorrente ha presentato anche altre due testimonianze scritte e firmate.
42. La prima di queste proveniva da una consigliera municipale di un paese della provincia. Questa persona ha affermato che il tutore dei bambini, che già conosceva e al quale si era rivolta per avere delle informazioni riguardanti il caso, le aveva consigliato di non immischiarsi. Peraltro, secondo la sua testimonianza, la stessa consigliera municipale fu invitata da L.R.F. a visitare la cooperativa a seguito dei dubbi che ella aveva espresso pubblicamente durante una manifestazione per la presentazione di uno dei libri pubblicati sulla comunità. Nonostante il desiderio, che aveva espresso più volte, di incontrare i bambini, questa possibilità le era stata costantemente rifiutata per vari motivi.
43. La seconda testimonianza proviene da due esperti nominati d’ufficio che lavorano per il tribunale per i minorenni di Firenze e che hanno seguito in parte il caso dei figli della prima ricorrente. Secondo questa testimonianza, questi due esperti, rispettivamente neurologo e psichiatra ed entrambi amministratori di un centro medico di terapia familiare ubicato a Firenze, avrebbero domandato al Forteto di permettere a degli stagisti del centro di frequentare o solo di visitare la comunità. A questa richiesta sarebbe stato sempre opposto un rifiuto per motivi che gli esperti in questione giudicano « assurdi » come, per esempio, il fatto che la comunità non è una struttura pubblica. Uno studente del centro, che frequentava un corso di formazione riconosciuto dalla Regione Toscana nel 1996-1997, era tuttavia riuscito a visitare la comunità durante i suoi studi. In questa occasione avrebbe saputo da un responsabile della comunità che le famiglie che avevano in affido i bambini non erano per forza le stesse che erano state designate formalmente dall’autorità giudiziaria.
44. La parte ricorrente si riferisce anche ad alcuni brani estratti da uno dei libri pubblicati sulla comunità (Il Forteto, Firenze, 1998).
45. Ella cita, tra gli altri, i seguenti brani a proposito della situazione problematica di alcuni adulti presenti nella casa:
« Quindi ciascuno decise di vivere con gli altri una esperienza comune che li arricchiva e che risolveva la povertà affettiva che l’aveva motivata » (p. 94). «Così ogni membro trovò e trova, realizzando questa esperienza, quel senso di appartenenza, di coesione e d’amore che altrove, nella famiglia di origine, gli è mancato. » (p. 95).
46. La parte ricorrente cita anche il brano seguente, che si riferisce alle autorità coinvolte nel procedimento penale diretto contro alcuni responsabili della comunità:
« Molti anni sono passati e il caso si è andato chiarendo man mano che si raccoglievano le prove delle macchinazioni ordite contro di loro, che ancora oggi sono conservate nella villa. Anche in quello manifestano uno spirito cristiano che, francamente, invidio. Oggi potrebbero facilmente iniziare una azione penale o di risarcimento anche nei confronti di alcuni magistrati, ma non lo fanno (...). In quel periodo, la magistratura tenne un comportamento scizzofrenico; mentre accusava il Forteto per il tramite della procura di Firenze, continuava ad affidare dei bambini a questa struttura per il tramite del tribunale dei minori. S (...) fu affidato a R (...) proprio in quel periodo. » (p. 31).
C. L’interruzione dei contatti tra la prima ricorrente e i suoi figli fino alla decisione del tribunale per i minorenni di Firenze del 22 dicembre 1998
47. Nella comunità, i bambini furono affidati alla coppia designata dal tribunale nella sua ordinanza del 9 settembre 1997, cioè al sign. G.C. e alla signora M.G.. La parte ricorrente allega che nell’ottobre del 1997, il figlio maggiore della prima ricorrente, in età scolare, non era stato ancora scolarizzato. Effettivamente, l’iscrizione di questo bambino fu fatta il 23 ottobre 1997 e cominciò a frequentare i corsi il 4 novembre seguente.
48. Il 10 e il 14 ottobre 1997, rispettivamente il tutore dei bambini e il pubblico ministero chiesero al tribunale di sospendere temporaneamente la possibilità di incontri anche con il figlio minore.
49. Il 4 novembre 1997, la prima ricorrente si rivolse al giudice S. del tribunale per i minorenni, facendo presente che, dalla decisione del tribunale del 9 settembre 1997, ella non aveva più potuto vedere i figli.
50. In quella stessa data, il dipartimento di psicologia della Unità sanitaria localeattestava le buone condizioni psicologiche della prima ricorrente.
51. Il 18 novembre 1997, il tribunale constatò che gli incontri dei genitori con il figlio minore non erano ancora cominciati. Tenuto conto dei ricorsi depositati dal tutore e dal pubblico ministero, il tribunale incaricò il centro di neuropsichiatria infantile competente di verificare se la situazione era compatibile con una ripresa degli incontri con i genitori.
52. Il 25 novembre 1997, la prima ricorrente si rivolse al giudice tutelare per sollecitare l’esecuzione della decisione del tribunale quanto agli incontri con il figlio minore.
53. Altri tentativi della prima ricorrente di vedere suo figlio minore recandosi direttamente al « Forteto » furono vani. In seguito, le relazioni tra alcuni responsabili della comunità, che avevano in affido i figli della prima ricorrente , e quest’ultima si deteriorarono. I primi denunciarono la seconda, accusandola di averli minacciati e aggrediti verbalmente e fisicamente, con l’aiuto, almeno in un caso, del suo ex marito, con il quale, secondo i responsabili del « Forteto », lei era rimasta in realtà in contatto (una lettera inviata il 7 gennaio 1998 alla procura e al tribunale per i minorenni, che riferiva di questi incidenti, era firmata da L.G.).
54. Il 3 dicembre 1997, la prima ricorrente domandò al tribunale per i minorenni di revocare la sua decisione del 9 settembre 1997, dato che nel frattempo le circostanze di fatto erano cambiate. Ella faceva valere il fatto che si era appena separata dal marito. Peraltro, la prima ricorrente sottolineò che le case di accoglienza per minori presentavano spesso una realtà « ambigua ».
55. Il 7 dicembre 1997, la prima ricorrente si lamentò, sempre presso il tribunale per i minorenni, per i reiterati rifiuti del « Forteto » di lasciarle vedere il figlio minore e per il fatto che la comunità agiva in maniera autonoma rispetto alle decisioni giudiziarie. Chiese allora al tribunale di raccogliere le informazioni necessarie a verificare se la comunità in questione difendesse effettivamente gli interessi dei suoi figli o non piuttosto interessi privati.
56. Il 15 dicembre 1997 il maggiore dei bambini fu interrogato dal pubblico ministero alla presenza, secondo il verbale, del sign. G.C. e della signora M.C. in quanto coppia a cui il bambino era stato affidato. Tuttavia, una delle due persone, verosimilmente la signora M.C., firmò il verbale con il cognome di L.G. (paragrafo 114 qui di seguito).
57. Il 15 gennaio 1998, la prima ricorrente fu convocata dal giudice S. del tribunale per i minorenni. In questa occasione, ella attirò l’attenzione del giudice sui procedimenti penali di cui alcuni responsabili del « Forteto » erano stati oggetto in passato per abusi e violenze su persone accolte nella comunità.
58. In conseguenza dei ripetuti interventi della prima ricorrente, il tribunale per i minorenni di Firenze, con un’ordinanza del 6 marzo 1998, rilevò innanzitutto che, dai primi esami condotti dal centro competente di neuropsichiatria infantile, risultava che il figlio minore aveva manifestato delle aperture, mantenendo però un atteggiamento di rifiuto rispetto al suo passato e ai suoi genitori. In particolare, il bambino non aveva fatto riferimento a sua madre che a seguito dell’insistenza del personale del centro. Nell’osservare che il bambino sembrava sulla via di superare una prima fase particolarmente difficile del suo passato, il tribunale ritenne necessario che gli incontri tra la prima ricorrente e il figlio minore fossero preceduti da un lavoro di preparazione sia del bambino, da parte dei servizi sociali già incaricati di seguirlo, sia della madre, da parte del servizio di psicologia competente. Il tribunale decise anche che gli incontri sarebbero iniziati una volta terminato il lavoro di preparazione summenzionato e dal momento in cui il bambino si fosse mostrato pronto a riprendere le relazioni con la madre. Infine, il tribunale decise che gli incontri si svolgessero in presenza degli assistenti sociali competenti e che i servizi competenti l’informassero del momento in cui gli incontri sarebbero potuti cominciare, come anche della piega che avessero preso.
59. Il 30 marzo 1998, la prima ricorrente informò l’Ambasciata del Belgio in Italia del pericolo rappresentato dalla comunità e sollecitò un intervento delle autorità belghe.
60. Il 6 aprile 1998 ebbe luogo una perizia sul minore dei bambini. Quest’ultimo era accompagnato dal sign. M.S. e dalla signora M.G. in quanto genitori affidatari.
61. In seguito, il 21 aprile, il 19 maggio e il 9 giugno 1998 si svolsero gli incontri preparatori tra la prima ricorrente e i servizi sociali competenti. Inoltre, si tennero vari incontri tra un neuropsichiatra e i bambini, che furono anche sottoposti a delle sedute di logopedia.
62. Una riunione di tutti i servizi interessati si svolse poi, il 6 giugno 1998. Al suo termine furono fissati per l’8 e il 14 luglio 1998 due primi incontri, di un’ora ciascuno, tra la prima ricorrente e il figlio minore. Fu deciso che gli incontri si svolgessero in presenza di vari esperti tra cui una assistente sociale della zona nella quale si trovava il « Forteto » e incaricata di accompagnare il bambino. Questi avrebbero potuto seguire gli incontri da dietro uno specchio unidirezionale.
63. La prima ricorrente aveva chiesto che anche il suo avvocato fosse ammesso ad assistere agli incontri e aveva informato il tribunale per i minorenni di questa richiesta. Tuttavia questa possibilità le fu rifiutata, a motivo che la presenza di persone ulteriori rispetto a quelle incaricate non era stato previsto e, inoltre, che , trattandosi di una struttura terapeutica, era opportuno limitare la partecipazione ai soli esperti provenienti da strutture pubbliche.
64. Il 22 giugno 1998, la prima ricorrente , tuttavia, dichiarò che non era disposta a vedere il figlio minore senza poter vedere allo stesso tempo il maggiore, considerando la probabile sofferenza di quest'ultimo nell' apprendere che solo suo fratello minore avrebbe potuto incontrare la madre. Il 25 giugno 1998, la signora C.C., psicologa dei servizi sociali, invitò la prima ricorrente a farle sapere se persisteva in questa decisione, avvertendola, nello stesso tempo, che in caso di mancata risposta, l’incontro sarebbe stato annullato. La prima ricorrente ritornò allora sulla sua decisione.
65. Il 29 giugno 1998, L.R.F., uno dei responsabili del « Forteto » condannato nel 1985, inviò una lettera al sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze a proposito dei figli della prima ricorrente. In questa lettera, L.R.F. si esprimeva tra l'altro come segue :
« (...)Noi non vogliamo che i bambini coltivino delle assenze che potrebbero diventare dei fantasmi interiori e, quindi, realizzare delle interruzioni brutali e irrevocabili degli incontri tra loro e i genitori, ma riteniamo molto importante il rinviare a tempi migliori una simile possibilità e il lasciare ai bambini degli spazi di tempo sufficienti al fine di assorbire queste immagini negative e colpevolizzanti che i genitori gli ricordano. (...) »
66. Il 2 luglio 1998, lo stesso sostituto procuratore della Repubblica informò il tribunale per i minorenni di Firenze che era stata appena aperta un’inchiesta nei confronti della prima ricorrente e del suo ex marito, sospettati di essere responsabili di abusi sulla persona del loro bambini. Il sostituto procuratore attirò l'attenzione del tribunale sul fatto che gli incontri programmati tra la prima ricorrente e il figlio minore, dei quali dichiarò di aver avuto conoscenza, potevano compromettere l'inchiesta, tenuto conto del fatto che una perizia, che si doveva svolgere durante tutto il mese di settembre 1998, era in corso al fine di determinare se questo bambino presentava dei sintomi di abusi sessuali. Infatti, secondo il sostituto procuratore, nel corso di recenti colloqui con un esperto, il bambino aveva cominciato a fare delle rivelazioni riferendosi ad alcuni episodi significativi in relazione all'accusa condotta contro il padre del bambino. Ora, secondo il sostituto procuratore, non era escluso che questa accusa potesse in seguito essere estesa anche alla madre.
67. Il 6 luglio 1998, il tribunale per i minorenni decise di sospendere provvisoriamente gli incontri previsti per l'8 e il 14 luglio seguenti, nell'attesa del risultato di questa nuova inchiesta. Infatti, il tribunale considerò che questi incontri avrebbero potuto ostacolare l'inchiesta , tenuto anche conto del fatto che, nell'ambito di quest'ultima, era stata appena ordinata una perizia psicologica del figlio minore.
68. Il 14 luglio 1998 , il maggiore dei bambini fu interrogato. In questa occasione erano di nuovo presenti, in quanto « genitori affidatari », il sign. G.C. e la signora M.C.
69. In una nota del 31 ottobre 1998 , la Procura ripetè la necessità di ascoltare i bambini nell'ambito dell'inchiesta summenzionata, come pure l'opportunità di mettere i bambini al riparo da eventuali comportamenti intimidatori da parte dei genitori, suscettibili di compromettere la serenità che i bambini avevano appena riscoperto e i risultati delle future audizioni. In questa stessa nota, la procura fece sapere che avrebbe ascoltato nel più breve tempo possibile i bambini a proposito degli elementi che scaturivano dalla perizia psicologica e che questi sarebbero stati comunicati al tribunale per i minorenni dopo la rimozione del segreto istruttorio ancora in vigore.
70. Peraltro, una relazione dell’ 11 novembre 1998, proveniente dal neuropsichiatra, R.L., incaricato di seguire i bambini, precisò che un programma destinato ad aiutare questi ultimi a entrare di nuovo in relazione con i genitori era in corso di preparazione all'interno della famiglia affidataria.
D. Le pratiche intraprese dalla seconda ricorrente
71. Il 14 ottobre 1997, la seconda ricorrente presentò un primo ricorso al fine di ottenere la custodia dei bambini.
72. Il 4 marzo 1998, chiese di essere autorizzata almeno a vedere i bambini due volte a settimana.
73. Il 15 maggio 1998, rinnovò davanti al tribunale dei minori la sua domanda al fine di ottenere l'autorizzazione a vedere i bambini. In questa occasione, precisò che non vedeva i bambini dal giugno 1997 e che aveva avuto conoscenza indiretta (de relato) degli eventi che avevano indotto il tribunale a collocare i bambini in una comunità.
74. Al termine dell'udienza del 12 giugno 1998, alla quale partecipò la seconda ricorrente, il tribunale per i minorenni di Firenze incaricò i servizi competenti di psicologia e di neuropsichiatria per i minori di preparare sia i bambini che la loro nonna, che secondo il tribunale aveva manifestato un interesse concreto alla ripresa delle relazioni con i bambini, prima dell'inizio degli incontri. Questa aveva peraltro indicato, in quella stessa occasione, di essere disposta a seguire il programma di preparazione stabilito dai servizi ai quali il tribunale aveva affidato questo compito.
75. In seguito, tuttavia, la seconda ricorrente presentò ricorso contro questa decisione, domandando in via principale la custodia dei bambini e, in via accessoria, l’autorizzazione a vedere i bambini almeno due volte a settimana indipendentemente da ogni preparazione, che lei non poteva, comunque, seguire essendo impossibilitata a soggiornare in Italia. A sostegno della sua domanda, ella addusse, in particolare, il fatto che il suo ricorso presentato nell’ottobre del 1997 non era stato ancora esaminato e fece presente, inoltre, che il figlio maggiore in passato le era già stato affidato.
76. Il 6 luglio 1998, il tribunale rigettò il ricorso. Ritenne , in particolare, che non si capiva per quale motivo la seconda ricorrente non potesse soggiornare in Italia per seguire il programma di preparazione degli specialisti considerando soprattutto la sua richiesta di fare visita ai bambini almeno due volte a settimana, ciò che avrebbe comportato, inevitabilmente, l’obbligo di recarsi spesso in Italia. Il tribunale considerò, peraltro, che una preparazione era indispensabile se si considerava la gravità degli avvenimenti che avevano seriamente segnato i bambini e la necessità di non compromettere il delicato lavoro di recupero iniziato dagli specialisti. Infine, secondo il tribunale l’allontanamento dei bambini dall’Italia avrebbe rischiato di nuocere al buono svolgimento dell’inchiesta penale in corso relativa alla eventuale responsabilità dei genitori.
