Corte Europea dei Diritti dell’Uomo CASO MASELLI contro ITALIA. DECISIONE FINALE del 01 APRILE 2004 SULLA RICEVIBILITA’ del Ricorso n° 63866/00 . Ammissibilità dell’ esame nel merito della violazione allegata dal ricorrente circa l’articolo 1 del Protocollo addizionale n. 1, alla Convenzione europea dei Diritti Umani, con riferimento all’espropriazione indiretta (accessione invertita per pubblica utilità) di un suo terreno per cui lo stesso ricorrente non ha ricevuto l’intero indennizzo, che pur aveva reclamato nel corso di un processo civile durato dodici anni e non ancora definito neppure in primo grado. |
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La decisione così motiva (traduzione non ufficiale a cura dell’avv. Maurizio de Stefano) PRIMA SEZIONE DECISIONE FINALE SULLA RICEVIBILITÀ Del ricorso n° 63866/00, presentato da Michele MASELLI contro l’Italia La Corte europea dei diritti Umani (prima sezione), riunitasi il 1° aprile 2004 in una camera composta dai signori : C.L. Rozakis, presidente, P. Lorenzen, G.Bonello, A. Kovler, V. Zagrebelsky, E. Steiner, K. Hajiyev, giudici, e dal sig. S. Nielsen, cancelliere di sezione, Visto il ricorso predetto presentato il 9 marzo 2000, Vista decisione parziale del 30 maggio 2002, Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente, Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione: FATTO Il ricorrente , sig. Michele Maselli, è un cittadino italiano, nato nel 1932 e residente a Castelpagano (Benevento). Egli è rappresentato davanti alla Corte dall’avv. L. Crisci, avvocato in Benevento. Il governo convenuto è rappresentato dai suoi agenti successivamente, rispettivamente signori U. Leanza e I. M. Braguglia, e dal suo coagente, F. Crisafulli. A. Le circostanze nella fattispecie I fatti della causa, come sono stati esposti dalle parti, possono essere riassunti come segue. Il ricorrente era proprietario d’un terreno sito ha Castelpagano (Benevento). Con una decisione del 4 marzo 1989, la Giunta regionale approvò il progetto di costruzione d’una strada ed autorizzò la comunità montana d’Alto Tammaro (Benevento) ad indire una gara d’ appalto per la realizzazione dell’opera. Quest’ultima scelse il progetto presentato dall’impresa Z. Il 23 ottobre 1989, il ricorrente diede il suo consenso scritto per l’occupazione di una parte del suo terreno. In una data non precisata, circa 3.000 metri quadrati del terreno del ricorrente furono occupati. Con un provvedimento del 10 maggio 1990, il sindaco di Castelpagano autorizzò l’occupazione d’urgenza del terreno per un periodo massimo di due anni, in vista della sua espropriazione per causa di pubblica utilità.
Il 19 maggio 1992, il ricorrente incassò la somma di 2.352.000 ITL ha titolo di acconto sull’indennità d'espropriazione, che era stata provvisoriamente fissata in 4.704.000 ITL.
Nel frattempo, con un atto di citazione notificato il 5 maggio 1992, il ricorrente aveva proposto un’ azione di risarcimento danni nei confronti della comunità montana d’Alto Tammaro davanti al tribunale civile di Benevento. Egli deduceva che l’occupazione del terreno era abusiva considerato che era iniziata nel 1989, cioè prima che l’occupazione fosse autorizzata ; inoltre, i lavori di costruzione erano terminati senza che si fosse proceduto all’espropriazione formale del terreno ed al pagamento dell’ intera indennità. La trattazione della causa cominciò il 12 giugno 1992. Il 3 marzo 1995, una relazione tecnica fu depositata in cancelleria. Secondo il perito, tenuto conto del valore venale del terreno nell’ottobre 1989, il ricorrente aveva diritto ad un risarcimento di 22.099.000 di lire italiane (ITL). Una seconda perizia fu depositata in cancelleria il 22 maggio 1998. Secondo quest’ultima, la somma da versare al ricorrente era di 16.930.212 ITL , conformemente alla legge no 662 de 1996. La procedura è attualmente pendente in primo grado. Nel frattempo, il 7 luglio 1995, un decreto d’espropriazione, completo di una offerta d’indennità, era stato notificato al ricorrente. Con un atto notificato il 2 agosto 1995, il ricorrente aveva impugnato l’ammontare offerto presentando opposizione davanti alla Corte d’appello di Napoli. Quest’ultima sospese la procedura , ritenendo che era opportuno attendere l’esito della procedura di risarcimento danni che era stata precedentemente promossa davanti al tribunale di Benevento. B. Il diritto e la prassi interna pertinenti i. L'occupazione d'urgenza d'un terreno Nel diritto italiano, la procedura accelerata d'espropriazione permette