sentenza 1 aprile 2004

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo CASO  MASELLI contro ITALIA. DECISIONE FINALE  del 01 APRILE  2004  SULLA RICEVIBILITA’ del Ricorso n°  63866/00 . Ammissibilità dell’ esame nel merito della violazione allegata dal ricorrente circa l’articolo 1 del Protocollo addizionale n. 1, alla Convenzione europea dei Diritti Umani, con riferimento all’espropriazione indiretta (accessione invertita per pubblica utilità) di un suo terreno per cui lo stesso ricorrente non ha ricevuto l’intero indennizzo, che pur aveva reclamato nel corso di un processo civile durato dodici anni e non ancora definito neppure in primo grado.

 

La decisione così motiva

(traduzione non ufficiale a cura dell’avv. Maurizio de Stefano)

PRIMA SEZIONE

DECISIONE FINALE

SULLA RICEVIBILITÀ

Del  ricorso  n° 63866/00, presentato  da  Michele MASELLI contro l’Italia

La Corte europea dei diritti Umani (prima sezione), riunitasi il 1° aprile 2004 in una camera composta  dai signori  : C.L. Rozakispresidente,      P. Lorenzen,             G.Bonello,   A. Kovler,      V. Zagrebelsky, E. Steiner,             K. Hajiyev, giudici, e dal sig.  S. Nielsen, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso predetto presentato il 9 marzo 2000,

Vista  decisione parziale del 30 maggio 2002,

Viste  le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,

Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

FATTO

Il  ricorrente , sig. Michele Maselli, è  un cittadino italiano, nato nel  1932 e residente a Castelpagano (Benevento). Egli è  rappresentato davanti alla Corte dall’avv. L. Crisci, avvocato in Benevento. Il governo convenuto è  rappresentato dai suoi  agenti successivamente, rispettivamente signori U. Leanza e I. M. Braguglia, e dal  suo coagente,  F. Crisafulli.

A.  Le circostanze nella fattispecie

I fatti della causa, come sono stati esposti dalle parti, possono essere riassunti come segue.

Il ricorrente era proprietario d’un terreno sito ha Castelpagano (Benevento).

Con una  decisione del 4 marzo 1989, la Giunta regionale approvò il  progetto di costruzione d’una strada ed  autorizzò la comunità montana d’Alto Tammaro (Benevento) ad  indire  una gara d’ appalto  per la realizzazione dell’opera. Quest’ultima scelse il progetto presentato dall’impresa Z.

Il  23 ottobre 1989, il ricorrente diede il  suo consenso scritto per  l’occupazione  di una parte del suo terreno. In  una data non precisata,  circa  3.000  metri quadrati del terreno del ricorrente furono occupati.

Con un provvedimento  del  10 maggio 1990, il sindaco di Castelpagano autorizzò l’occupazione d’urgenza del  terreno per un periodo massimo di due anni, in vista della sua espropriazione per causa di pubblica utilità.

 

Il  19 maggio 1992, il ricorrente incassò la somma di 2.352.000 ITL ha titolo di acconto sull’indennità d'espropriazione, che era  stata provvisoriamente fissata in  4.704.000 ITL.

 

Nel frattempo, con un atto di citazione notificato il  5 maggio 1992, il ricorrente  aveva  proposto un’ azione di risarcimento danni nei confronti della comunità montana  d’Alto Tammaro davanti al tribunale civile di Benevento. 

Egli deduceva che l’occupazione del terreno era abusiva considerato che era iniziata nel 1989, cioè  prima che l’occupazione fosse autorizzata ; inoltre, i lavori di costruzione erano  terminati senza che si fosse proceduto all’espropriazione formale del terreno ed al  pagamento dell’ intera  indennità.

La trattazione della causa  cominciò il  12 giugno  1992.

Il  3 marzo 1995, una relazione tecnica fu depositata in cancelleria. Secondo il perito, tenuto conto del  valore venale del terreno nell’ottobre 1989, il ricorrente aveva diritto ad un risarcimento di 22.099.000 di lire italiane (ITL).

Una seconda perizia  fu depositata  in cancelleria il  22 maggio 1998. Secondo quest’ultima, la somma da versare al ricorrente era di 16.930.212 ITL , conformemente alla legge no 662 de 1996.

La procedura è attualmente pendente in primo grado.