77. Nel frattempo, il 19 giugno 1998, la seconda ricorrente aveva sollecitato presso un consolato belga in Italia una ispezione del « Forteto » da parte delle autorità diplomatiche belghe. Durante le loro visite i diplomatici belgi non riscontrarono nulla di anormale.
78. Il 15 luglio 1998, la seconda ricorrente chiese alle autorità belghe di sollecitare il trasferimento dei bambini in Belgio in virtù della convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e la legge applicabile in materia di protezione dei minori.
E. La decisione del tribunale per i minorenni di Firenze del 22 dicembre 1998 e lo svolgimento degli incontri tra la prima ricorrente e i suoi figli
79. Il 22 dicembre 1998, il tribunale per i minorenni di Firenze esaminò il ricorso della prima ricorrente del 3 dicembre 1997, il ricorso della seconda ricorrente del 14 ottobre 1997 e quello del tutore del 10 ottobre 1997. Il tribunale riconsiderò in primo luogo la sua decisione del 6 luglio 1998 e ordinò che cominciasse immediatamente un programma di preparazione degli incontri tra le due ricorrenti e i bambini, incontri che sarebbero dovuti iniziare al più tardi il 15 marzo 1999. Quanto alla seconda ricorrente, il tribunale ritenne che la sua recente sistemazione in Italia facilitava la attuazione di un programma di preparazione. Comunque confermò la sospensione della potestà genitoriale sui bambini e la collocazione di questi presso il « Forteto » : in effetti, la situazione familiare della prima ricorrente restava molto difficile, malgrado la separazione dal padre dei suoi figli, e questi ultimi si erano ben integrati nella comunità d’accoglienza. Infine, il tribunale prospettò anche una ripresa dei rapporti tra i bambini e il loro padre, che vi si era mostrato favorevole. Gli incontri con il padre non sarebbero potuti iniziare comunque prima del settembre 1999, tenuto conto della delicata posizione di questi nell’inchiesta penale in corso.
80. L’ 8 gennaio 1999, un giudice del tribunale per i minorenni informò il servizio sociale di Sesto Fiorentino che sarebbe stato incaricato di continuare il lavoro di preparazione degli incontri deciso dal tribunale il 22 dicembre 1998. Il tribunale sottolineò che la prima ricorrente aveva chiesto che gli incontri cominciassero.
81. Il 13 gennaio 1999, il servizio sociale di Sesto Fiorentino si dichiarò incompetente, tenuto conto del cambiamento di residenza della ricorrente e del fatto che l’assistente sociale che aveva seguito quest’ultima fino a quel momento era stata nel frattempo trasferita.
82. Il 4 febbraio 1999, il servizio sociale di Figline Valdarno designò l’ assistente competente a seguire la prima ricorrente. Al momento della sua audizione da parte del tribunale l’ 8 febbraio seguente, questa assistente ammise di non essere a conoscenza del caso, ma si dichiarò cosciente dell'urgenza della situazione e si impegnò a preparare la madre ad incontrare i suoi bambini nel termine fissato dal tribunale per il 15 marzo.
83. Il 9 febbraio 1999, l'assistente sociale di Vicchio (signora S.C.) e il neuropsichiatra infantile, R.L., incaricati del controllo dei figli della prima ricorrente, essendo stato già fissato per quel periodo un programma di incontri con i bambini e i genitori affidatari, espressero al tribunale i loro dubbi circa l'opportunità di chiedere loro di preparare anche il padre e la nonna dei bambini. Secondo questo servizio sociale, la vicinanza dei bambini avrebbe potuto creare delle tensioni, senza contare che il servizio non conosceva il padre e la nonna, di modo che si rivelava opportuno che questi fossero preparati dei servizi sociali del loro luogo di residenza.
84. Il 12 febbraio 1999, la responsabile del servizio sociale di Figline Valdarno attirò l'attenzione del tribunale sulle difficoltà che incontrava a procurarsi tutti i documenti pertinenti che riguardavano il caso. Dunque, propose al tribunale di convocare tutti gli esperti e gli assistenti sociali coinvolti.
85. Il 15 febbraio 1999, il tribunale rispose, in particolare, ai servizi sociali di Figline Valdarno e di Vicchio, informandoli che il procedimento giurisdizionale si era chiuso e che, a partire da quel momento, gli aspetti amministrativi e di organizzazione erano di competenza dei servizi sociali. Il tribunale inoltre attirò la loro attenzione sul tempo che era passato dalla sua decisione e sull'urgenza di dare a questa seguito.
86. Il 18 febbraio 1999, il servizio sociale di Figline Valdarno convocò tutti i servizi coinvolti. Il 25 febbraio 1999, il servizio sociale di Vicchio informò il tutore dei bambini che il lavoro di preparazione di questi ultimi era iniziato dalla metà di gennaio.
87. Il 2 marzo 1999, il maggiore dei bambini fece giungere una lettera al presidente del tribunale. In particolare dichiarò che non vedeva sua nonna da ormai quattro anni e che non riusciva a capire come mai questa volesse rivederlo. Quanto a sua madre, affermò che questa aveva sempre giustificato il comportamento degli « educatori », di cui, pur tuttavia, egli l’aveva messa al corrente. Solo dopo essere arrivato al « Forteto » egli aveva potuto rendersi conto di ciò che gli era accaduto, grazie alla signora M. e al sign. G., e aveva potuto comprendere cosa significasse avere una madre ed un padre. Per queste ragioni si augurava, per il momento, di non rivedere la madre ( il bambino firmò questa lettera con il cognome di una delle persone alle quali era stato formalmente affidato all'interno del « Forteto », prima di apporre anche il suo).
88. L’8 marzo 1999, la Unità Sanitaria Locale di Firenze informò il tribunale che la ripartizione delle differenti competenze era stata effettuata. Tuttavia, non era possibile prevedere la data d'inizio degli incontri, poiché G. aveva manifestato delle esitazioni a rivedere subito sua madre , dopo la perizia del 26 febbraio 1999 ( paragrafo 116 qui di seguito ). La Unità Sanitaria Locale precisò peraltro che gli incontri con la nonna e il padre sarebbero cominciati in un secondo tempo.
89. Qualche giorno più tardi, G. fece sapere al tribunale che, dopo l'esperienza della perizia, si augurava di non incontrare la madre e la nonna per almeno tre mesi.
90. Dopo un lavoro di preparazione della prima ricorrente, il primo incontro con i figli si svolse tuttavia il 29 aprile 1999, avendo G. preferito, sembra, non lasciare che il fratello minore partecipasse da solo all’ incontro. Secondo i rapporti dei servizi sociali ( datati 21 giugno e 5 luglio 1999), questo primo incontro avrebbe messo in evidenza delle difficoltà per i bambini ma anche per la loro madre. Quest'ultima non avrebbe ascoltato abbastanza i figli, che avrebbero percepito la sua insistenza come una minaccia alla stabilità che essi avevano trovato nel loro ambiente attuale. Dall'inizio dell'incontro, i bambini sarebbero stati diffidenti e il minore non avrebbe neanche riconosciuto la prima ricorrente come sua madre. Secondo i servizi sociali, i bambini, benché desiderosi di incontrare la loro madre, sarebbero rimasti delusi.
91. Tuttavia, l’esame da parte della Corte (europea n.d.t.) del materiale visuale prodotto dal Governo (paragrafo 10 sopra) non ha confermato il giudizio e le valutazioni sfavorevoli dei servizi sociali, ai quali il Governo fa riferimento. L’incontro, che si è svolto in una stanza dell’unità di psicologia dei servizi sociali, è stato caloroso e si è svolto in un clima piuttosto disteso. A metà dell’incontro, il maggiore si è messo a piangere, molto probabilmente quando sono riaffiorate vecchie sofferenze legate al suo drammatico passato. Questo momento è stato molto breve, il bambino è sembrato sollevato e si è presto ristabilito un clima sereno tra la ricorrente e i suoi bambini. I servizi sociali hanno, quanto a loro, fatto prova di una evidente mancanza di sensibilità nei confronti della prima ricorrente. Due assistenti/esperti rimasero nella stanza durante tutto l’incontro, di modo che la ricorrente non ha potuto beneficiare in alcun momento di una certa intimità con i suoi figli. Inoltre, l’incontro è stato interrotto in un modo piuttosto brusco. Agli occhi della Corte, nell’insieme la relazione tra la ricorrente e i figli è stata calorosa e distesa, benchè carica da un punto di vista emozionale. La ricorrente ha tenuto un comportamento responsabile dall’inizio alla fine dell’incontro e si è mostrata pronta a cooperare e rispettosa. Se i bambini non hanno manifestato un evidente dispiacere nel momento in cui l’incontro è terminato, c’è da constatare, secondo la Corte, che i termini, molto più drammatici e sfavorevoli alla ricorrente, che i servizi sociali hanno impiegato nei loro rapporti, qui sopra riassunti, per descrivere il colloquio, non corrispondono a quello che risulta dal materiale visivo presentato dal governo convenuto.
92. Tuttavia, in una lettera indirizzata agli assistenti sociali il 6 maggio 1999, il maggiore dei bambini dichiarò la sua delusione riguardo a questo primo incontro.
93. Un secondo colloquio si svolse il 9 settembre 1999. Secondo il rapporto dei servizi sociali, in questa occasione G. chiese a sua madre di dargli spiegazioni circa la sua pretesa passività riguardo alle allusioni del bambino alle violenze pedofile che subiva. Poiché la ricorrente respingeva questi rimproveri, G. lasciò la stanza. Nel loro rapporto, i servizi sociali sottolinearono l’incapacità della ricorrente di ascoltare suo figlio e di seguire le indicazioni degli esperti, pur mostrando della comprensione per la sua dolorosa situazione e per il suo desiderio di affermare il suo ruolo di madre. Secondo un ulteriore rapporto ( paragrafo 95 qui di seguito), una fra gli specialisti presenti all’incontro aveva suggerito alla prima ricorrente di scrivere una lettera a suo figlio ma, secondo i termini del rapporto, questa si era rifiutata.
94. Tuttavia, l’esame da parte della Corte del materiale sonoro presentato dal Governo (paragrafo 10 sopra) non ha confermato la posizione dei servizi sociali. Questo incontro sembra essersi svolto in condizioni simili a quelle del primo, cioè in particolare nei locali dei servizi sociali e ancora una volta alla presenza di due esperti. Gli elementi seguenti, che si riferiscono ai momenti forti dell’incontro, hanno permesso alla Corte di constatare ancora una volta delle divergenze tra il rapporto ufficiale dei servizi sociali e ciò che risulta dalla registrazione. In particolare:
- il rapporto non riporta il fatto che la ricorrente ha chiesto ai bambini se erano felici di rivederla e il fatto che questi hanno risposto affermativamente;
- il maggiore non ha preso spontaneamente il discorso sul ruolo della madre riguardo al pedofilo di cui egli è stato vittima, come il rapporto sembra suggerire, ma è stato uno dei due esperti presenti all’incontro che lo ha spinto a farlo;
- dopo la fine dell’incontro, uno degli esperti ha detto alla ricorrente che in realtà suo figlio maggiore non voleva più vederla e che si era potuto organizzare un nuovo colloquio solo grazie all’altro esperto che era presente all’incontro;
- gli esperti hanno affermato che un nuovo incontro sarebbe dipeso dalla disponibilità del figlio maggiore e che la ricorrente avrebbe potuto rivedere il figlio minore « se possibile », al che la ricorrente ha reagito domandando loro di precisare il significato di quest’ultima espressione; gli esperti hanno risposto che questo non dipendeva da loro.
95. Il 4 ottobre 1999, gli specialisti dei servizi sociali incontrarono i bambini al « Forteto », alla presenza dei genitori affidatari, per valutare la possibilità di proseguire a breve scadenza gli incontri con la loro madre. Secondo il rapporto dei servizi sociali l’incontro terminò « con l’accordo , sollecitato da G. e M., di sospendere per il momento gli incontri con la loro madre ». Una nuova riunione di preparazione della prima ricorrente fu tuttavia fissata per il 9 novembre 1999.
96. Il 3 gennaio 2000, una esperta dei servizi sociali incontrò la prima ricorrente. In quest'occasione, quest'ultima si lamentò del fatto che i regali inviati ai suoi bambini per Natale erano stati rifiutati. Ella ripetè il suo attaccamento ai figli e la sua volontà di spiegarsi con loro se questi accettavano di incontrarla. Da allora, nessun altro incontro è stato organizzato o programmato. Inoltre, nel loro ultimo rapporto del 29 marzo 2000 i servizi sociali hanno affermato, tra l'altro, che :
- il maggiore dei bambini sta sviluppando una nuova identità improntata sulle sofferenze legate agli avvenimenti passati e, pertanto, non sembra essere manipolato;
- il maggiore dei bambini ritiene preferibile non rivedere sua madre per i due prossimi anni;
- i servizi sociali hanno deciso di sospendere ogni contatto tra la prima ricorrente e i suoi bambini, pur continuando a prepararla al fine di tenerla al corrente riguardo all'evoluzione dell'atteggiamento dei suoi figli nei suoi confronti.
97. Peraltro, quanto al padre, egli non ha mai incontrato i figli, benchè alla fine del 1999 si fossero svolte delle riunioni di preparazione con i servizi sociali. Secondo il rapporto dei servizi sociali dell’ 8 novembre 1999, il padre sembra essere al corrente degli sviluppi concernenti i rapporti tra la sua ex moglie e i figli, in particolare quanto all'esito negativo dell'incontro del 9 settembre 1999. La prima ricorrente tuttavia sostiene di non avere più rapporti con il suo ex marito, il quale dividerebbe il suo tempo tra il Belgio e l'Italia.
F. Ulteriore ricorsi promossi dalle ricorrenti
98. Il 21 gennaio 1999, la prima ricorrente interpose appello contro la decisione del tribunale per i minorenni del 22 dicembre 1998. Ella domandò in primo luogo il ripristino della potestà genitoriale e la ripresa immediata dei rapporti con i suoi figli. Fece riferimento in particolare al fatto che nel frattempo ella si era separata dall’ ex marito, che il giudice competente aveva riconosciuto colpevole di violenze contro la stessa e contro i suoi bambini, e al fatto che ella conduceva in quel momento una vita normale e esercitava la professione di podologa.
99. La prima ricorrente contestò inoltre la decisione di tenere i bambini presso il « Forteto » e domandò che fossero collocati altrove. A questo riguardo, ella sosteneva che:
- in questa comunità era difficile l'accesso per i genitori dei bambini che vi erano accolti;
- L.R.F. e L.G. rappresentavano sempre delle figure di riferimento all'interno del « Forteto », nonostante la loro condanna;
- le persone alle quali i suoi bambini erano affidati all'interno del « Forteto » facevano di tutto per ostacolare la ripresa delle relazioni con i bambini.
100. Anche la seconda ricorrente fece opposizione.
101. Il 22 marzo 1999, il tutore dei bambini intervenne nella procedura dinanzi alla corte d'appello per domandare che gli incontri fossero sospesi per qualche mese, tra gli altri per i motivi che:
- le qualificazioni professionali vantate dalla prima ricorrente erano largamente esagerate;
- per diversi anni, quella non si era resa conto di ciò che subiva il figlio maggiore G., con ciò dimostrando la sua incapacità a esercitare le sue funzioni di madre;
- la nonna aveva sempre vissuto in Belgio e non si era mai veramente interessata ai bambini; non si conosceva l'attività che esercitava da quando si era stabilita in Italia; ancora, non si capiva come potesse rivendicare delle capacità di educazione che non aveva saputo esercitare con sua figlia ( la prima ricorrente ), che nella migliore delle ipotesi era una madre inadeguata, inadatta e assente;
- il padre dei bambini era un delinquente in fuga, dopo la sua evasione da una prigione del Belgio dove scontava una pena a 27 anni di carcere per omicidio;
- « Il Forteto » era una cooperativa di fama internazionale per la sua produzione di latte e di prodotti caseari, ma anche una comunità d'avanguardia per il recupero di bambini in condizioni disagiate, fondata da venti famiglie che non l'avevano mai abbandonata; se è vero che due dei suoi membri, che in ogni caso non facevano parte della famiglia affidataria dei bambini della prima ricorrente, erano stati condannati, era anche vero che tali processi potevano basarsi su false testimonianze; in più, in circa venti anni 70 bambini erano stati affidati alla cooperativa dai tribunali di tutte le provincie d'Italia, e alcuni di questi affidi erano in seguito sfociati in delle adozioni, con ciò confermando la validità di questa scelta e la fiducia di cui godeva « Il Forteto ».