all'amministrazione d'occupare e di costruire prima dell'espropriazione. Dopo che è stata dichiarata di pubblica utilità l'opera da realizzare ed adottato il progetto di costruzione, l'amministrazione può decretare l'occupazione d'urgenza delle zone da espropriare per una durata determinata non superiore a cinque anni (articolo 20 della legge no 865 del 1971). Questo decreto decade se l'occupazione materiale del terreno non ha luogo entro i tre mesi successivi alla sua promulgazione. Dopo il periodo d'occupazione, deve essere adottato un decreto d'espropriazione formale. L'occupazione autorizzata d'un terreno dà diritto ad una indennità d'occupazione. Con la sentenza no 470 del 1990, la Corte costituzionale ha riconosciuto un diritto d'accesso immediato ad un tribunale per reclamare l'indennità d'occupazione da quando il terreno è materialmente occupato, senza bisogno d'attendere che l'amministrazione proceda ad una offerta d'indennità. ii. Il principio dell'espropriazione indiretta (occupazione acquisitiva o accessione invertita) Negli anni ‘70, molte amministrazioni locali procedettero a delle occupazioni d'urgenza di terreni, a cui non seguirono decreti d'espropriazione. Le giurisdizioni italiane si trovarono di fronte a dei casi in cui il proprietario d'un terreno ne aveva perduto de facto la disponibilità in ragione dell'occupazione e dell’espletamento dei lavori di costruzione d'una opera pubblica. Sulla questione di sapere se, per il semplice effetto dei lavori effettuati, l'interessato aveva perduto parimenti la proprietà del terreno, con una sentenza no 1464 del 16 febbraio 1983, la Corte di cassazione diede una risposta affermativa a questa questione, stabilendo così il principio del « l'espropriazione indiretta ». Una rassegna di questa giurisprudenza negli anni 80-90 figura in Belvedere Alberghiera srl c. Italia, no 31524/96, CEDH 2000-IV e Carbonara e Ventura c. Italia, no24638/94, CEDH 2000-VI. Il Decreto del Presidente della Repubblica no 327 del 8 giugno 2001, modificato dal Decreto legislativo no 302 del 27 dicembre 2002, entrato in vigore il 30 giugno 2003 e denominato « Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità » (di seguito « il Testo unico »), disciplina la procedura d'espropriazione alla luce dell’ultima giurisprudenza della Corte di cassazione e, in particolare, codifica il principio dell'espropriazione indiretta. Il Testo Unico, che non ha effetto retroattivo e non si applica dunque alla presente fattispecie, ha sostituito, a partire dalla sua entrata in vigore, l'insieme della legislazione precedente in materia d'espropriazione per causa di pubblica utilità. Con la sentenza no 5902 del 28 marzo 2003, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è di nuovo pronunciata sul principio dell'espropriazione indiretta, affermando che un tale principio gioca un ruolo importante nel quadro del sistema giuridico italiano e che è compatibile con la Convenzione (europea n.d.t.). Più specificamente, la Corte di Cassazione ha dichiarato che vista l'uniformità della giurisprudenza in subiecta materia, il principio dell'espropriazione indiretta è ormai pienamente « prevedibile » e dunque deve essere considerato come rispettoso del principio di legalità. Quanto all'indennità, la Corte di Cassazione ha affermato che l'indennità dovuta in caso d'espropriazione indiretta è sufficiente a garantire un « giusto equilibrio » tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo. iii. L'indennità in caso d'espropriazione indiretta Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione applicabile in materia d'espropriazione indiretta, una riparazione integrale, sotto forma di risarcimento danni per la perdita del terreno, era dovuta all'interessato in contropartita della perdita di proprietà conseguente all'occupazione illegale. La legge finanziaria del 1992 (articolo5 bis del decreto-legge no 333 del 11 luglio 1992) modificò questa giurisprudenza, nel senso che l’ammontare dovuto in caso d'espropriazione indiretta non poteva superare l’ammontare dell'indennità prevista per il caso d'una espropriazione formale. Tuttavia, con una sentenza no 369 del 1996, la Corte Costituzionale dichiarò questa disposizione incostituzionale. In virtù della legge finanziaria no 662 del 1996, che ha modificato la disposizione dichiarata incostituzionale, l'indennizzo integrale non può essere accordato per una occupazione del terreno avvenuta prima del 30 settembre 1996. In questo caso, l'indennizzo assomma a circa il 55% del valore del terreno.