Nel frattempo, il  7 luglio 1995, un decreto d’espropriazione, completo  di una offerta d’indennità, era  stato  notificato al ricorrente. Con  un atto notificato il  2  agosto  1995, il ricorrente aveva impugnato l’ammontare offerto presentando opposizione davanti alla Corte d’appello di Napoli.  Quest’ultima sospese la procedura , ritenendo che era opportuno attendere l’esito della  procedura di risarcimento danni che era stata precedentemente promossa  davanti al tribunale di Benevento.

B.    Il diritto e la prassi interna pertinenti

i. L'occupazione d'urgenza d'un terreno

Nel  diritto italiano, la procedura accelerata  d'espropriazione permette all'amministrazione d'occupare e di costruire prima dell'espropriazione. Dopo che è stata dichiarata di pubblica utilità l'opera da realizzare ed adottato il progetto di costruzione, l'amministrazione può decretare l'occupazione d'urgenza delle zone da espropriare per una durata determinata non superiore a cinque anni (articolo 20 della legge no 865 del 1971). Questo decreto decade  se l'occupazione materiale del terreno non ha luogo entro i tre mesi successivi alla sua promulgazione. Dopo il  periodo d'occupazione, deve essere adottato  un decreto d'espropriazione formale.

L'occupazione autorizzata  d'un terreno dà  diritto ad una indennità d'occupazione. Con la sentenza no 470 del 1990, la Corte costituzionale ha riconosciuto un diritto d'accesso immediato ad   un tribunale per reclamare l'indennità d'occupazione da quando il  terreno è materialmente occupato, senza bisogno  d'attendere che l'amministrazione proceda ad una offerta d'indennità.

ii. Il principio dell'espropriazione indiretta (occupazione acquisitiva o accessione invertita)

Negli anni ‘70, molte  amministrazioni locali procedettero a delle  occupazioni d'urgenza di terreni, a cui non seguirono  decreti d'espropriazione. Le giurisdizioni italiane si trovarono di fronte a dei casi in cui il proprietario d'un terreno ne aveva perduto de facto la disponibilità in ragione  dell'occupazione e dell’espletamento dei lavori di costruzione d'una opera pubblica.

Sulla questione di sapere se, per il semplice effetto dei  lavori effettuati, l'interessato aveva perduto parimenti  la proprietà del terreno, con una sentenza no 1464 del 16  febbraio  1983, la Corte di cassazione diede  una risposta affermativa a questa questione, stabilendo così il principio del « l'espropriazione indiretta ».

Una rassegna  di questa giurisprudenza negli anni  80-90 figura in  Belvedere Alberghiera srl c. Italia, no 31524/96, CEDH 2000-IV e Carbonara e Ventura c. Italia, no24638/94, CEDH 2000-VI.

Il  Decreto del Presidente della Repubblica  no 327 del 8 giugno 2001, modificato dal  Decreto legislativo no 302 del 27 dicembre 2002, entrato in  vigore il  30 giugno 2003 e denominato « Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità » (di seguito « il Testo unico  »), disciplina  la procedura d'espropriazione alla luce  dell’ultima  giurisprudenza della Corte di cassazione e, in particolare, codifica il principio dell'espropriazione indiretta. Il Testo Unico, che non ha effetto retroattivo e non  si applica dunque alla presente fattispecie, ha sostituito, a partire dalla sua entrata in vigore, l'insieme della legislazione precedente in materia  d'espropriazione per causa di pubblica utilità.

Con la sentenza  no 5902 del 28 marzo 2003, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è di nuovo pronunciata sul principio dell'espropriazione indiretta,  affermando che un tale principio gioca un ruolo importante nel quadro  del sistema giuridico italiano e che è  compatibile con  la Convenzione (europea n.d.t.). Più specificamente, la Corte di Cassazione ha dichiarato che vista l'uniformità della giurisprudenza in subiecta materia, il principio dell'espropriazione indiretta è ormai pienamente « prevedibile » e dunque deve essere  considerato  come rispettoso  del principio di legalità. Quanto all'indennità, la Corte di Cassazione ha affermato che l'indennità dovuta in caso d'espropriazione indiretta è sufficiente a  garantire un « giusto equilibrio » tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo.

iii. L'indennità in caso d'espropriazione indiretta

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione applicabile in materia  d'espropriazione indiretta, una riparazione integrale, sotto  forma di risarcimento danni per la perdita  del terreno, era dovuta all'interessato in contropartita  della perdita di proprietà conseguente all'occupazione illegale.

La legge finanziaria del 1992 (articolo5 bis del decreto-legge no 333 del 11  luglio 1992) modificò questa giurisprudenza, nel senso che l’ammontare dovuto  in caso d'espropriazione indiretta non  poteva superare l’ammontare dell'indennità prevista  per il  caso d'una espropriazione formale. Tuttavia, con una sentenza  n369 del 1996, la Corte Costituzionale dichiarò questa disposizione incostituzionale.