102. Il procuratore generale presso la corte d’appello chiese la sistemazione dei bambini presso la loro nonna o, altrimenti , presso un’ altra famiglia.
103. Il 31 marzo 1999, la corte d’appello confermò la decisione del tribunale, sottolineando in particolare l’evoluzione positiva dello stato dei bambini. Quanto alle allegazioni concernenti « Il Forteto », la corte d’appello considerò che si trattava di accuse generiche, fatta eccezione per degli avvenimenti risalenti a venti anni prima, che in ogni caso non riguardavano i genitori affidatari dei bambini. Se le ricorrenti avevano presentato le dichiarazioni di persone altamente qualificate contestando i metodi impiegati nel « Forteto », non si poteva negare il fatto che altre dichiarazioni provenienti da persone altrettanto qualificate confermavano la reputazione di cui godeva la cooperativa. La buona condizione dei bambini escludeva peraltro la necessità di dare seguito alle richieste della nonna: se teoricamente la collocazione in famiglia sembrava preferibile a quella in comunità, la sistemazione dei bambini durava ormai da un po’ di tempo e dava dei buoni risultati. Inoltre, i bambini non avevano molta confidenza con la loro nonna, che, inoltre, non sembrava essere indipendente da sua figlia.
104. La prima ricorrente ricorse in Cassazione. Quanto alla collocazione presso il « Forteto », ella osservò che anche se i bambini non erano affidati direttamente ai due responsabili che erano stati condannati, i genitori affidatari erano delle persone che quelli avevano accolto e formato (L.R.F. era anche divenuto il presidente della cooperativa). Ancora, la moglie di L.G. era attivamente coinvolta nel controllo dei bambini. Il maggiore, G., d'altronde aveva ammesso, nella sua lettera del 2 marzo 1999, che quella l’aveva aiutato ad interpretare i suoi dubbi riguardo alla madre.
105. L'esito della procedura dinanzi la Corte di Cassazione non è conosciuto.
106. Il 25 ottobre 1999 la prima ricorrente domandò al giudice tutelare di sollecitare l'organizzazione di incontri meno distanziati nel tempo rispetto al passato, di autorizzare una esperta psicologa a incontrarsi con i bambini anche all'interno del « Forteto » e a partecipare alle riunioni preparatorie prima degli incontri, e di ordinare che le registrazioni video degli incontri fossero inserite nel fascicolo di causa. Il 3 novembre 1999, il giudice tutelare accolse in particolare le richieste relative alla partecipazione della esperta psicologa alle riunioni preparatorie e agli incontri, come anche alla produzione delle registrazioni degli incontri. Il tutore dei bambini fece opposizione.
107. Con una decisione del 12 gennaio 2000, il tribunale per i minorenni di Firenze accolse l'opposizione del tutore e annullò la decisione del giudice tutelare. Il tribunale considerò che, in seguito alle informazioni fornite dai servizi sociali, i risultati negativi dei due incontri dovevano essere imputati alla mancanza di collaborazione della prima ricorrente. Quindi, la partecipazione di un'altra esperta agli incontri non sembrava necessaria a facilitare un diverso atteggiamento da parte della prima ricorrente, che era già seguita in modo adeguato dei servizi istituzionali designati dal tribunale. Quanto alle registrazioni degli incontri, il tribunale ritenne che l'esame di questo materiale da parte della prima ricorrente non era opportuno e che il fine della registrazione era quello di permettere ai servizi competenti di valutare i colloqui e la possibilità e l'opportunità di proseguirli.
108. La prima ricorrente interpose appello contro questa decisione. Ella argomentò fra l'altro che il tribunale dei minori aveva accettato tali e quali le conclusioni dei servizi sociali sui risultati negativi degli incontri, senza esercitare il suo ruolo di controllo critico della attuazione delle sue decisioni, con l’aiuto di ogni elemento oggettivo utile come il materiale audiovisivo di cui ella sollecitava la produzione. Secondo la prima ricorrente, ella aveva a maggiore ragione il diritto di esaminare questo materiale al fine di meglio comprendere se stessa e adattare il suo comportamento, senza tenere conto del fatto che non capiva come un incontro che lei aspettava da anni avesse potuto essere interpretato in maniera così negativa. Era inoltre assurdo che il tribunale rifiutasse di esaminare esso stesso il materiale o, ancora, di autorizzarne il giudice tutelare. Infine, la partecipazione alle riunioni preparatorie e ai colloqui da parte di una esperta nominata dalla prima ricorrente aiutava quest’ultima a partecipare alla formazione psicofamiliare dei bambini, dato che nessuna disposizione di legge vieta al genitore di prepararsi alla ripresa delle relazioni con i propri bambini con l’assistenza di una psicologa privata.
109. Con una decisione del 17 marzo 2000, il tribunale per i minorenni autorizzò la comunicazione del materiale audiovisivo alla ricorrente; questo materiale era già stato trasmesso alla Corte e aveva, di conseguenza, acquisito un valore procedurale oltre che clinico.
G. Il programma degli incontri con la seconda ricorrente
110. La seconda ricorrente fu convocata il 4 novembre 1999 per cominciare un programma di preparazione degli incontri con i suoi nipoti. Tuttavia questa convocazione ritornò al mittente. Furono effettuate delle ricerche per stabilire se la seconda ricorrente avesse nel frattempo cambiato residenza. Su suggerimento della prima ricorrente, una nuova convocazione fu inviata presso la sorella. I servizi sociali, tuttavia, furono informati che la seconda ricorrente non poteva essere presente sempre. Ciò era accaduto anche per un incontro previsto per il mese di dicembre deI 1999. Secondo la seconda ricorrente, la sua assenza si spiegherebbe per il fatto che a quell’epoca ella era dovuta rientrare d’urgenza in Belgio, poiché era stata revocata, a causa del suo trasferimento in Italia, l’indennità d’invalidità che ella percepiva per il figlio handicappato. Una prima riunione preparatoria con i servizi sociali infine si tenne il 10 gennaio 2000.
111. Secondo il rapporto redatto dai servizi sociali, nel corso di questo incontro la seconda ricorrente si lamentò per non essere stata convocata nel marzo del 1999 e fece presente che ella non poteva assentarsi dal Belgio più di tre mesi perché in caso contrario rischiava di perdere l’indennità di invalidità che percepiva da questo Stato per il figlio handicappato. Affermò di volere rivedere i bambini e ne sollecitò la custodia. Giustificò d’altra parte il suo silenzio di diversi mesi con il fatto che lei non sapeva a che punto era il programma degli incontri tra i bambini e sua figlia, con la quale affermava di non avere contatti. Sempre secondo il rapporto, ella sconsigliò peraltro di affidare i bambini alla loro madre a causa dei persistenti contatti di quella con il suo ex marito, ciò che le era stato confermato sia dalla sua stessa figlia che dai vicini. Secondo lei, la causa di tutti i problemi era N.A. per la sua violenza e per l’incapacità della prima ricorrente di difendersi e difendere i suoi bambini. Ella concluse esprimendo il suo scontento per la collocazione dei bambini presso il « Forteto ».
112. Secondo le ultime informazioni inviate dalla parte ricorrente, la seconda ricorrente sarà obbligata a rimborsare una somma considerevole allo Stato belga a titolo di indennità percepite durante i suoi periodi di residenza in Italia. Peraltro, nel mese di febbraio del 2000 la seconda ricorrente sarebbe stata ricoverata a causa di problemi cardiaci.
H. Seguito della inchiesta penale concernente la prima ricorrente
113. Il 19 giugno 1998, il tutore trasmise alla procura una lettera scritta il giorno prima dal maggiore dei bambini. Il bambino vi affermava che sua madre era al corrente delle attività di pedofilia di cui egli era stato vittima e che in una occasione egli aveva visto sua madre ricevere denaro da M.L.
114. Il bambino confermò le accuse nel corso del suo interrogatorio da parte del pubblico ministero il 14 luglio 1998. In questa occasione, egli fu accompagnato dal sign. G.C. e dalla signora M.C. (in realtà la moglie di L.G.) in quanto genitori affidatari.
115. L’ 11 novembre 1998, il pubblico ministero ascoltò M.L. riguardo alle accuse lanciate dal maggiore dei bambini contro la prima ricorrente. In questa occasione, M.L. smentì ciò che aveva affermato il bambino e concluse in questi termini :
« Ciò che ho detto finora è la semplice verità. Non avrei alcuna difficoltà a confermare le affermazioni di G. se corrispondessero a verità (...). Ritengo che G. ha inventato, almeno in parte, ciò che ha detto anche per rancore verso i suoi genitori. G. aveva una pessima relazione con suo padre, ma adorava sua madre. Forse in seguito ha sviluppato un certo rancore perché ha risentito del fatto che quella non l’aveva protetto a sufficienza. Se io potessi confermare ciò che ha detto lo farei, anche per aiutarlo. »
116. Il 27 febbraio 1999 fu fatta una perizia sui bambini, alla presenza del giudice per le indagini preliminari e di un esperto. La valutazione dei risultati di questa perizia da parte delle autorità giudiziarie non è ancora conosciuta. Durante questa perizia, il bambino ammise di avere scritto la lettera del 19 giugno 1998 alla presenza, tra gli altri, di R. (verosimilmente L.R.F.). Egli affermò peraltro che gli avrebbe fatto piacere rivedere sua madre.
117. D’altra parte, in tempi e circostanze che non sono state precisate, la sorella della prima ricorrente fu ascoltata dal tribunale per i minorenni di Firenze. Ella dichiarò di vivere con la madre e uno dei suoi fratelli a Figline Valdarno. Secondo le sue dichiarazioni, un altro fratello, implicato in un traffico di stupefacenti, era stato ucciso. Un fratello maggiore non le aveva perdonato di essersi costituita parte civile nell’ambito del processo concernente la morte dell’ altro fratello, il primo l’aveva accusata di tentato omicidio nei suoi confronti. Secondo il verbale che riportava queste dichiarazioni della sorella, anche la prima ricorrente sarebbe stata accusata.
I. Altri dati relativi allo stato psicologico e fisico dei bambini
118. Un certificato del neuropsichiatra R.L. dell’ 8 giugno 1998 notava una certa fragilità psicologica nel minore dei bambini e raccomandava molta prudenza negli interventi delle autorità.
119. Peraltro :
- un certificato proveniente da un primo medico, datato primo novembre 1998, qualificava lo stato di salute del maggiore «eccellente » ;
- un certificato di un secondo medico, datato 11 novembre 1998, riteneva peraltro che lo stato di salute del minore era migliorato e lo qualificava « buono ».
120. Un certificato redatto il 24 novembre 1998 da un pediatra affermava le eccellenti condizioni dei bambini, il cui sviluppo e la cui crescita sembravano essere nella norma.
121. Inoltre, le note di valutazione riguardanti il maggiore e relative all’anno scolastico 1997/1998 come anche una relazione degli insegnanti menzionavano i buoni risultati e i suoi costanti progressi.
122. Secondo il rapporto dei servizi sociali del 5 luglio 1999, il soggiorno dei bambini al « Forteto » era stato molto positivo sul piano emozionale come su quello relazionale; aveva permesso loro di riscoprire un certo equilibrio e una più grande apertura alle relazioni interpersonali.
123. Infine, secondo l’ultimo rapporto dei servizi sociali del 29 marzo 2000 il minore frequenta già una scuola materna e ha un rapporto molto buono con gli insegnanti.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
124. Ai sensi dell’articolo 330 del codice civile italiano :
« Il giudice puó pronunziare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.
In tale caso, per gravi motivi, il giudice puó ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare. »
125. L’articolo 333 del codice civile dispone come segue :
« Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze puó adottare i provvedimenti convenienti e puó anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare.
Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento. »
126. Peraltro, la legge n° 184 del 4 maggio 1983, che disciplina l’affidamento dei minori e l’adozione, prevede in particolare che il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un’altra famiglia, ad una comunità di tipo familiare o , in mancanza di una sistemazione familiare idonea, ad un istituto di assistenza (articolo 2).
127. L’articolo 4 di questa stessa legge dispone in particolare che il provvedimento di affidamento familiare deve indicare fra le altre cose il periodo di presumibile durata dell’affidamento (comma 3). Inoltre, ai sensi dell’articolo 5 la famiglia, l’istituto di assistenza o la comunità presso cui il bambino è sistemato devono agevolare i rapporti tra il minore e i suoi genitori biologici e il suo reinserimento nella famiglia di origine.
128. Peraltro, secondo l’articolo 9, gli istituti di assistenza devono trasmettere semestralmente al giudice tutelare un rapporto riguardante i minori , i loro rapporti con la famiglia di origine e lo stato psicologico e fisico del minore. Ai sensi di questa stessa disposizione , il giudice tutelare deve segnalare al tribunale per i minorenni i minori che risultano in situazioni di abbandono all’interno dell’istituto e, inoltre, deve procedere ad una ispezione ogni sei mesi.
129. Infine, l’articolo 12 dispone in particolare che quando dalle indagini effettuate consta l’esistenza di genitori o di parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore e ne è nota la residenza, il presidente del tribunale fissa la loro comparizione (comma 1). Dopo l’audizione, il presidente del tribunale può impartire loro le prescrizioni idonee a garantire al minore l’assistenza morale, il mantenimento, l’istruzione e l’educazione (comma 3).
IN DIRITTO
I. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
130. La prima ricorrente, che dichiara di agire anche a nome dei suoi figli, sostiene che la sospensione della sua potestà genitoriale e l’allontanamento dei figli, il ritardo con il quale le autorità le hanno permesso infine di incontrarli e il numero insufficiente di incontri organizzati fino ad allora, come anche la decisione delle autorità di collocare i bambini presso la comunità « Il Forteto » hanno violato l’articolo 8 della Convenzione.
131. Anche la seconda ricorrente allega una violazione dell’articolo 8 per il fatto che le autorità hanno scartato la possibilità di affidarle i suoi nipoti e hanno tardato ad organizzare degli incontri tra lei e i bambini.
132. L’articolo 8 è così formulato :
« 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
133. Il Governo contesta le tesi delle ricorrenti.
134. La Commissione ha ritenuto che non vi è stata violazione per quanto riguarda la sospensione della potestà genitoriale e l’affidamento dei bambini al « Forteto », come anche nei riguardi della seconda ricorrente. Ha ritenuto, al contrario, che questo articolo è stato disapplicato per quanto riguarda l’interruzione dei contatti tra la prima ricorrente e i suoi bambini.
A. Sulla eccezione del governo convenuto quanto alla legittimazione della prima ricorrente ad agire anche a nome dei suoi figli e, di conseguenza, quanto alla legittimazione del governo belga a intervenire nel procedimento
135. Il governo italiano contesta, in primo luogo, che la ricorrente abbia la legittimazione ad agire anche a nome dei suoi bambini, poichè la potestà genitoriale dell’interessata è stata sospesa a partire dal 9 settembre 1997, la madre è in conflitto di interessi con i suoi bambini ed è sottoposta a procedimento penale per fatti in danno dei suoi bambini. Inoltre, il Governo contesta che la prima ricorrente abbia mai affermato chiaramente di ricorrere alla Corte anche a nome dei suoi bambini.
136. Il Governo ne deduce, peraltro, che il governo belga non ha la legittimazione ad intervenire nella misura in cui questo intervento si fondi unicamente sulla nazionalità belga del maggiore dei bambini.
137. La Commissione ha respinto questa eccezione, rilevando che il modulo del primo ricorso indica in maniera chiara, tra le parti ricorrenti, i figli della prima ricorrente, con la indicazione dello stesso avvocato a rappresentarli nel procedimento dinanzi alla Commisione, e considerando che nulla si oppone a che dei minori si rivolgano alla Commisione. Questo è il caso, a maggiore ragione, se essi sono rappresentati da una madre in conflitto di interessi con il tutore incaricato dai pubblici poteri di gestire i loro interessi al suo posto.
138. La Corte ricorda che in principio, una persona che non ha, nel diritto interno, il diritto di rappresentare un’altra persona, può comunque, in alcune circostanze, agire dinanzi alla Corte in nome di quest’altra persona (si veda, mutatis mutandis, la sentenza Nielsen c. Danimarca del 28 novembre 1988, serie A n° 144, pp. 21-22, §§ 56-57). In particolare, i minori possono rivolgersi alla stessa Corte, e , a maggior ragione, se sono rappresentati da una madre in conflitto con le autorità, di cui questa critica le decisioni e la condotta alla luce dei diritti garantiti dalla Convenzione. Come la Commissione, anche la Corte ritiene che in caso di conflitto, a proposito degli interessi di un minori, tra il genitore biologico e la persona investita dalle autorità della tutela dei bambini, vi è il rischio che alcuni interessi del minore non siano mai portati all’attenzione della Corte e che il minore sia privato di una protezione effettiva dei diritti che gli derivano dalla Convenzione. Quindi, come è stato osservato dalla Commissione, anche se la madre è stata privata della potestà genitoriale, che è, d’altronde, uno dei fatti che hanno generato il conflitto portato dinanzi alla Corte, la sua qualità di madre biologica è sufficiente a darle il potere di comparire dinanzi alla Corte anche a nome dei figli per proteggere i loro interessi.