Con la sentenza no 148 del 30 aprile 1999, la Corte Costituzionale ha ritenuto una tale indennità compatibile con la Costituzione. Tuttavia, nella stessa sentenza, la Corte ha precisato che una indennità integrale, fino alla concorrenza del valore venale del terreno, può essere pretesa quando l'occupazione e la privazione del terreno non sono avvenute per causa di pubblica utilità. DOGLIANZA Il ricorrente si duole d'essere stato privato del suo terreno in maniera incompatibile con l'articolo 1 del Protocollo no 1. Egli deduce segnatamente che il suo terreno è stato occupato in maniera abusiva e che l'opera pubblica è stata costruita prima ancora del decreto d'occupazione d'urgenza. In questa situazione, tenuto conto del principio dell'espropriazione indiretta, il ricorrente sostiene di non avere avuto modo di difendere il suo diritto di proprietà e di non avere potuto ottenere la restituzione del bene. IN DIRITTO Il ricorrente allega la violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni siccome garantito dall'articolo 1 del Protocollo no 1, che così recita : “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.. Le disposizioni precedenti non arrecano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende>>. Il Governo osserva che nel 1989, il ricorrente ha prestato il suo consenso scritto all’occupazione del suo terreno. Successivamente, nel 1992, egli ha negoziato un atto di cessione volontaria, che tuttavia non è stato mai portato a termine. Infine, il ricorrente ha ricevuto un acconto sull'indennità d'espropriazione. Alla luce di queste considerazioni, il Governo sostiene che il ricorrente non può considerarsi vittima d'una violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1 e chiede alla Corte di rigettare la doglianza del ricorrente. Il ricorrente s'oppone alla tesi del Governo. Egli fa rilevare in primo luogo che il consenso per l'occupazione del terreno è stato dato da lui prima dell’inizio della procedura d'espropriazione ; visti gli sviluppi ulteriori di questa, questo consenso non ha prodotto alcun effetto. In secondo luogo, il ricorrente fa osservare che egli è stato privato della disponibilità del suo terreno fin dal 1989, ancor prima del provvedimento del 10 maggio 1990 con cui il sindaco di Castelpagano autorizzò l'occupazione d'urgenza del terreno, e che la perdita della disponibilità di quest’ultimo è divenuta totale con il completamento dei lavori. Tenuto conto dell'impossibilità di ottenere la restituzione del terreno, egli ha intentato una azione per risarcimento danni, che è ancora pendente. Il ricorrente sottolinea l'illegalità di questa situazione e sostiene che il giusto equilibrio tra l’interesse generale ed i diritti dell'individuo non è stato assolutamente rispettato. La Corte reputa, alla luce del complesso delle argomentazioni delle parti, che la restante parte del ricorso pone serie questioni di fatto e di diritto che non possono essere risolte in questo stadio dell’esame del ricorso, ma necessitano di un esame nel merito ; ne consegue che la restante parte del ricorso non potrebbe essere dichiarata manifestamente infondata, ai sensi dell'articolo35 § 3 della Convenzione. Alcun altro motivo d'irricevibilità è stato rilevato. Per questi motivi, la Corte, all'unanimità, Dichiara la restante parte del ricorso ricevibile, riservando tutti gli argomenti di merito. Soren Nielsen (cancellire) Christos Rozakis (presidente)
PRIMA SEZIONE DECISIONE PARZIALE SULLA RICEVIBILITÀ Del ricorso n° 63866/00, di Michele MASELLI contro l’Italia. La Corte europea dei diritti Umani (prima sezione), riunitasi il 30 maggio 2002 in una camera composta da, C.L. Rozakis, presidente, F. Tulkens, P. Lorenzen, N. Vajić, E.Levits, S. Botoucharova, V. Zagrebelsky, giudici, e dal sig. E. Fribergh, cancelliere di sezione, Visto il ricorso predetto presentato il 9 marzo 2000 e registrato il 15 dicembre 2000, Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione: FATTO Il ricorrente è un cittadino italiano, nato nel 1932 e residente ha Castelpagano (Benevento). Egli è rappresentato davanti alla Corte dall’avv. L. Crisci, avvocato in Benevento.