In virtù  della legge finanziaria no 662 del 1996, che ha  modificato  la disposizione dichiarata incostituzionale, l'indennizzo integrale non  può essere  accordato per una occupazione del terreno avvenuta prima del 30  settembre 1996. In questo caso, l'indennizzo assomma a circa il 55% del valore del terreno.

 

Con la sentenza  no 148 del 30 aprile 1999, la Corte Costituzionale ha ritenuto  una tale indennità compatibile con  la Costituzione. Tuttavia, nella stessa sentenza, la Corte ha precisato che una  indennità integrale, fino alla concorrenza del valore venale del terreno, può essere pretesa quando l'occupazione e la privazione del terreno non sono avvenute per causa di pubblica utilità.

DOGLIANZA

Il ricorrente si duole d'essere  stato privato del suo terreno in  maniera incompatibile con  l'articolo 1 del Protocollo no 1. Egli deduce segnatamente che il suo terreno è stato occupato in  maniera abusiva e che l'opera pubblica è  stata costruita prima ancora del decreto d'occupazione d'urgenza. In  questa situazione, tenuto conto del principio dell'espropriazione indiretta, il ricorrente sostiene di non  avere avuto  modo  di difendere il suo diritto di proprietà e di non avere potuto ottenere la restituzione del bene.

IN DIRITTO

Il ricorrente allega la violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni siccome garantito dall'articolo 1 del Protocollo no 1, che così recita :

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale..

 Le disposizioni precedenti non arrecano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende>>.

 Il  Governo osserva che nel 1989, il ricorrente ha prestato il suo consenso scritto all’occupazione del suo terreno. Successivamente, nel 1992, egli  ha negoziato un atto di cessione volontaria, che tuttavia non è stato mai portato a termine. Infine, il ricorrente ha ricevuto un acconto  sull'indennità d'espropriazione.

Alla luce  di queste considerazioni, il Governo sostiene che  il ricorrente non  può considerarsi vittima d'una violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1 e chiede alla Corte di rigettare  la doglianza del ricorrente.

Il ricorrente s'oppone alla tesi del Governo.

Egli fa rilevare in primo luogo che il consenso per l'occupazione del terreno è  stato dato da  lui prima dell’inizio della procedura d'espropriazione ; visti gli sviluppi ulteriori di questa, questo consenso non ha prodotto  alcun effetto.

In secondo luogo, il ricorrente fa  osservare che egli è stato privato della disponibilità del suo terreno fin dal  1989, ancor prima del provvedimento del  10  maggio  1990 con cui il sindaco di Castelpagano autorizzò l'occupazione d'urgenza del terreno, e che  la perdita della disponibilità di quest’ultimo è divenuta  totale con il completamento dei lavori. Tenuto conto dell'impossibilità di ottenere  la restituzione del terreno, egli ha intentato  una azione per risarcimento danni, che  è ancora  pendente. Il ricorrente sottolinea l'illegalità di questa situazione e sostiene che il  giusto equilibrio tra l’interesse generale ed i diritti dell'individuo non è   stato assolutamente rispettato.

La Corte reputa, alla luce del complesso delle argomentazioni delle parti, che  la restante parte del ricorso pone  serie questioni  di fatto e di diritto che non possono essere risolte in questo stadio dell’esame del ricorso, ma necessitano di un  esame nel merito ; ne consegue che la restante parte del ricorso non potrebbe essere dichiarata manifestamente infondata, ai sensi dell'articolo35 § 3 della Convenzione. Alcun altro motivo d'irricevibilità è  stato rilevato.

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,

Dichiara  la restante parte  del ricorso ricevibile, riservando tutti gli argomenti di merito.

         Soren Nielsen (cancellire)

Christos Rozakis  (presidente)

 

 

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo CASO  MASELLI contro ITALIA 
DECISIONE PARZIALE del 30 maggio 2002  SULLA RICEVIBILITA’ del Ricorso n°  63866/00

   

Non ammissibilità dell’ esame nel merito, della violazione allegata dal ricorrente circa il termine non ragionevole di durata di un processo civile (articolo 6 della Convenzione),    a seguito del mancato esperimento della procedura di cui alla legge italiana del 24 marzo 2001 n. 89, "legge Pinto",  entrata in vigore dopo la presentazione del ricorso alla Corte Europea, ma prima della decisione sulla ricevibilità da parte della stessa Corte (la lite aveva per oggetto l’indennizzo dovuto per l’espropriazione indiretta di un suo terreno).