139. La Corte ricorda per di più che le condizioni che disciplinano i ricorsi individuali non coincidono necessariamente con i criteri nazionali relativi al locus standi. In effetti, le regole interne in materia possono essere poste per fini diversi da quelli dell’ articolo 34 della Convenzione. Se a volte vi sono analogie tra i rispettivi scopi, non è necessariamente sempre così (si veda la sentenza Norris c. Irlanda del 26 ottobre 1988, serie A n° 142, p. 15, § 31).
140. Avendo dunque la prima ricorrente legittimazione ad agire anche a nome dei suoi figli, il governo belga ha il diritto di intervenire nel procedimento, ai sensi degli articoli 36 § 1 della Convenzione e 61 § 2 del regolamento, avendo il maggiore dei bambini anche la nazionalità belga.
141. La Corte ritiene quindi di respingere l’eccezione preliminare del Governo sia per quanto concerne il locus standi dei bambini della prima ricorrente, sia per quanto riguarda la legittimazione del governo belga ad intervenire nel procedimento.
B. Sull’osservanza dell’articolo 8 : le ingerenze erano « previste dalla legge » e perseguivano uno scopo legittimo ?
142. Non si contesta che le ingerenze incriminate fossero previste dalla legge ai sensi dell’articolo 8, in particolare dagli articoli 330 e 333 del codice civile (paragrafi 124 e 125 sopra), come anche dall’articolo 2 della legge n° 184 del 1983 (paragrafo 126 sopra). E’ vero che la parte ricorrente allega la disapplicazione di alcune disposizioni di quest’ultima legge, in particolare quanto al periodo di presumibile durata dell’affidamento (articolo 4 comma 3), al dovere dei responsabili dell’istituto di affido di agevolare i rapporti con la famiglia di origine (articolo 5) e al rifiuto di prendere in considerazione la possibilità di affidare i bambini alla nonna materna (articolo 12 comma 1). Tuttavia, questi elementi riguardano il modo in cui le disposizioni interne pertinenti sono state applicate e non la base legale delle ingerenze incriminate in sè. Questi elementi si rapportano quindi al problema di sapere se le disposizioni pertinenti sono state applicate in conformità ai principi della Convenzione.
143. D’altro canto, non si presta nemmeno a controversia che le misure incriminate perseguivano uno scopo legittimo ai sensi dell’articolo 8, cioè la « protezione della salute o della morale » e « la protezione dei diritti e delle libertà altrui », nella misura in cui esse miravano a salvaguardare il benessere dei bambini della prima ricorrente.
C. Sulla osservanza dell’articolo 8 : le ingerenze erano « necessarie in una società democratica » ?
1. La sospensione della potestà genitoriale della prima ricorrente e l’allontanamento dei bambini
a) Tesi dei comparenti
i. La prima ricorrente
144. La prima ricorrente contesta la decisione delle autorità e sottolinea, fra l’altro, la sua volontà di affrancarsi dall’ambiente familiare rovinato dai comportamenti violenti del suo ex marito, e lo attesterebbe , in particolare, la denuncia che ella ha sporto contro quest’ultimo e la sua decisione di separarsi.
ii. Il governo belga
145. Il governo belga ritiene che il provvedimento di sospensione della potestà sembra giustificato, tenuto conto delle scarse capacità educative della prima ricorrente e del suo ex marito.
iii. Il governo italiano
146. Il governo convenuto sottolinea in primo luogo la gravità della situazione familiare della prima ricorrente, caratterizzata dagli abusi sessuali che un amico di quella ha fatto subire al maggiore dei bambini e le violenze ripetute che caratterizzavano le relazioni familiari. Il Governo fa riferimento anche alla personalità problematica della prima ricorrente e conclude che il provvedimento controverso era pienamente giustificato nell’interesse dei bambini.
iv. La Commissione
147. La Commissione ha ritenuto che, essendo i bambini rimasti troppo a lungo confrontati a queste situazioni certamente pregiudizievoli per il loro sviluppo, l’ingerenza delle autorità, nella misura dell’allontanamento dei bambini, si giustificava in vista della protezione degli interessi di questi ultimi.
b) Valutazione della Corte
148. La Corte ricorda che « (...) la disgregazione di una famiglia costituisce una ingerenza gravissima. Perciò, una tale misura deve basarsi su considerazioni ispirate all’interesse del bambino e deve avere molto peso e solidità » (sentenza Olsson c. Svezia (n° 1) del 24 marzo 1988, serie A n° 130, p. 33, § 72). Bisogna dunque avere riguardo « al giusto equilibrio da combinare tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme ; lo stesso, (...) lo Stato gode di un certo margine di valutazione (...) » (sentenza Hokkanen c. Finlandia del 23 settembre 1994, serie A n° 299-A, p. 20, § 55). In questo campo, la Corte « non si limita a domandarsi se lo Stato convenuto ha usato del suo potere di valutazione in buona fede, con cura e in maniera sensata (...). Inoltre, nell’esercitare il suo controllo la Corte non si contenterebbe di esaminare isolatamente le decisioni criticate; bisogna considerarle alla luce dell’intero caso e determinare se i motivi invocati a sostegno delle ingerenze in causa sono « pertinenti e sufficienti » (...) » (sentenza Olsson c. Svezia (n° 1) succitata, p. 32, § 68 ; cfr. anche, mutatis mutandis, la sentenza Vogt c. Germania del 26 settembre 1995, serie A n° 323, p. 26, § 52).
149. La Corte rileva che dal 1994 la situazione familiare della prima ricorrente si è molto deteriorata (paragrafo 13 sopra). Sottolinea in modo particolare il ruolo negativo dell’ex marito. Risulta dal fascicolo di causa che questi, in effetti , porta una pesante responsabilità per il clima di violenza che si era instaurato all’interno della famiglia a causa delle sue ripetute violenze sui figli e sulla ex moglie, per le quali quest’ultima l’ha del resto denunciato (paragrafo 13 sopra).
150. Tuttavia , è d’uopo anche rilevare che anche dopo la separazione dal suo ex marito, la prima ricorrente ha avuto difficoltà ad occuparsi dei suoi bambini. A questo riguardo, la Corte attribuisce un certo peso al rapporto del 9 giugno 1997 redatto dalla neuropsichiatra della Unità Sanitaria Locale (paragrafo 24 sopra), che constata nella prima ricorrente delle turbe della personalità e la giudica inadatta a gestire la complessa situazione della sua famiglia e dei suoi bambini. A questo si aggiunge il grave trauma causato al maggiore dei bambini dagli atti di pedofilia di un educatore che era riuscito a stabilire delle buone relazioni con la famiglia della prima ricorrente.
151. Tenuto conto di queste circostanze, la Corte aderisce, su questo punto, al parere della Commisione e ritiene che, in un tale contesto, l’intervento delle autorità, attraverso la sospensione della potestà genitoriale della prima ricorrente e l’allontanamento temporaneo dei bambini dalla loro madre, si basava su dei motivi pertinenti e sufficienti e si giustificava per la protezione degli interessi dei bambini. Pertanto, a questo riguardo, non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
2. Gli incontri tra la prima ricorrente e i suoi figli
a) Tesi dei comparenti
i. La prima ricorrente
152. La prima ricorrente osserva, in primo luogo, che non si capisce perché, a partire dalla decisione del 9 settembre 1997, le è stato impedito di vedere il figlio maggiore.
153. Quanto alle accuse che le sono state mosse nel luglio 1998, la prima ricorrente afferma che è assurdo interrompere un rapporto così delicato come quello tra madre e figlio ; infatti, se al termine del procedimento verrà riconosciuta innocente, avrà subito un pregiudizio irreversibile. A questo riguardo, ella rimprovera alle autorità di avere usato due pesi e due misure: le accuse che le sono state mosse e che non hanno portato ad un rinvio a giudizio, hanno motivato la separazione dai suoi figli per un periodo anche lungo, mentre una sentenza definitiva, che riconosce due responsabili del « Forteto » colpevoli di gravi delitti su minori che erano stati loro affidati, non ha impedito al tribunale per i minorenni di continuare ad affidare loro dei bambini.
154. La prima ricorrente allega, poi, che in realtà, i servizi sociali hanno nei suoi riguardi un atteggiamento radicalmente negativo che starebbe influenzando fortemente il figlio maggiore al punto che egli manifesta una ostilità nei suoi riguardi che in precedenza non appariva.
ii. Il governo belga
155. Il governo belga sottolinea in primo luogo che quando nel marzo del 1998 il tribunale per i minorenni ha ordinato la attuazione di una procedura preparatoria concernente M., la questione di sapere se la sospensione dei contatti con G. dovesse essere mantenuta non è stata affatto presa in considerazione, benchè lo studio psichiatrico ordinato dal tribunale il 18 novembre 1997 concernesse entrambi i bambini.
156. Quanto alla sospensione dell’incontro già programmato con il figlio minore per l’8 luglio 1998, il governo belga osserva che, se è difendibile in principio, tuttavia si può rilevare in pratica che :
- le allegazioni che hanno portato alla audizione del bambino erano conosciute da sette mesi (7 gennaio 1998) ;
- le rivelazioni non hanno coinvolto che il padre del bambino, mentre l’estensione dell’accusa alla prima ricorrente rimane ipotetica, secondo i termini impiegati dal procuratore della Repubblica nelle sue note del 18 e 26 giugno 1998 ;
- M. non sarà ascoltato che il 27 febbraio 1999, sette mesi più tardi.
157. In realtà, non si procederà all’audizione di M. che dopo la pronuncia della decisione del 22 dicembre 1998 del tribunale per i minorenni che ordina l’instaurazione di una nuova procedura preparatoria alla ripresa dei contatti dei due bambini con la loro madre. La circostanza che il tribunale abbia ordinato la ripresa dei contatti anche prima che M. fosse ascoltato nell’ambito del procedimento penale tende ad indebolire notevolmente la motivazione della sua decisione del 6 luglio 1998, di cui le conseguenze pregiudizievoli per M., legate all’ interruzione brutale del lavoro preparatorio, non sarebbero da ignorare.
158. Anche dopo la decisione del 22 dicembre 1998, gli incontri non inizieranno che, con ritardo, il 29 aprile, dopo una separazione di diciannove mesi. Secondo il governo belga, una soppressione così lunga di ogni contatto costituisce una ingerenza estremamente grave nella vita familiare della prima ricorrente, sopattutto se si considera la giovane età del figlio minore. Le incoerenze nelle decisioni delle autorità, perciò, non risulterebbero compatibili con le esigenze dell’articolo 8.
iii. Il governo italiano
159. Il governo convenuto osserva in primo luogo che soltanto il 4 novembre 1997, quindi due mesi dopo la decisione del tribunale di collocare i bambini presso il « Forteto », la prima ricorrente si dolse per la prima volta di non avere avuto ancora la possibilità di incontrare il figlio minore, contrariamente a quello che prevedeva la decisione del tribunale.
160. Il Governo sottolinea in secondo luogo l’atteggiamento ambiguo della prima ricorrente. Al fine di inquadrare meglio la personalità di quella, può essere utile, secondo il Governo, ricordare che nel corso del processo l’interessata si è presentata, a più riprese, come psicologa, infermiera o, ancora, ginecologa. E’ opportuno evocare anche il processo attualmente in corso davanti al tribunale di Firenze, concernente dei presunti maneggi sulla persona del figlio maggiore e fondato su dei gravi indizi di complicità della prima ricorrente, il tentativo di suicidio della figlia, nata dal suo primo matrimonio , compiuto a causa delle violenze familiari di cui la giovane era vittima, come anche le dichiarazioni della sorella della prima ricorrente al tribunale per i minori di Firenze.
161. Il Governo fa valere peraltro che una preparazione agli incontri era necessaria e bisognava che si svolgesse a brevi intervalli per evitare che un rapporto privilegiato tra la madre e il piccolo M. creasse una forte tensione tra i due fratelli, tenuto conto dell’importanza che i servizi sociali hanno attribuito al rapporto tra i due. Del resto il programma ha richiesto del tempo a ragione della sua complessità e della necessità di verificare i bisogni effettivi delle persone coinvolte.
162. Il Governo evoca inoltre le difficoltà incontrate dai servizi sociali per il comportamento aggressivo e minaccioso della prima ricorrente in particolare nei riguardi del figlio maggiore, comportamento certamente legato, secondo il Governo, alle dichiarazioni di quest’ultimo nell’ ambito del processo penale.
163. Quanto alla sospensione dell’incontro previsto per il 6 luglio 1998, questa è pienamente giustifica dalle necessità dell’inchiesta penale, tenuto conto che i bambini dovevano essere interrogati e che la prima ricorrente aveva avuto un atteggiamento minaccioso nei confronti del figlio maggiore.
164. Il governo convenuto sottolinea anche l’impegno dei servizi coinvolti nel controllo dei bambini, tramite un programma di avanguardia tendente al recupero psico-affettivo dei bambini al fine di aiutarli a comprendere meglio il ruolo dei loro genitori. Con riguardo a questo scopo, il Governo giudica auspicabile che la prima ricorrente collabori con i servizi sociali e abbandoni gli atteggiamenti minacciosi nei riguardi del figlio maggiore nel corso degli incontri (il Governo si riferisce anche al rifiuto della prima ricorrente di dare seguito al consiglio degli assistenti sociali, al termine dell’incontro del 9 settembre 1999, di scrivere al figlio maggiore).
165. Gli incontri riprenderanno in ogni caso in funzione delle decisioni prese dagli specialisti incaricati del caso.
iv. La Commissione
166. La Commissione si è dichiarata cosciente del carattere particolarmente grave della situazione dei figli della prima ricorrente e non ha posto in discussione la necessità di prendere delle precauzioni in ragione delle sofferenze e dei traumi che i bambini hanno conosciuto e anche in relazione agli incontri con la loro madre.
167. La Commissione ha tuttavia trovato ingiustificata la rottura totale delle relazioni che trasparivano al momento in cui essa ha adottato il suo rapporto. Secondo la Commisione, le circostanze eccezionali che avrebbero potuto giustificare una interruzione totale dei contatti, nel caso di specie non erano presenti. Del resto, le stesse autorità hanno previsto una ripresa dei contatti almeno con il figlio minore. Inoltre, una interruzione totale sembra ancora più ingiustificata nel caso di specie se si considerano i dubbi che la prima ricorrente aveva espresso sul luogo della sistemazione, dubbi comprensibili tenuto conto, tra l’altro, dei precedenti penali di alcuni responsabili del « Forteto ».
168. Quanto alla sospensione degli incontri già programmati con il figlio minore, la Commisione ha ritenuto che la ragione invocata dalle autorità, cioè i bisogni della inchiesta aperta contro il padre dei bambini, sembrava debole, poiché il procuratore non aveva menzionato alcun elemento concreto a carico della prima ricorrente e si era limitato a evocare la semplice ipotesi che l’accusa sarebbe potuta essere estesa alla madre.
b) Valutazione della Corte
169. La Corte ricorda in primo luogo che per « un genitore e suo figlio, essere insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare. Inoltre, la presa di responsabilità di un bambino da parte delle autorità pubbliche non pone fine alle relazioni familiari naturali (...) » (sentenza Eriksson c. Svezia del 22 giugno 1989, serie A n° 156, p. 24, § 58). Come la Corte ha già osservato, « normalmente bisogna considerare l’affidamento di un bambino come una misura temporanea da sospendere nel momento in cui la situazione vi si presti e (...) ogni atto di esecuzione deve concordare con lo scopo ultimo: riunire nuovamente il genitore naturale e il figlio (...). A questo riguardo, un giusto equilibrio deve essere combinato tra gli interessi del figlio a restare in affidamento e quello del genitore a vivere con lui (...). Procedendo su questa linea, la Corte darà più importanza al superiore interesse del bambino che, secondo la sua natura e gravità, può travalicare quello del genitore. In particolare (…), l’articolo 8 della Convenzione non potrebbe autorizzare il genitore a prendere delle misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del bambino » (sentenza Johansen c. Norvegia del 7 agosto 1996, Recueil 1996-III, p. 1008, § 78).
170. La Corte ritiene in primo luogo che la decisione del 9 settembre 1997 di vietare ogni contatto tra la prima ricorrente e il figlio maggiore non sembrava basata su ragioni sufficientemente solide. E’ vero che il bambino usciva da una esperienza molto difficile e traumatica. Tuttavia, come ha ricordato la Commissione nel suo rapporto, una misura tanto radicale quale l’interruzione totale dei contatti non si potrebbe giustificare che in casi eccezionali (sentenza B. c. Regno Unito dell’ 8 luglio 1987, serie A n° 121, p. 79, § 77). Se le condizioni difficili che nuocevano alla vita familiare e allo sviluppo dei bambini hanno giustificato l’allontanamento temporaneo di questi ultimi ( senza per questo sottovalutare l’importanza del sostegno psicologico di cui la madre necessitava), la grave situazione che esisteva non giustificava da sola, per la Corte, l’interruzione dei contatti con il maggiore dei figli avuto riguardo non solo all’attaccamento che la prima ricorrente ha sempre manifestato verso i suoi figli, ma anche e soprattutto alla decisione delle autorità di permettere parallelamente la ripresa dei contatti con il figlio minore. Dato che le autorità non hanno voluto privare definitivamente la prima ricorrente di tutti i suoi diritti genitoriali, la decisione di vietare ogni contatto di G. con sua madre comporta un elemento di rottura anche nei rapporti fra i fratelli e non concorda con lo scopo prefissato di curare la possibilità di riallacciare i rapporti con la madre.
171. La Corte nota in secondo luogo che, mentre la decisione del 9 settembre 1997 prevedeva l’organizzazione di incontri con il figlio minore, a questa non fu dato seguito fino al 6 marzo 1998, data nella quale il tribunale per i minorenni di Firenze infine decise di fare precedere gli incontri da un programma di preparazione della madre. Non se ne fece nulla poiché, due giorni prima del primo incontro, fissato per l’8 luglio 1998, il tribunale per i minorenni decise, su domanda del sostituto procuratore della Repubblica che aveva aperto una inchiesta concernente il padre dei bambini (paragrafo 66 sopra), di sospendere gli incontri già programmati. Riguardo a questa decisione, la Corte condivide il parere della Commissione. Non si capisce su quale base il tribunale per i minorenni abbia potuto prendere una decisione tanto severa e pesante di conseguenze psicologiche per gli interessati, se si pensa che il procuratore aveva fondato la sua domanda sulla semplice ipotesi, priva di ogni riscontro oggettivo, che l’inchiesta si sarebbe potuta estendere alla madre. E’ vero che, nella sua lettera inviata alla Procura della Repubblica il 19 giugno 1998 (paragrafo 113 sopra), il bambino aveva già accusato sua madre di implicazione negli atti di pedofilia di cui era stato vittima, ma questa affermazione, formulata allora per la prima volta, non era stata fatta oggetto di alcuna seria verifica ( lo sarà solo l’11 novembre 1998, durante l’ interrogatorio del pedofilo in questione, che smentirà il bambino; paragrafo 115 sopra). E’ d’obbligo, quindi, concludere che sia il sostituto procuratore che il tribunale hanno proceduto con leggerezza.
172. Del resto, solo cinque mesi più tardi, il 22 dicembre 1998, il tribunale per i minorenni autorizzerà la prima ricorrente a rivedere, questa volta, entrambi i suoi bambini, mentre l’inchiesta è ufficialmente ancora in corso; ciò sembra in contraddizione con le decisioni assunte nell’estate dello stesso anno.
173. Ma, ancora una volta, nonostante la decisione del tribunale che ordinava la ripresa degli incontri anteriormente al 15 marzo 1999, il primo incontro non si svolse che il 29 aprile 1999. Questo ritardo, d’altronde, è stato rilevato dallo stesso tribunale nella sua nota del 15 febbraio 1999. Nella misura in cui un tale ritardo è imputabile a difficoltà amministrative (paragrafi 84 e 85 sopra) si può ricordare che « in un campo così essenziale come quello del rispetto della vita familiare, tali considerazioni non potrebbero giocare che un ruolo secondario » (sentenza Olsson c. Svezia (n° 1) già citata, p. 37, § 82). Un tale ritardo è tanto più inaccettabile nel caso di specie in quanto in quel momento la separazione tra la prima ricorrente e i suoi figli durava già da un anno e mezzo.
174. In più, il primo incontro non ha segnato l’inizio di contatti regolari e frequenti che dovevano aiutare i bambini e la madre a riallacciare le loro relazioni. E’ vero che il maggiore ha espresso, nella sua lettera del 6 maggio 1999 indirizzata agli assistenti sociali (paragrafo 92 sopra), la sua delusione riguardo al primo incontro. Tuttavia, a parte il fatto che bisogna prendere con precauzione le lettere inviate dal maggiore alle diverse autorità coinvolte in questo caso tenuto conto del contesto particolare nel quale il bambino si trovava, come sarà osservato in seguito dalla Corte (paragrafo 210 qui di seguito) , un sentimento di delusione è facilmente concepibile dopo una separazione tanto lunga seguita ad avvenimenti traumatici per il bambino. Questa circostanza, al contrario, avrebbe dovuto spingere i servizi sociali ad organizzare degli incontri ravvicinati per aiutare gli interessati a superare un periodo così difficile. Non è certamente il persistere di uno stato di separazione che può contribuire a riallacciare delle relazioni familiari già sottoposte a dura prova. Bisogna ricordare, a questo riguardo, che i «legami tra i membri di una famiglia e le chances di riunirli saranno, per forza di cose, indebolite se si pongono degli ostacoli che impediscono degli incontri facili e regolari degli interessati » (sentenza Olsson c. Svezia (n° 1) succitata, p. 36, § 81).
175. La Corte ci tiene a sottolineare che ella non sottovaluta l’importanza delle misure preparatorie. Del resto, ella ha già avuto modo di affermare che « (...) il ricongiungimento dei genitori di sangue con i figli che vivono da un certo tempo con una famiglia di affido non potrebbe fare a meno di preparativi. La loro natura ed estensione può dipendere dalle circostanze delle singole situazioni, ma richiede sempre e comunque a tutte le persone coinvolte una cooperazione attiva e improntata alla comprensione. Se le autorità nazionali devono fare ogni sforzo per suscitare tale collaborazione, esse nondimeno non possono nella materia ricorrere alla coercizione: devono tenere conto degli interessi e dei diritti e delle libertà di quelle stesse persone, e in particolare degli interessi dei bambini e dei diritti loro riconosciuti dall’articolo 8. Nell’ipotesi in cui i contatti con i genitori biologici vi porterebbero un pregiudizio, spetta alle autorità nazionali badare ad un giusto equilibrio (...) » (sentenza Olsson c. Svezia (n° 2) del 27 novembre 1992, serie A n° 250, p. 35, § 90). Nel caso di specie, tuttavia, si può osservare che un solo incontro non era sufficiente a dare ai bambini l’ occasione di riallacciare una relazione con la loro madre. Poiché esso era stato preceduto da una fase costante di preparazione che aveva già contribuito a ritardare l’inizio degli incontri, la Corte non capisce perchè il primo incontro non sia stato seguito rapidamente da altri incontri. Ella ritiene inoltre che il Governo non ha fornito alcuna spiegazione che possa giustificare la durata della ulteriore fase di preparativi, altri quattro mesi prima del successivo incontro, e a fortiori l’assenza di ogni altro incontro dopo quello del 9 settembre 1999.
176. Quindi, dopo un attento esame, da parte della Corte, del materiale visivo relativo al primo incontro (paragrafo 91 sopra), lo svolgimento e i risultati di quello si presentano sotto una luce decisamente meno negativa di quella che il rapporto dei servizi sociali presenta. Eppure questi ultimi hanno avuto libertà piena nel fissare il secondo incontro a solo quattro mesi più tardi. Del resto il materiale sonoro relativo al secondo incontro (paragrafo 94 sopra) conferma che i servizi sociali hanno goduto di un ampio margine di manovra nel decidere se e quando gli incontri si sarebbero svolti.
177. In questa materia, è da tenere conto dell’alto rischio che una interruzione prolungata dei contatti tra genitore e figlio o degli incontri troppo distanziati nel tempo compromettano ogni seria possibilità di aiutare gli interessati a superare le difficoltà intercorse nella vita familiare e di riunirli ( rischio ancora più presente nel caso del figlio minore avuto riguardo alla sua giovane età al momento della separazione).
178. Nelle circostanze del presente caso, quindi la Corte giudica inaccettabile che i servizi sociali possano, come si sta verificando nella specie, modificare nella pratica la portata delle decisioni dei tribunali che prevedono il principio degli incontri. Gli incontri organizzati fino ad ora, praticamente episodici se si considera il loro numero e la loro distanza nel tempo (due in circa tre anni), non hanno molto senso alla luce dei principi che derivano dall’articolo 8.
179. Il fascicolo di causa mostra infatti che a partire dal primo incontro i servizi sociali hanno giocato un ruolo eccessivamente autonomo nell’attuazione delle decisioni del tribunale per i minorenni e hanno dato prova nei confronti della prima ricorrente di un atteggiamento negativo che, secondo la Corte, non si basa su alcun fondamento oggettivo convincente. In realtà, il modo in cui i servizi sociali hanno condotto la situazione fino ad ora contribuisce ad accentuare la separazione tra la prima ricorrente e i suoi figli con il rischio di renderla irreversibile. Gli elementi che scaturiscono dall’ultimo rapporto dei servizi sociali d’altronde non fanno che confermarlo (paragrafo 96 sopra). Rispetto a una tale evoluzione della situazione il tribunale per i minorenni, tenuto in principio a controllare la attuazione delle sue decisioni, ha confermato il modo di procedere dei servizi sociali senza tuttavia sottoporlo ad una verifica approfondita.
180. In effetti, mentre il fatto che solo due incontri, al termine di un anno e mezzo di separazione, si fossero svolti dopo la decisione del tribunale del 22 dicembre 1998, avrebbe dovuto portare quest’ultimo a verificare per quali motivi il programma procedesse così lentamente, il tribunale si è rimesso, senza dedicarsi ad un controllo critico dei dati concreti, alle conclusioni negative dei servizi sociali. Messo a confronto con le doglianze della prima ricorrente concernenti la valutazione dei risultati degli incontri, il tribunale non ha ritenuto necessario esaminare il relativo materiale audiovisivo, la cui allegazione al fascicolo di causa è stata autorizzata con molto ritardo e solo dopo che era già stato presentato alla Corte (paragrafo 109 sopra). Il tribunale non ha neppure autorizzato un perito esterno ai servizi sociali designato dalla prima ricorrente a partecipare agli incontri e alle riunioni preparatorie. Pur tuttavia il giudice tutelare aveva dato il suo avallo (paragrafi 106 e 107 sopra). Questi rifiuti non solo sembrano sprovvisti di una giustificazione pertinente, ma, di più, hanno privato il tribunale di mezzi oggettivi con cui verificare il lavoro dei servizi sociali.
181. L’articolo 8 impone che le decisioni dei tribunali, che tendono in principio ad agevolare tra genitori e figli incontri che riallaccerebbero le loro relazioni in vista di una eventuale riunione, siano eseguite in maniera effettiva e coerente. Non sarebbe logico combinare la possibilità di incontri se il seguito dato a questa decisione si traducessede facto nell’allontanamento definitivo del bambino dal suo genitore biologico. Quindi, le autorità competenti, nel caso specifico i tribunali per i minorenni, hanno un dovere di vigilanza costante, specialmente per ciò che riguarda il lavoro dei servizi sociali di modo che il comportamento di questi non venga a contraddire le decisioni delle autorità.
182. Infine, la Corte non potrebbe dare credito, allo stato attuale del fascicolo di causa , alle dichiarazioni non verificate della sorella della prima ricorrente (paragrafo 117 sopra). Non si può dunque spiegare la condotta delle autorità e dei servizi sociali, come il governo convenuto sembra fare, con un dato tanto inconsistente, tanto più che le decisioni dei primi o i rapporti dei secondi non lo richiamano. Del resto la Corte osserva che il fascicolo di causa contiene elementi contraddittori riguardo alle relazioni attuali tra la prima ricorrente e il suo ex marito (paragrafi 97 e 111 sopra). Tuttavia, il fascicolo di causa non contiene alcun elemento che dimostri che i dubbi esistenti circa le relazioni attuali tra la prima ricorrente e il suo ex marito permettano di considerare la madre incapace di riavvicinarsi ai suoi bambini. Di più, nessuna decisione delle autorità contiene indicazioni sufficienti in questo senso.
183. In conclusione, la Corte considera che le autorità non hanno avuto riguardo ad un giusto equilibrio tra gli interessi dei figli della prima ricorrente e i diritti che a quest’ultima derivano dall'articolo 8 della Convenzione. Pertanto, su questo punto vi è stata violazione dell'articolo 8.
3. La collocazione dei bambini nella comunità « Il Forteto »
a) Tesi dei comparenti
i. La prima ricorrente
184. Secondo la prima ricorrente, la filosofia del « Forteto », ispirata al rifiuto della famiglia biologica, non è cambiata dalla fine di anni 70. Lo scopo del « Forteto » sarebbe sempre quello di separare i figli dalle loro famiglie biologiche, come confermerebbero le lettere inviate da G.
185. In realtà, risulterebbe dal fascicolo di causa che durante tutta la loro permanenza, i bambini sono stati seguiti, accompagnati e attorniati da L.R.F. e L.G., come attesterebbe, per esempio, il tenore della lettera spedita da L.G. alla Procura il 7 gennaio 1998. Una tale lettera sarebbe dovuta provenire dal presidente della comunità o dai genitori affidatari e non da un membro che, secondo il Governo, aveva una posizione marginale in relazione ai bambini.
186. D’altra parte, secondo la prima ricorrente non esisterebbe una vera e propria famiglia affidataria e i bambini verrebbero di fatto seguiti da persone diverse rispetto a quelle designate dal tribunale per i minorenni. Tutto sommato è significativo che nella sua corrispondenza G. non menzioni mai la signora M.G.
187. Riguardo ai controlli che le autorità si presume esercitino sul « Forteto », la prima ricorrente fa valere che in realtà i rapporti delle autorità competenti non sono conformi alle scadenze indicate dal Governo : così il primo rapporto è del febbraio 1998, il secondo del giugno 1998 e il terzo solo del novembre 1999. Peraltro, l’ispezione semestrale richiesta dall’art 9 della legge n° 183 del 1984 non si sarebbe mai svolta.
188. Infine, sempre secondo la prima ricorrente, il « Forteto » sembra di fatto beneficiare di un ampio margine di manovra nella gestione dei bambini loro affidati e di un considerevole appoggio dei servizi sociali. Questa circostanza, combinata con il seguito tardivo dato alle decisioni delle autorità, comprometterebbe la effettiva applicazione di queste ultime.
ii. Il governo belga
189. Il governo belga rileva in primo luogo che i due responsabili del « Forteto » condannati nel 1985 non sono stati fatti oggetto di riabilitazione e che all’ epoca del procedimento repressivo le autorità italiane avevano continuato ad affidare loro dei minori. Il governo belga osserva, poi, che, contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, risulta dal fascicolo di causa che i due responsabili hanno avuto un ruolo attivo nel procedimento che riguarda i figli della prima ricorrente.
190. Senza volere sostenere le deduzioni affrettate delle ricorrenti che affermano che L.R.F. e L.G. commettano ancora dei reati in pregiudizio dei bambini, il governo belga ritiene che la misura dell’allontanamento del minore è un’ingerenza talmente grave nella sfera familiare da dovere essere disposta in una struttura al disopra di ogni sospetto. Come per l’articolo 6 della Convenzione, le apparenze non sono quindi prive d’importanza. Pertanto, le istituzioni affidatarie di minori in difficoltà devono fornire ogni garanzia di serietà e di competenza. La presenza al loro interno di persone che abbiano subito condanna penale – anche se in un lontano passato – nuoce gravemente alla fiducia alla quale queste istituzioni devono ispirarsi.
191. Il governo belga osserva inoltre che l’istituto « Il Forteto » porta avanti una attività commerciale poco compatibile con gli obiettivi di assistenza sociale ai minori e non sembra molto indicata neanche la partecipazione dei suoi membri alle commissioni consultive che forniscono ai tribunali un parere sulla opportunità di una misura di collocamento.