La decisione così motiva

(traduzione non ufficiale a cura dell’avv. Maurizio de Stefano)

PRIMA SEZIONE

DECISIONE PARZIALE

SULLA RICEVIBILITÀ

Del  ricorso  n° 63866/00,  di  Michele MASELLI contro l’Italia.

La Corte europea dei diritti Umani (prima sezione), riunitasi il 30 maggio 2002 in una camera composta  da, C.L. Rozakispresidente, F. Tulkens, P. Lorenzen, N. Vajić,  E.Levits, S. Botoucharova, V. Zagrebelsky, giudici,

e dal sig. E. Fribergh, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso predetto presentato il 9 marzo 2000 e registrato il  15 dicembre 2000,

Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

FATTO

Il  ricorrente è  un cittadino italiano, nato nel  1932 e residente ha Castelpagano (Benevento). Egli è  rappresentato davanti alla Corte dall’avv. L. Crisci, avvocato in Benevento.

 

A.  Le circostanze nella fattispecie

I fatti della causa, come esposti dal ricorrente, possono essere riassunti come segue.

Il ricorrente era proprietario d’un terreno di circa  10.000  metri quadrati sito ha Castelpagano (Benevento).

Con una  decisione del 4 marzo 1989, la Giunta regionale approvò il  progetto di costruzione d’una strada ed  autorizzò la comunità montana d’Alto Tammaro (Benevento) ad  organizzare una gara d’ appalto  per la realizzazione dell’opera. Quest’ultima scelse il progetto presentato dall’impresa Z.

Il  23 ottobre 1989, il ricorrente diede il  suo consenso scritto per  l’occupazione del suo terreno. In  una data non precisata, il terreno del ricorrente fu occupato.

Con un provvedimento  del  10 maggio 1990, il sindaco di Castelpagano autorizzò l’occupazione d’urgenza del  terreno per un periodo massimo di due anni, in vista della sua espropriazione per causa di pubblica utilità.

Con un atto di citazione notificato il  5 maggio 1992, il ricorrente propose un’ azione di risarcimento danni nei confronti della comunità montana  d’Alto Tammaro davanti al tribunale civile di Benevento.  Egli deduceva che l’occupazione del terreno era arbitraria considerato che era iniziata nel 1989, cioè  prima che l’occupazione fosse autorizzata ; inoltre, i lavori di costruzione erano  terminati senza che si fosse proceduto all’espropriazione formale del terreno ed al  pagamento d’una indennità.

La trattazione della causa  cominciò il  12 giugno  1992.

Il  3 marzo 1995, una relazione tecnica fu depositata in cancelleria. Secondo il perito, tenuto conto del  valore venale del terreno nell’ottobre 1989, il ricorrente aveva diritto ad un risarcimento di 22.099.000 di lire italiane (ITL).

In seguito all’entrata in vigore della legge finanziaria n° 662 del 1996, il tribunale dispose una nuova perizia. Quest’ultima  fu depositata  in cancelleria il  22 maggio 1998. Secondo il perito, la somma da versare al ricorrente conformemente ai nuovi criteri introdotti dalla  legge era di 16.930.212 ITL.

La procedura è attualmente pendente in primo grado.

Nel frattempo, il  7 luglio 1995, un decreto d’espropriazione, completo  di una offerta d’indennità, era  stato  notificato al ricorrente. Con  un atto notificato il  2  agosto  1995, il ricorrente aveva impugnato questo  decreto davanti alla Corte d’appello di Napoli.

Tenuto conto che una procedura riguardante la legalità dell’occupazione del terreno era stata precedentemente proposta  davanti al tribunale de Benevento, la Corte d’appello ritenne opportuno attendere l’esito di questa procedura. Di  conseguenza, con  una decisione del 5 luglio 1996, essa ordinò la sospensione del processo.

Con una lettera del 22 maggio 2001, il cancelliere della Corte ha informato il ricorrente dell’entrata in vigore, il 18 aprile 2001, della legge n° 89 del 24 marzo 2001 (di seguito « la legge Pinto »), che ha introdotto nel sistema giudiziario italiano una via di ricorso contro la lentezza eccessiva delle procedure giudiziarie. Il ricorrente, contestualmente è stato invitato a proporre subito la doglianza fondata sulla durata della procedura  davanti alle giurisdizioni nazionali.