192. Infine, i metodi del « Forteto » sembrano avere come finalità quella della rottura delle relazioni tra i bambini e la loro famiglia biologica, cosa che non sembra conforme allo spirito dell’affidamento familiare così come è inteso dall’articolo 8 della Convenzione.
iii. Il governo italiano
193. Il governo convenuto riconosce che le autorità competenti verosimilmente erano al corrente delle condanne di L.R.F. e L.G. quando hanno deciso di collocare i bambini presso il « Forteto ». Tuttavia, ci tiene a sottolineare che nell’opinione pubblica in Toscana l’imputazione di queste due persone è stata percepita come inserentesi nella cornice di un conflitto tra partigiani ed avversari del « Forteto ». Inoltre, i due responsabili in questione sono stati assolti per dieci capi di imputazione su tredici al termine di un laborioso processo con due interventi della Corte di Cassazione. Riguardo ai capi di imputazione per i quali L.R.F. e L.G. sono stati condannati, il Governo richiama la costituzione di un comitato incaricato di raccogliere prove in vista di una richiesta di revisione della condanna. Tutto sommato, gli uomini in questione non hanno commesso altri atti delittuosi dopo la loro condanna nel 1985.
194. D’altro canto, il « Forteto » gode della fiducia di numerose istituzioni locali e regionali ed è stato oggetto di numerosi studi. Il Governo, in particolare, cita una pubblicazione, apparsa su « Il Mulino », una delle più importanti case editrici italiane, che si basa sulle ricerche condotte sul posto da psicologi, dottori, sociologhi e neuropsichiatri infantili. Ancora, i risultati positivi della cura avuta dei bambini affidati al « Forteto » ha dato luogo a studi intrapresi da istituzioni di altri Stati. La stessa sentenza della corte di appello di Firenze del 1985 ha accordato un certo valore alle numerose testimonianze che attestano i risultati positivi dell’esperienza del « Forteto ». Tutto sommato, il giudice competente presso il tribunale non ha mai accertato fatti negativi in riferimento all’istituto e ai suoi ospiti. Il « Forteto » è anche sottoposto al controllo del Ministero del Lavoro, che non ha riscontrato nessun problema nel corso della sua ultima ispezione. Controlli vengono effettuati anche dalla regione e dalla provincia. Comunque, i minori affidati al « Forteto » sono seguiti da vicino dai servizi sociali competenti e il tribunale viene tenuto costantemente informato.
195. In questo contesto, condanne che risalgono a più di venti anni fa perdono d’importanza.
196. Peraltro, è da escludere che L.R.F. e L.G. abbiano un ruolo nei programmi di riadattamento dei minori affidati alla comunità, dei quali, invece, sono incaricati numerosi assistenti sociali ed équipes specializzate poste sotto la supervisione del tribunale per i minorenni. La custodia dei bambini è stata affidata al sign. G.C. e alla signora M.G., i quali, d’accordo con i servizi sociali, sono assistiti dalla signora M.C.-G., moglie del sign. L.G., e dal sign. S., nel controllo delle attività scolastiche dei bambini (che frequentano una scuola pubblica nella stessa zona) e nelle numerose riunioni miranti a preparare gli incontri con la loro madre e la loro nonna.
197. Riguardo alle lettere scritte dal maggiore dei bambini, il Governo considera senza importanza il fatto che una di quelle sia stata redatta alla presenza dei genitori affidatari e del sign. R., tenuto conto della evoluzione delle esigenze del bambino, spesso critico nei confronti dei genitori e, in particolare, di sua madre, che non lo aveva aiutato benchè fosse stata messa al corrente degli abusi sessuali che un amico della famiglia aveva fatto subire a suo figlio. Riguardo alla firma apposta dal maggiore dei bambini sulla lettera del 2 marzo 1999, e alla quale era stato aggiunto il cognome di una delle persone alle quali egli era stato affidato, bisogna vedere in ciò, secondo il parere del Governo che fa riferimento, su questo punto, alla posizione degli psicologi, un atteggiamento positivo del bambino nei confronti del suo affidamento.
198. Si può anche sottolineare che vari elementi del fascicolo di causa mostrano che lo stato psicologico dei bambini è migliorato costantemente e sensibilmente.
199. Il Governo sostiene, in conclusione, che la collocazione dei bambini della prima ricorrente nel « Forteto » è valutata in modo positivo da tutti i servizi competenti, i quali godono della fiducia del tribunale per i minorenni. Non vi è , in ogni caso, alcuna ragione di modificare un programma così complesso e difficile, tenuto anche conto dell’assenza di collaborazione da parte della prima ricorrente.
iv. La Commissione
200. Secondo la Commissione, il fatto che i due membri della comunità incriminati occupino sempre dei posti importanti all’interno del « Forteto » è tale da suscitare dei dubbi. La Commissione tuttavia osserva che i figli della prima ricorrente non sono stati affidati ai responsabili in questione. Inoltre, i fatti che hanno condotto alla loro condanna rimontano effettivamente a venti anni addietro e nessun elemento del fascicolo di causa può fare concludere che le due persone in causa in seguito si siano rese colpevoli di altri comportamenti dello stesso genere e, soprattutto, che essi abbiano un controllo diretto sui bambini o una influenza determinante sulla coppia alla quale sono affidati. La Commissione ha anche considerato che il miglioramento dello stato di salute dei bambini è tale da smentire il rischio che la scelta delle autorità a favore del « Forteto » si riveli manifestamente contraria agli interessi dei bambini.
b) Valutazione della Corte
201. La Corte ritiene opportuno citare, innanzi tutto, alcuni principi che derivano dalla sua precedente giurisprudenza e che possono contribuire a inquadrare le difficili questioni poste da questa parte del ricorso. In particolare, nella sentenza Johansen c. Norvegia succitata la Corte si esprime come segue (p. 1003, § 64) :
« (...) la Corte terrà conto del fatto che la percezione dell’opportunità di un intervento dei poteri pubblici nel prendersi carico dei bambini varia, da uno Stato contraente all’altro, in funzione di elementi quali le tradizioni legate al ruolo della famiglia e all’intervento dello Stato negli affari familiari, come anche la messa a disposizione di sovvenzioni pubbliche in questo particolare campo. Tuttavia, l’esame di ciò che serve nel modo migliore l’interesse del bambino è sempre di cruciale importanza. Inoltre bisogna ricordarsi che le autorità nazionali beneficiano di rapporti diretti con tutti gli interessati (…), spesso nel momento stesso in cui vengono previste le misure di affidamento o immediatamente dopo la loro attuazione. Da queste considerazioni consegue che la Corte non ha il compito di sostituirsi alle autorità interne per regolamentare l’affidamento dei bambini da parte della pubblica amministrazione e i diritti dei genitori di questi bambini, ma di valutare sotto l’angolazione della Convenzione le decisioni da questi emesse nell’esercizio del loro potere di valutazione (...).
Il margine di valutazione così lasciato alle autorità nazionali competenti varierà secondo la natura delle questioni controverse e la gravità degli interessi in gioco (...). Di conseguenza, la Corte riconosce che le autorità godono di una notevole libertà nel valutare la necessità dell’ affidamento di un bambino, ma è necessario esercitare un controllo più rigoroso sia sulle restrizioni supplementari, come quelle imposte dalle autorità ai diritti e alle visite dei genitori, sia sulle garanzie dirette ad assicurare l’effettiva protezione del diritto dei genitori e dei bambini al rispetto della loro vita familiare. Queste restrizioni supplemetari comportano il rischio di amputare le relazioni familiari tra i genitori e il bambino. »
202. La Corte poi constata che due dei principali responsabili e cofondatori del « Forteto » sono stati condannati nel 1985 dalla corte di appello di Firenze per maltrattamenti e abusi sessuali su tre handicappati accolti nella comunità. Questi due responsabili peraltro sono stati amnistiati per il reato di usurpazione di titolo, di cui erano stati accusati per essersi arrogati il titolo di psicologo diplomato delle università di Berna e Zurigo (paragrafi 32 e 33 sopra). Questa condanna è un fatto, confermato dalla Corte di Cassazione, una copia integrale della sentenza della corte di appello figura tra gli atti contenuti nel fascicolo di causa. Quindi, la Corte non potrebbe attribuire importanza all’argomentazione del Governo basata sulla costituzione di un comitato incaricato di raccogliere elementi, d’altronde non precisati, allo scopo di chiedere la revisione del processo. La Corte non giudica pertinente neanche il riferimento del Governo al sentimento dell’opinione pubblica in Toscana all’epoca del processo (paragrafo 193 sopra).
203. La Corte non è chiamata a pronunciarsi sul « Forteto » in quanto tale o sulla qualità generale del controllo dei bambini loro affidati. Non è neanche chiamata a dire se la fiducia che numerose istituzioni hanno verso il « Forteto » è bene o male riposta. Inoltre se la sentenza della corte di appello di Firenze del 1985 pone in risalto alcuni elementi quanto alla atmosfera e alle abitudini esistenti all’interno del « Forteto » alla fine degli anni ‘70, questi elementi si riferiscono alla situazione esistente all’interno della comunità venti anni addietro e la Corte non dispone di dati che le permettano di prendere posizione sul « Forteto » odierno. Del resto, la Corte non ha ad immischiarsi nella polemica che oppone partigiani e avversari del « Forteto ».
204. Tuttavia, il fatto che i due membri condannati nel 1985 occupino sempre posti di responsabilità all’interno della comunità non potrebbe essere considerato insignificante e richiede un esame circonstanziato della situazione concreta per quanto riguarda i figli della prima ricorrente.
205. La Corte nota che, contrariamente a ciò che afferma il Governo convenuto, gli elementi che scaturiscono dal fascicolo di causa mostrano che i due responsabili in questione svolgono un ruolo molto attivo in relazione ai figli della prima ricorrente. Così :
- L.R.F. ha partecipato alla riunione dell’8 settembre 1997, al termine della quale i servizi sociali hanno raccomandato al tribunale per i minorenni di Firenze di collocare i figli della prima ricorrente presso il « Forteto » (paragrafo 35 sopra) ;
- al momento dell’interrogatorio del 15 dicembre 1997, il maggiore dei bambini era accompagnato tra gli altri dalla signora M.C.-G. che, come riconosce lo stesso Governo (paragrafi 114 e 196 sopra), è la moglie di L.G. (paragrafo 56 sopra) ;
- L.G. ha firmato la lettera, indirizzata il 7 gennaio 1998 alla Procura e al tribunale per i minorenni, con cui riferisce degli incidenti che avrebbero causato la prima ricorrente e il suo ex marito quando tentarono di vedere i figli al « Forteto » (paragrafo 53 sopra) ;
- il 29 giugno 1998, L.R.F. ha scritto, a nome del « Forteto », una lettera dettagliata riguardo ai figli della prima ricorrente, raccomandando un rinvio degli incontri programmati con il minore dei bambini (paragrafo 65 sopra).
206. La Corte ritiene che questi elementi testimonino chiaramente il ruolo attivo di queste due persone nel controllo dei figli della prima ricorrente. Ora, la circostanza che nell’ambito dell’affidamento di bambini da parte dei pubblici poteri, due persone condannate, certamente venti anni prima, per maltrattamenti e abusi commessi su persone che a quell’epoca erano loro affidate all’interno della stessa comunità, possano svolgere un ruolo tanto attivo suscita delle serie riserve.
207. Il fatto, riconosciuto dal Governo (paragrafo 193 sopra), che il tribunale per i minorenni fosse al corrente dei precedenti dei due membri in questione al momento in cui sono state assunte le decisioni concernenti i figli della prima ricorrente rinforza queste riserve, anche se dal 1985 L.R.F. et L.G. non si sono più resi colpevoli di altri atti delittuosi e nessun elemento del fascicolo di causa indichi che queste due persone o altri membri o ospiti della comunità, commettano abusi o maltrattamenti sui figli della prima ricorrente o su altri bambini accolti presso il « Forteto ». A questo si aggiungono gli abusi sessuali commessi ad uno stadio anteriore sul maggiore dei bambini (paragrafo 14-19 sopra). La coincidenza dei due elementi - gli abusi sofferti dal maggiore dei bambini e i precedenti di L.R.F. et L.G. – spiegano perfettamente e rendono oggettivamente comprensibili le inquietudini che provava la prima ricorrente quanto alla sistemazione dei bambini presso il « Forteto », tenuto conto soprattutto del fatto che provenivano da una madre che era stata separata dai suoi bambini.
208. E’ il caso di notare anche che le autorità non hanno mai spiegato alla prima ricorrente perché la sistemazione dei bambini presso il « Forteto » non poneva dei problemi nonostante le condanne in questione. Secondo il parere della Corte, una simile assenza di informazioni non è compatibile con i doveri di equità e di informazione che incombono allo Stato nel momento in cui prende delle misure di ingerenza gravi in una sfera tanto delicata e sensibile come quella della vita familiare. Senza spiegazioni esaustive e pertinenti da parte delle autorità competenti, non si potrebbe puramente e semplicemente imporre, come invece è successo nel caso di specie, ad un genitore di vedere i propri figli collocati in una comunità, della quale alcuni responsabili si sono visti infliggere delle condanne gravi in passato per maltrattamenti e abusi sessuali. Questa situazione è aggravata dai due gruppi di elementi seguenti.
209. In primo luogo, alcuni responsabili del « Forteto » , compreso anche una delle due persone condannate nel 1985, sembra avere contribuito in maniera significativa a ritardare o ad ostacolare l’attuazione delle decisioni del tribunale per i minorenni di Firenze che autorizzava i contatti tra la prima ricorrente e i suoi figli. Così, risulta dal fascicolo di causa che in seguito alla decisione del 9 settembre 1997 che consentiva alla prima ricorrente di rivedere il figlio minore e prima che il tribunale decidesse in maniera definitiva il 15 marzo 1998 di subordinare la ripresa dei contatti con M. ad un programma di preparazione, i responsabili del Forteto sembrano avere impedito alla prima ricorrente di vedere i suoi figli e, in particolare, il minore, contrariamente alla decisione del tribunale, ciò che la Corte giudica inammissibile. Inoltre, sembra che la lettera inviata da L.R.F. al sostituto procuratore il 29 giugno 1998, che raccomandava un rinvio degli incontri, non sia totalmente estranea alla comunicazione di quello stesso sostituto procuratore al tribunale per i minorenni, solo tre giorni più tardi, che suggeriva implicitamente un rinvio degli incontri programmati, dei quali dichiarava avere avuto conoscenza (paragrafi 66 e 171 sopra).
210. In secondo luogo, gli elementi del fascicolo di causa testimoniano l’influenza crescente dei responsabili del « Forteto », compreso anche, ancora una volta, uno dei due membri condannati nel 1985, sui figli della prima ricorrente, influenza che mira ad allontanare questi, soprattutto il maggiore, dalla loro madre. Così, la Corte nota che il maggiore ha riconosciuto, al momento della perizia del 27 febbraio 1999, di avere scritto la lettera indirizzata all Procura in presenza, fra gli altri, di una persona di nome L.R.F.. La Corte non saprebbe pronunciarsi sulla sincerità delle affermazioni contenute nelle missive del maggiore dei bambini. Tuttavia, da un punto di vista oggettivo, non si può neanche non dare alcuna importanza alla presenza di adulti, fra cui verosimilmente L.R.F., al momento della redazione da parte di un bambino di dodici anni di lettere indirizzate al presidente del tribunale o alla procura. La Corte giudica d’altronde preoccupanti i cambiamenti bruschi di atteggiamento in particolare del maggiore verso sua madre (( come quello che risulta dalla lettera del 2 marzo 1999 (paragrafo 87 sopra), inviata solo quattro giorni dopo che il bambino ebbe dichiarato nell’ambito della perizia del 27 febbraio 1999 (paragrafo 116 sopra) che gli avrebbe fatto piacere rivedere sua madre)).
211. Per la Corte i fatti mostrano che i responsabili del « Forteto » coinvolti nel controllo dei figli della prima ricorrente hanno contribuito a deviare dal loro scopo le decisioni del tribunale per i minorenni che consentivano gli incontri. Per di più, non si sa esattamente a chi sono realmente affidati i bambini all’interno del « Forteto ». In effetti, le varie persone che accompagnano i bambini al di fuori del « Forteto » non sembra si limitino a dare un aiuto ai genitori affidatari, come sostiene il Governo (paragrafo 196 sopra) : come risulta da diversi verbali, queste varie persone si sono presentate tutte come i genitori affidatari (paragrafi 56, 60 et 68 sopra). La testimonianza di due esperti nominati d’ufficio (paragrafo 43 sopra), che il Governo non ha contestato, viene a rafforzare questa constatazione.
212. Questa situazione e i precedenti penali dei succitati responsabili avrebbero dovuto indurre il tribunale per i minorenni ad esercitare una maggiore sorveglianza riguardo al controllo dei bambini all’interno del « Forteto » e all’influenza dei responsabili in questione su di loro e sulle relazioni con la loro madre. Ora, questo non si è verificato. Infatti, i responsabili in questione operano in una comunità che gode di una ampia libertà e che non sembra sottoposta ad un effettivo controllo da parte delle autorità competenti. A questo riguardo, la Corte nota anche che il governo convenuto non ha prodotto elementi sufficienti a dimostrare che le ispezioni semestrali del giudice tutelare, in virtù dell’articolo 9 della legge n° 184 del 1983, si siano effettivamente svolte. Dopo tutto, il Governo non ha prodotto nessun rapporto del giudice tutelare che faccia stato di tali ispezioni.
213. Ancora, l’incidenza negativa sulle chances di riallacciare una relazione con la madre prodotta dall’atteggiamento e dal comportamento delle persone responsabili dei bambini all’interno del « Forteto », compresi anche i due responsabili condannati nel 1985, si aggiunge all’atteggiamento negativo dei servizi sociali, rilevato precedentemente, e contribuisce a privare la prima ricorrente di una seria chance di riunirsi un giorno ai suoi figli.
214. Riguardo all’assenza di limiti alla durata della collocazione presso il « Forteto », la pratica mostra che quando il collocamento in comunità si prolunga, molti bambini sottoposti ad una tale misura, in realtà, non recuperano mai una vera vita familiare all’ esterno della comunità. Quindi, la Corte non vede alcuna valida giustificazione al fatto che il collocamento dei figli della prima ricorrente non sia munito di un limite temporale, cosa che, inoltre, sembra andare contro le disposizioni pertinenti del diritto italiano, vale a dire l’articolo 4 della legge n° 184 del 1983.
215. In realtà, l’assenza di limiti temporali alla collocazione e l’influenza negativa delle persone che, all’interno del « Forteto », seguono i bambini, combinate con l’atteggiamento ed il comportamento dei servizi sociali, stanno avviando i figli della prima ricorrente verso una separazione irreversibile dalla loro madre e ad una integrazione a lungo termine nel « Forteto ». Benchè vari elementi indichino che lo stato di salute psicologica e fisica dei bambini sia sensibilmente migliorato dopo il loro affidamento (paragrafo 118-122 sopra), questa evoluzione della situazione, che, del resto, sminuisce il ruolo e le decisioni delle giurisdizioni investite del caso, comporta il rischio reale di una amputazione delle relazioni familiari tra la prima ricorrente e i suoi figli.
216. Di conseguenza, la Corte considera che le autorità non hanno dato prova della prudenza e della vigilanza richieste in un contesto così delicato e difficile, in pregiudizio dei diritti della prima ricorrente, ma anche dei superiori interessi dei suoi figli. Quindi, nelle circostanze esposte sopra, il collocamento ininterrotto fino ad oggi dei bambini presso il « Forteto » non si concilia con le esigenze dell’articolo 8 della Convenzione.
4. La situazione della seconda ricorrente
a) Tesi dei comparenti
i. La seconda ricorrente
217. La seconda ricorrente allega in primo luogo che l’articolo 12 della legge n° 184 del 1983, che privilegia il collocamento presso i prossimi congiunti di cui sia nota la residenza, sarebbe stato ignorato poiché la possibilità di affidare i bambini alla loro nonna non sarebbe mai stata presa in considerazione. A questo riguardo, sottolinea che fino al 1992 ella ha vissuto con G., con il quale afferma di avere relazioni eccellenti.
218. Fa valere, poi, che per conformarsi alle indicazioni del tribunale, si è trasferita in Italia, dove abita non con sua figlia , ma in un proprio appartamento. Nonostante questo, le autorità le rifiutano comunque la loro fiducia poiché non la considerano indipendente dalla figlia.
ii. Il governo italiano
219. Il governo italiano, che non contesta che le relazioni tra la seconda ricorrente e i suoi nipoti rientrino nel campo di applicazione del diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’articolo 8, fa valere che le autorità hanno bene esaminato le domande della seconda ricorrente ed hanno previsto una ripresa graduale dei rapporti tra i bambini e la loro nonna. Dato ciò, gli ultimi avvenimenti, in particolare il ritardo con il quale la seconda ricorrente ha ripreso i contatti con i servizi sociali dopo l’annullamento del primo incontro preparatorio, attestano, secondo il Governo, la poca premura di quest’ultima a occuparsi effettivamente dei bambini. Il Governo invoca, peraltro, riferendosi alle spiegazioni dei servizi sociali, la necessità di accordare la priorità alla preparazione degli incontri con la madre.
iii. La Commissione
220. La Commissione ha ritenuto che la decisione delle autorità di non dare seguito alla domanda della seconda ricorrente tendente all’ottenimento dell’affidamento dei bambini si basi su motivi pertinenti, in particolare sull’inopportunità che le autorità competenti perdano ogni controllo diretto sulla situazione dei bambini. La Commissione, inoltre, ha qualificato il comportamento della seconda ricorrente come incoerente.
b) Valutazione della Corte
221. La Corte nota, in primo luogo, che non è contestato che le questioni relative alle relazioni tra la seconda ricorrente e i suoi nipoti siano coperte dall'articolo 8 della Convenzione. Essa ricorda, del resto, a questo riguardo che la « vita familiare » ai sensi dell'articolo 8 congloba per lo meno i rapporti tra prossimi congiunti, i quali possono avervi un ruolo considerevole, per esempio tra nonni e nipoti. Il « rispetto » della vita familiare così estesa implica, per lo Stato, l’obbligo di agire in maniera da permettere il normale sviluppo di questi rapporti » (sentenza Marckx c. Belgio del 13 giugno 1979, serie A n° 31, p. 21, § 45).
222. Riguardo alla domanda della seconda ricorrente tesa ad ottenere l’affidamento dei bambini, la Corte rileva che l’articolo 12 della legge n° 184 del 1983 privilegia il collocamento presso i parenti prossimi della famiglia di cui sia nota la residenza. La Corte nota, tuttavia, che gli elementi scaturenti dal fascicolo di causa mettono in evidenza le rilevanti difficoltà che ha la seconda ricorrente ad occuparsi effettivamente dei bambini : ella non ha dato prova di disponibilità a seguire un primo programma di preparazione di incontri con i bambini in ragione della distanza dal suo luogo di residenza in Belgio (paragrafo 75 sopra) ; dopo essersi sistemata in Italia è dovuta ritornare in Belgio, nel corso dell’autunno 1999, per risolvere dei problemi amministrativi legati all’indennità d’invalidità che percepisce per il figlio handicappato, sempre a suo carico (paragrafi 110 e 111 sopra) ; infine, nel febbraio 2000, sarebbe stata ricoverata a causa di disturbi cardiaci (paragrafo 112 sopra). Peraltro, è difficile attribuire un peso decisivo al fatto che il maggiore dei bambini sarebbe vissuto con la nonna nel 1992, data la giovane età del bambino a quell’epoca e l’assenza di elementi che attestino l’esistenza di uno stretto e continuo rapporto con la seconda ricorrente da allora. Di conseguenza la Corte considera che la decisione delle autorità di non affidare i bambini alla seconda ricorrente si fondi su dei motivi pertinenti, anche dopo la sistemazione , d’altronde interrotta, della seconda ricorrente in Italia.
223. Quanto agli incontri tra la seconda ricorrente e i bambini, la Corte nota che l’atteggiamento della nonna si è da subito caratterizzato per una certa incoerenza. Come ha osservato la Commissione, è difficile comprendere perché la seconda ricorrente abbia rifiutato ogni attività di preparazione prima di rivedere i bambini, allegando la distanza dal suo luogo di residenza, mentre aveva chiesto di incontrarli almeno due volte a settimana.
224. In seguito, malgrado la decisione del tribunale per i minorenni di Firenze del 22 dicembre 1998, che prevedeva l’inizio degli incontri tra la seconda ricorrente e i bambini prima del 15 marzo 1999 dopo un programma di programmazione divenuto ormai possibile in seguito al suo stabilimento in Italia, la seconda ricorrente non si è più fatta vedere e si è limitata ad attendere di essere convocata dai servizi sociali, anche dopo la scadenza del termine fissato dal tribunale. Ancora, ella non ha ritenuto necessario avvertire le autorità dei suoi trasferimenti in Belgio, di modo che le due convocazioni inviate dai servizi sociali, certo tardive, non hanno potuto avere buon esito.
225. Benchè la Corte giudichi poco convincente la spiegazione avanzata dal Governo per giustificare il ritardo nella attuazione della decisione del tribunale concernente la seconda ricorrente, riferendosi il Governo alla necessità per i servizi sociali di concentrare le loro energie sulla preparazione degli incontri con la prima ricorrente, ritiene che la seconda ricorrente non abbia giustificato in modo pertinente la sua inerzia dopo la scadenza del termine, e neanche il fatto di non avere segnalato alle autorità competenti i suoi trasferimenti in Belgio.
226. Agli occhi della Corte, la condotta della seconda ricorrente testimonia la poca sollecitudine di quest’ultima a volere rivedere i nipoti, ciò che è tale da controbilanciare il ritardo delle autorità.
227. Avuto riguardo alle considerazioni che precedono, la Corte conclude che non vi è stata violazione dell’articolo 8 quanto alla seconda ricorrente.
D. Sulla applicazione degli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione
228. Le ricorrenti non hanno riproposto davanti alla Corte le loro doglianze relative agli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione in ragione, rispettivamente, dei ritardi nell’esame dei loro ricorsi da parte delle giurisdizioni interne e di un preteso trattamento discriminatorio.
229. Nel suo rapporto la Commissione ha ritenuto che nelle circostanze del presente caso, in particolare avuto riguardo al fatto che il ricorso del 3 dicembre 1997 non aveva ricevuto all’epoca del suo rapporto alcun seguito concreto, la doglianza relativa all’ambito dell’articolo 6 § 1 circa la durata del procedimento deve essere considerata assorbita dalle questioni che si riferiscono all’articolo 8 della Convenzione. Quanto all’articolo 14, la Commissione ha ritenuto che questa disposizione non avesse alcuna incidenza nel caso di specie, poiché le ricorrenti non hanno addotto nessuna situazione propriamente discriminatoria ai sensi di questo articolo.
230. Alla luce delle sue conclusioni sull’articolo 8 della Convenzione, la Corte non vede alcuna ragione per discostarsi dalle conclusioni della Commissione su questo punto e ritiene quindi che nessun’altra questione si pone riguardo a queste disposizioni della Convenzione.
II. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
A. Sulla violazione dell’articolo 3 della Convenzione a causa dei trattamenti ai quali i bambini sarebbero sottoposti all’interno del « Forteto »
231. La prima ricorrente, a nome dei suoi figli, lamenta la violazione dell’articolo 3 della Convenzione a causa del rischio che i suoi bambini siano sottoposti a delle pratiche dubbie all’interno del « Forteto ». Inoltre, il pericolo che i suoi bambini subiscano nuovamente delle violenze di natura pedofila o siano esposti ad un ambiente caratterizzato in passato, almeno quanto a certi membri della cooperativa, da questo tipo di esperienze, sarebbe in sé contrario all’articolo 3.
232. Ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione,
« Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti. »
233. Il Governo sottolinea in particolare che nessun elemento del fascicolo di causa prova che i due responsabili in questione, o altri membri o ospiti della comunità, attualmente si dedichino ad abusi o a maltrattamenti sui figli della prima ricorrente o su altri bambini accolti nell’istituto.
234. Secondo la Commissione, il fascicolo di causa non contiene alcun elemento tangibile atto a provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i bambini siano sottoposti a dei trattamenti contrari all’articolo 3.
235. Nonostante il carattere inquietante di alcune testimonianze presentate dalla prima ricorrente (paragrafi 38-40 sopra), e di cui il Governo non contesta la veridicità, la Corte condivide il parere della Commissione, nella misura in cui da nessun elemento del fascicolo di causa risulta che i bambini siano sottoposti, all’interno del Forteto, a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione. E’ il caso di sottolineare anche che a questo proposito la prima ricorrente non ha presentato alcuna denuncia penale dinanzi alle autorità interne competenti. Pertanto, non vi è stata violazione dell’articolo 3.
B. Sulla violazione dell’articolo 3 della Convenzione a causa dello sgomento provato dalle ricorrenti
236. Nella memoria presentata davanti alla Corte il 3 marzo 1999, le ricorrenti allegano la violazione dell’articolo 3 della Convenzione anche riguardo alle sofferenze e allo sgomento che esse hanno provato a causa della loro situazione considerata nel suo insieme.
237. La Corte rileva che questa doglianza, che non pone in sostanza alcuna questione distinta rispetto a quelle relative all’articolo 8 della Convenzione, non figura, comunque sia, tra quelle accolte dalla Commissione nella sua decisione sulla ricevibilità. Su questo punto vi è dunque preclusione.
III. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DEL PROTOCOLLO ADDIZIONALE N° 1
238. La prima ricorrente infine lamenta il fatto che i suoi figli non beneficiano di una scolarizzazione adeguata e che la loro educazione sembra assicurata unicamente all’interno della comunità. Sostiene che da ciò deriva una violazione dell’articolo 2 del Protocollo addizionale n° 1 alla Convenzione.
239. Secondo questa disposizione,
« Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche. »
240. Il Governo afferma che le allegazioni della prima ricorrente non corrispondono alla realtà, in quanto i bambini vengono seguiti costantemente. Quanto al maggiore dei bambini, il Governo ci tiene, poi, a precisare che una qualche dilazione nella sua scolarizzazione era inevitabile tenuto conto della sua situazione personale delicata e dell’opportunità che il suo reinserimento nell’ambiente scolastico avvenisse gradualmente.
241. La Commissione ha ritenuto che i timori della prima ricorrente non sembrerebbero più fondati dal momento che risulta dal fascicolo di causa che in particolare il maggiore dei bambini è oramai scolarizzato. Il ritardo iniziale sembra peraltro giustificato se si tiene conto della drammatica situazione da cui il bambino era appena uscito.
242. La Corte nota che risulta dal fascicolo di causa che il maggiore dei bambini è stato scolarizzato poco dopo il suo arrivo al « Forteto » (paragrafo 47 sopra). Quanto al minore, che ha appena raggiunto l’età scolare, la Corte nota che egli è infatti scolarizzato in una scuola materna (paragrafo 123 sopra). Peraltro, quanto all’influenza del « Forteto » nella cura e nella educazione dei bambini, la Corte si rifà alle sue conclusioni concernenti la sistemazione dei bambini in quella comunità (paragrafi 201-216 sopra).
243. Pertanto, non vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo addizionale n° 1.
IV. APPLICAZIONE DELL ’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
244. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione :
<<Se la Corte dichiara che vi e stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa>>.
A. Danno
245. La prima ricorrente domanda lire italiane 100.000.000 in riparazione del danno morale. A tale titolo, chiede anche lire italiane 700.000.000 a nome dei suoi figli per il pregiudizio subito da questi. Quest’ultima domanda si basa in particolare sul rimprovero mosso alle autorità di non avere tentato di trovare una collocazione nell’ambito delle relazioni familiari.
246. La prima ricorrente richiede anche lire italiane 300.000.000 nel caso in cui la Corte decidesse che il luogo in cui i bambini sono collocati non è adeguato.
247. Quanto al danno materiale, la prima ricorrente richiede lire italiane 15.000.000 per la perdita del suo vecchio impiego, perdita che attribuisce alle difficoltà derivanti dalla situazione controversa e che l’avrebbero costretta a ripetute assenze dal suo vecchio posto di lavoro.
248. Il Governo convenuto si limita ad allegare l’assenza di prove a sostegno delle domande della prima ricorrente. Sottolinea peraltro il carattere complesso e delicato delle questioni che sorgerebbero da una eventuale sentenza che constatasse la violazione della Convenzione, in particolare davanti al Comitato dei Ministri per ciò che riguarda l’adozione di misure individuali.
249. La Corte sottolinea in primo luogo che in virtù dell’articolo 46 della Convenzione le Parti contraenti si sono impegnate a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono parte, spettando al Comitato dei Ministri controllarne l’esecuzione. Ne deriva in particolare che lo Stato convenuto, riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, è chiamato non solo a versare agli interessati le somme assegnate a titolo di equa soddisfazione, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, all’occorrenza, individuali da adottare nell’ordinamento giuridico interno al fine di porre termine alla violazione constatata dalla Corte e di rimuoverne per quanto possibile le conseguenze (cf., mutatis mutandis, la sentenza Papamichalopoulos e altri c. Grecia del 31 ottobre 1995 (articolo 50) serie A n° 330-B, pp. 58-59, § 34). E’ chiaro inoltre che lo Stato convenuto rimane libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi per adempiere alla sua obbligazione giuridica secondo l’articolo 46 della Convenzione nei limiti della compatibilità di questi mezzi con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte.