Con  una lettera pervenuta  in cancelleria il  17 agosto 2001, il ricorrente ha indicato che egli non desiderava avvalersi del ricorso offerto dalla legge Pinto.

B.  Il  diritto interno pertinente

Il Parlamento italiano ha adottato, il 24 marzo 2001, la legge Pinto, che , nel  suo articolo 2, prevede che  «Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del “termine ragionevole” di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione. »

Ai sensi dell’articolo 3 della legge, la domanda di equa riparazione deve essere  depositata davanti la Corte d’appello in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale, ha giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata. La Corte d’appello pronuncia, entro quattro mesi dal deposito del ricorso, una decisione contro  cui è  ricorrere in cassazione. Il decreto è immediatamente esecutivo.

Ai sensi dell’articolo 4 di questa legge, la domanda di equa riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, ha pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva.

L’articolo 6 (Norme transitorie) dispone :

<< Nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, coloro i quali abbiano già tempestivamente presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del “termine ragionevole” di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, possono presentare la domanda di cui all'articolo 3 della presente legge qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità da parte della predetta Corte europea. In tal caso, il ricorso alla corte d'appello deve contenere l'indicazione della data di presentazione del ricorso alla predetta Corte europea.>>.

La cancelleria del giudice adito informa senza ritardo il Ministero degli affari esteri di tutte le domande presentate ai sensi dell'articolo 3 nel termine di cui al comma 1 del presente articolo. »

Con  un decreto-legge del  12 ottobre 2001, n° 370, il  Governo ha prorogato il termine per adire le corti d’appello al 18 aprile 2002.

DOGLIANZE

1.  Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente si duole della durata della procedura.

2.  Il ricorrente si duole d’essere stato privato del suo terreno in maniera incompatibile con  l’articolo 1 del Protocollo n° 1. Egli eccepisce segnatamente che il suo terreno è stato occupato in maniera abusiva e che l’opera pubblica è stata costruita prima ancora del  decreto d’occupazione d’urgenza. In questa situazione, tenuto conto del principio dell’espropriazione indiretta, il ricorrente sostiene di non  avere avuto  modo  di difendere il suo diritto di proprietà per  esigere  la restituzione del bene ; egli ha potuto soltanto reclamare i danni.

IN DIRITTO

1.  Il ricorrente si duole della durata della procedura che egli ha promosso  davanti al tribunale di Benevento.  Egli invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti, si legge testualmente :

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) che deciderà (…) delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)”

La Corte deve dapprima determinare se il ricorrente ha esaurito, conformemente all’articolo 35 § 1 della Convenzione, le vie  di ricorso che erano a lui disponibili nel diritto italiano.

La Corte ricorda che, nei recenti casi (Brusco c. Italia (decisione), n° 69789/01, 6.9.2001, da pubblicare in CEDH 2001 ; Di Cola c. Italia (decisione), n° 44897/98, 11.10.2001 ; Colacrai c. Italia (decisione), n° 63296/00, 29.11.2001), essa ha ritenuto che il  rimedio  introdotto dalla legge Pinto è accessibile e che nulla consente ad oggi di dubitare della sua efficacia.

Per di più, la Corte ha considerato che stante la natura della legge Pinto e del contesto in cui essa è intervenuta, è giustificato  fare una eccezione al principio generale secondo cui la condizione dell’esaurimento deve essere valutata al momento dell’introduzione del ricorso.

Alla luce di quanto  precede, la Corte ritiene  che il ricorrente era tenuto, ai sensi  dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, di adire  la Corte d’appello con una domanda ai sensi degli articoli 3 e 6 della legge Pinto. Non si potrebbe ravvisare, peraltro, alcuna circostanza eccezionale idonea ha dispensarlo dall’obbligo di esaurire le vie  di ricorso interne.

Ne consegue  che questa parte del ricorso  deve essere rigettata  per non-esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

2.  Il ricorrente allega la violazione del suo diritto al rispetto  dei beni siccome  garantito dall’articolo 1 del Protocollo n° 1, che è così formulato :

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale..

 Le disposizioni precedenti non arrecano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende>>.

Allo stato attuale del fascicolo, la Corte non si ritiene pronta a pronunciarsi  sulla ricevibilità di questa doglianza e giudica  necessario  comunicare questa parte del ricorso al governo convenuto per osservazioni scritte conformemente all’articolo 54 § 3 b) del suo Regolamento.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Aggiorna l’esame della doglianza del ricorrente fondata sull’articolo 1 del Protocollo n° 1 ;

Dichiara  il ricorso  irricevibile per il surplus.