250. Quindi, in virtù dell’articolo 41 della Convenzione, lo scopo delle somme accordate a titolo di equa soddisfazione è unicamente quello di accordare una riparazione per i danni subiti dagli interessati nella misura in cui questi costituiscano una conseguenza della violazione che non può essere comunque rimossa.
251. Quanto al danno materiale, la Corte ritiene che la prima ricorrente non abbia portato elementi concreti a sostegno delle proprie allegazioni.
252. Quanto al danno morale, la Corte ritiene che la prima ricorrente ne abbia subito uno a causa del numero insufficiente di incontri organizzati con i figli fino ad oggi, del ritardo con il quale quelli si sono svolti, dell’assenza di spiegazioni riguardanti la scelta delle autorità di collocare i bambini presso il « Forteto », e inoltre per gli ostacoli al riallacciamento dei rapporti derivante dalla condotta delle persone che hanno l’affidamento dei bambini all’interno del « Forteto ». La Corte nota inoltre che dal loro allontanamento, il 9 settembre 1997, quindi da due ani e dieci mesi, la ricorrente non ha visto i bambini che due volte e che nessun altro incontro è stato organizzato dal 9 settembre 1999. Si può ragionevolmente presumere che l’insieme di queste circostanze abbiano provocato in lei uno stato di ansietà e di sofferenza notevole e crescente con il passare del tempo. Decidendo secondo equità, la Corte assegna alla prima ricorrente lire italiane 100.000.000.
253. La Corte ritiene poi che anche i bambini abbiano subito un danno personale. La Corte infatti ha considerato che il rischio crescente di una rottura irreversibile dei legami con la loro madre e il pericolo che il collocamento prolungato al « Forteto » impedisca loro di trovare un giorno una vita familiare al di fuori della comunità non concordano con lo scopo prefisso dalle autorità di salvaguardare gli interessi dei bambini. La Corte ritiene dunque di dovere tenere conto di questo pregiudizio nel riferirsi alla posizione dei bambini in quanto ricorrenti e, decidendo secondo equità, decide di assegnare personalmente a ciascuno dei due la somma di lire italiane 50.000.000 .
B. Costi e spese legali
254. La prima ricorrente chiede il rimborso delle spese processuali e dell’ onorario della perizia nell’ambito dei procedimenti davanti alle giurisdizioni italiane, ossia lire italiane 11.550.000 .
255. La prima ricorrente chiede inoltre lire italiane 121.463.603 per le spese riguardanti il procedimento davanti alla Commissione, poi davanti alla Corte ( ha presentato una parcella). A questo riguardo, l’avvocato della prima ricorrente chiede che l’onorario le venga direttamente corrisposto. A questo scopo, ha presentato un certificato relativo alle spese che la prima ricorrente le ha corrisposto in precedenza, dell’importo di lire italiane 800.000.
256. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
257. Quanto alle spese sostenute davanti alle giurisdizioni interne, la Corte osserva che sebbene almeno una parte delle spese siano state sostenute per fare correggere le varie violazioni dell’articolo 8 della Convenzione, la prima ricorrente non ha presentato alcuna giustificazione a questo riguardo. Vanno quindi respinte le richieste su tale punto.
258. Per quanto riguarda le spese sostenute dinanzi agli organi della Convenzione, la Corte ritiene che il caso presentava un’innegabile complessità. Giudica tuttavia eccessiva la somma richiesta dall’avvocato della prima ricorrente. Decidendo secondo equità e avuto riguardo alla prassi degli organi della Convenzione in materia, ritiene ragionevole la somma di lire italiane 26.250.000 , da cui bisogna dedurre la somma che l’avvocato ha già percepito in precedenza dalla prima ricorrente (lire italiane 800.000) e quelle che le sono già state corrisposte dalla Commissione e poi dalla Corte a titolo di gratuito patrocinio concesso alle ricorrenti, in totale 28 030,75 franchi francesi (ossia lire italiane 7.765.000 ). Quindi, il saldo che rimane da pagare all’avvocato della prima ricorrente, conformemente alla sua richiesta, ammonta a lire italiane 17.685.000 .
C. Interessi moratori
259. Secondo le informazioni di cui dispone la Corte, il tasso di interesse legale applicabile in Italia alla data dell’emanazione della presente sentenza è del 2,5 % annuo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL’UNANIMITA’
1. Respinge l’eccezione preliminare del Governo ;
2. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione a causa della sospesione della potestà genitoriale della prima ricorrente e dell’allontanamento dei suoi figli ;
3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione per il ritardo con il quale si sono svolti gli incontri tra la prima ricorrente e i suoi figli e per la insufficienza del loro numero ;
4. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione a causa della collocazione dei figli della prima ricorrente nella comunità « Il Forteto » ;
5. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione per ciò che riguarda la seconda ricorrente;
6. Dichiara che nessuna diversa questione si pone relativamente agli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione ;
7. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione a causa dei trattamenti ai quali i figli della prima ricorrente sarebbero sottoposti all’interno del « Forteto » ;
8. Dichiara che vi è decadenza per quanto riguarda la lamentela relativa all’articolo 3 della Convenzione a causa delle sofferenze legate alla loro situazione considerata nel suo insieme ;
9. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo addizionale n° 1 alla Convenzione;
10. Dichiara,
a) che lo Stato convenuto deve versare alla prima ricorrente, entro tre mesi, lire italiane 100.000.000 per danno morale ;
b) che lo Stato convenuto deve versare personalmente a ciascun figlio della prima ricorrente, entro tre mesi, la somma di lire italiane 50.000.000 per danno morale ;
c) che lo Stato convenuto deve versare all’avvocato della prima ricorrente, entro tre mesi, la somma di lire italiane 17.685.000 per spese legali ;
d) che lo Stato convenuto deve versare alla prima ricorrente, entro tre mesi, la somma di lire italiane 800.000 per le spese legali anticipate dalla prima ricorrente al proprio avvocato ;
e) che questi importi verranno maggiorati dell’interesse semplice del 2,5 % annuo a partire dalla scadenza del suddetto termine e fino al versamento ;
11. Respinge la richiesta di equa soddisfazione per l’eccedenza.
Redatta in francese e in inglese, poi comunicata per iscritto il 13 luglio 2000 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte
Luzius Wildhaber (Presidente)
Michele De Salvia (Cancelliere)
Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento della Corte, l’esposizione della opinione concordante del giudice B. Zupančič
L.W.
M.S.
OPINION CONCORDANTE DE M. LE JUGE ZUPANČIČ
(Traduction française à paraître ultérieurement)
I fully agree with the judgment in this case. I thought it might be useful, however, to make a few general observations concerning the procedurally idiosyncratic nature of cases such as the one we have decided today.
Cases such as Scozzari and Giunta v. Italy are not paradigmatic legal disputes. They generate specific problems relating to our own doctrine of access to court and to the rule of law itself. Since Olsson v. Sweden and up to the recent case of Nuutinen v. Finland the whole series of Article 8, i.e. family-law, cases have raised specific procedural difficulties. These difficulties are offset mostly, as we shall see, by the non-retrospect nature of judgments in family-law disputes. For example, difficult up-to–the-last-minute developments in the evolving fact-patterns oblige the Court to engage in first instance fact-finding and even in probabilistic assessments.
Legal theory has, to the best of my knowledge, not offered any ready-made solutions to the recurring questions outlined below.
A classic legal dispute has certain procedural characteristics. First, right and remedy are usually interdependent; second, the lawsuit is retrospective, i.e. it usually concerns only past events (facts); third, the polarities of the legal aspects of the dispute must be monocentric, i.e. ultimately there is one question to be decided;fourth, there is a deontological tension between the legally relevant facts and the applicable norm.
The so-called “best interests of the child,” for example, are not specific enough to establish the usual judicial aut-aut monocentric polarity. This, in turn, obliges the court to become involved in polycentric choices, i.e. to assume an active parens patriae role. Moreover, this active involvement of the court is a continuing one, sometimes until the child reaches maturity.
The impartiality, i.e. the passive non-involvement of the court, as well as the respective roles of the parties to the dispute are also predetermined by specific characteristics of family law cases. For example, the passive impartiality of the courts clearly results from the interaction of the two polarised partialities of the parties. In turn, the case is in this sense ripe – I am referring to the ripeness aspect of the justiciability doctrine – once it is focused on one or two essential issues. This focus, while shifting as a mirror image of the burden of proof, is nevertheless fixed in the past, i.e. it is entirely retrospective. The finality of the judgment, which is irrebuttably presumed to be valid (res judicata pro veritate habetur), depends on the pre-existent finality of the facts, i.e. on the judicial retrospective. In the end, implementation, enforcement and execution of the judgement, too, as I pointed out in my dissenting opinion in Nuutinen v. Finland, may be adversely affected.
Furthermore, the choice of the applicable norm hinges on the legally relevant facts (past events) and, vice versa, what facts are legally relevant depends in turn on the choice of the norm. This dialectical process implies a fact pattern that has crystallisedin the past, not one that is constantly changing. The normal truth-finding function of the courts of law is to consider and assess such crystallised facts, rather than to pronounce on people’s future suitability and fitness to perform parental functions, for example. Epistemologically, the law of evidence is predicated on the historical method, not on the assessment of future probabilities.
In both national and international appellate jurisdictions these complications are even more critical. In such cases, the appellate court is faced with more recent events, i.e. events that are subsequent to the decisions of their lower courts. The appellate courts, in other words, are faced with the continuous evolution – improvement or deterioration – of the disrupted family relationship. The appellate court is thereforevolens nolens involved in a fresh appraisal of new facts (questiones facti). It cannot limit itself, as it would normally do, to the fact pattern as established by the lower courts and recorded in the case-file but must, on the contrary, remain receptive to the latest developments. This makes it difficult for an appellate court to limit itself to questions of law (questiones juris).
This puts even the international court of last appeal, although further removed from the direct factual assessment of sensitive relational issues, into the uncomfortable – but inevitable – role of a direct fact-finder. Consequently, the principle of immediacy of fact-finding is affected. Inevitably then, since the appellate court must reach a definable aspect of the case’s complex and continuously evolving fact-pattern, there arises the need for a thoroughly reductive, viz. minimalist, judicial approach.
Also, the right to non-disruption of family life and our own remedy of just satisfaction cannot be in any meaningful sense interdependent. In § 249 we outlined our hope that the Italian State will choose one of the options consistent with our judgment and attempt to remedy, insofar as possible, the tragic situation of the Scozzari family. However, while there are in fact several obvious options at the disposal of the Italian State, none of them has the clear meaning of the usual quid pro quo of the classical restitutio in integrum. The passage of time, when dealing with small children is, irreversible and irremediable.
In the past, I think, the Court has performed a formidable service both in finding wise solutions to individual cases and in establishing general principles and doctrines governing certain aspects of European family law. By virtue of the case-law, it is now largely clear what the rights and obligations of the Contracting States under the European Convention on Human Rights are, or more specifically, what the limits on proportional interference in disrupted family relationships are.
To summarise these principles and doctrines, the ultimum remedium of interference is justified if (a) it is objectively in the best interest of the child, (b) it balances the rights of the parents (and other close relatives) against the best interests of the child and (c) it demonstrably strives to re-establish the parent-child relationship. Needless to say, (d) the right to speedy decisions by the family courts, which derives more from Article 8 of the Convention than from Article 6 § 1[1], is here especially prominent.
The case before us, however, raises two additional issues. The first issue concerns the intensity as well as the continuity of the control which the State authorities are required to exercise over the implementation of their decisions by those to whom they have entrusted the care child. The second issue concerns the parents’ and children’s right to the provision of alternative care that is beyond reproach.
As to the latter issue, it is understood that such an exceedingly grave interference in family life cannot be proportionate unless the alternative care facility imposed by the State is beyond reproach.
Moreover, since the question of the nature of alternative care is usually the subject-matter of a secondary dispute between the parents and the State – arising from the primary judicial decision to interfere in the family life–, this issue merges with the question of continuous access to the courts for parents, children and close relatives.
A State cannot justifiably disrupt the most fundamental human relationship, which is that between parent and child, unless it is willing and able to continue to render judicial decisions going beyond the retrospective res judicata of balanced interference in the life of the family. In a simple divorce case involving a childless couple, the State’s courts may simply establish and declare an end to the relationship and perhaps draw the necessary consequences concerning the dividing-up of property accumulated during its subsistence. If there are children, however, extremely grave and prospective long-term decisions must continually be made concerning their custody. Even if the child is entrusted to one of the two parents, this is already a sphere in which the judgment has no immutable finality.
A fortiori, in a case in which the behaviour of both parents has proved detrimental to the child, the decision cannot be simply to break-up the family. An initial alternative care arrangement followed up by continuous judicial commitment is required of the court. Again, this function of the family court is idiosyncratic, because a dispute of this kind cannot in any sense be deemed as finally resolved – at least not until the child has attained legal maturity. Therefore, if the State does decide to interfere in the natural long-term relationship between parent and child, it must accept that it will have continuing future parens patriae duties and responsibilities.
Historically, the parens patriae legal doctrine was based on the (wrong) assumption that in family-law, civil-commitment and juvenile-delinquency cases the State acts in loco parentis and that, therefore, the conflicting “hostile attitudes”, typical of criminal and even private law, are here replaced by a “friendly attitude” of the State in loco parentis. Legally speaking, there was an irrebuttable presumption of “friendly attitude”. This presumption effectively blocked all further access to the courts.
About thirty years ago, however, the parens patriae doctrine collapsed in a series of constitutional cases in different national jurisdictions. It became legally clear that these wards of the State (children entrusted to State agencies, committed mental patients and juvenile delinquents) found themselves in the worst of both worlds. Due to the “friendly-attitude” presumption, children, mental patients and juvenile delinquents lost the procedural and the substantive guarantees of the law – but did not really receive the treatment and the care of the State. The consequence of that was the resurgence of strict judicial protection – “access to court” in the language of our own case-law – and the departure from the naïve parens patriae ideology.
The case of Scozzari and Giunta v. Italy clearly demonstrates that the State must balance its initial decision to interfere in the family life – against future parens patriaeresponsibilities it has thus assumed.
These responsibilities, more specifically, imply, first, the balancing duty of the family courts. When they consider the possible legal interference in the family relationship, they must be certain that the care imposed by the State will be clearly and demonstrably better than the troubled situation the court is seeking to redress. Second, these ex officio responsibilities of the family courts continue for so long as the basic child-parent relationship, which should be the purpose of the interference, is not re-established. Third, the aggrieved parties must continue to have access to court, i.e. the courts must continue to resolve secondary disputes arising from the primary judicial decision that had interfered with the relationship between parents and children.
In other words, if the State’s courts are, legally or otherwise unable to assume such long-term commitments, they should not interfere.
On the other hand, the courts cannot themselves provide the day-to-day care for the children. This is usually entrusted to social services. However, the social services department to which the courts have entrusted the child, must be under the court’s continuous ex officio supervision.
The strictly judicial power of conflict-resolution – i.e. the power to resolve furtherdisputes arising out of the initial alternative care arrangements – must not be left to psychiatrists, psychologists, social workers, managers of alternative care institutions etc. The alternative custody and care arrangements, while in place, will often generate a series of new conflicts between parents and the welfare authorities. In many other cases decided by this Court it was apparent that welfare authorities have a tendency to arrogate to themselves the arbitrary decision-making power far exceeding their judicially granted authority. Undoubtedly, this problem derives from the non-retrospectivity and other idiosyncrasies of child custody and care cases outlined above. However, the fundamental principle of the rule of law requires that the parents’ and children’s access to court be strictly and continuously maintained.
Too much is at stake here for these grievances to be arbitrarily decided by those authorised only to provide the alternative care. The presumption of their bona fides must remain a rebuttable one, i.e. subject to subsequent legal challenge and uninterrupted access to court. Since this would amount to the so-called khadi-justice, foster parents, social workers, psychologists, psychiatrists, alternative-care institutions etc. cannot be arbiters in situations in which their own decisions are the target of parents’ criticism and grievance.
Procedurally, such disputes are prima facie admissible, if the issues they raise transcend the strictures of judicial decisions establishing the alternative-care arrangements.
This issue goes to the core of the rule of law. The doors of the family court should remain wide open.
1. See Johansen v. Norway, Report of the Commission, 17 January 1995, Reports1996-III, pp. 1023-1024, §§ 106-112.