A. Le circostanze nella fattispecie I fatti della causa, come esposti dal ricorrente, possono essere riassunti come segue. Il ricorrente era proprietario d’un terreno di circa 10.000 metri quadrati sito ha Castelpagano (Benevento). Con una decisione del 4 marzo 1989, la Giunta regionale approvò il progetto di costruzione d’una strada ed autorizzò la comunità montana d’Alto Tammaro (Benevento) ad organizzare una gara d’ appalto per la realizzazione dell’opera. Quest’ultima scelse il progetto presentato dall’impresa Z. Il 23 ottobre 1989, il ricorrente diede il suo consenso scritto per l’occupazione del suo terreno. In una data non precisata, il terreno del ricorrente fu occupato. Con un provvedimento del 10 maggio 1990, il sindaco di Castelpagano autorizzò l’occupazione d’urgenza del terreno per un periodo massimo di due anni, in vista della sua espropriazione per causa di pubblica utilità. Con un atto di citazione notificato il 5 maggio 1992, il ricorrente propose un’ azione di risarcimento danni nei confronti della comunità montana d’Alto Tammaro davanti al tribunale civile di Benevento. Egli deduceva che l’occupazione del terreno era arbitraria considerato che era iniziata nel 1989, cioè prima che l’occupazione fosse autorizzata ; inoltre, i lavori di costruzione erano terminati senza che si fosse proceduto all’espropriazione formale del terreno ed al pagamento d’una indennità. La trattazione della causa cominciò il 12 giugno 1992. Il 3 marzo 1995, una relazione tecnica fu depositata in cancelleria. Secondo il perito, tenuto conto del valore venale del terreno nell’ottobre 1989, il ricorrente aveva diritto ad un risarcimento di 22.099.000 di lire italiane (ITL). In seguito all’entrata in vigore della legge finanziaria n° 662 del 1996, il tribunale dispose una nuova perizia. Quest’ultima fu depositata in cancelleria il 22 maggio 1998. Secondo il perito, la somma da versare al ricorrente conformemente ai nuovi criteri introdotti dalla legge era di 16.930.212 ITL. La procedura è attualmente pendente in primo grado. Nel frattempo, il 7 luglio 1995, un decreto d’espropriazione, completo di una offerta d’indennità, era stato notificato al ricorrente. Con un atto notificato il 2 agosto 1995, il ricorrente aveva impugnato questo decreto davanti alla Corte d’appello di Napoli. Tenuto conto che una procedura riguardante la legalità dell’occupazione del terreno era stata precedentemente proposta davanti al tribunale de Benevento, la Corte d’appello ritenne opportuno attendere l’esito di questa procedura. Di conseguenza, con una decisione del 5 luglio 1996, essa ordinò la sospensione del processo. Con una lettera del 22 maggio 2001, il cancelliere della Corte ha informato il ricorrente dell’entrata in vigore, il 18 aprile 2001, della legge n° 89 del 24 marzo 2001 (di seguito « la legge Pinto »), che ha introdotto nel sistema giudiziario italiano una via di ricorso contro la lentezza eccessiva delle procedure giudiziarie. Il ricorrente, contestualmente è stato invitato a proporre subito la doglianza fondata sulla durata della procedura davanti alle giurisdizioni nazionali. Con una lettera pervenuta in cancelleria il 17 agosto 2001, il ricorrente ha indicato che egli non desiderava avvalersi del ricorso offerto dalla legge Pinto. B. Il diritto interno pertinente Il Parlamento italiano ha adottato, il 24 marzo 2001, la legge Pinto, che , nel suo articolo 2, prevede che «Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del “termine ragionevole” di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione. » Ai sensi dell’articolo 3 della legge, la domanda di equa riparazione deve essere depositata davanti la Corte d’appello in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale, ha giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata. La Corte d’appello pronuncia, entro quattro mesi dal deposito del ricorso, una decisione contro cui è ricorrere in cassazione. Il decreto è immediatamente esecutivo. Ai sensi dell’articolo 4 di questa legge, la domanda di equa riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, ha pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva. L’articolo 6 (Norme transitorie) dispone : << Nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, coloro i quali abbiano già tempestivamente presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del “termine ragionevole” di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, possono presentare la domanda di cui all'articolo 3 della presente legge qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità da parte della predetta Corte europea. In tal caso, il ricorso alla corte d'appello deve contenere l'indicazione della data di presentazione del ricorso alla predetta Corte europea.>>. La cancelleria del giudice adito informa senza ritardo il Ministero degli affari esteri di tutte le domande presentate ai sensi dell'articolo 3 nel termine di cui al comma 1 del presente articolo. » Con un decreto-legge del 12 ottobre 2001, n° 370, il Governo ha prorogato il termine per adire le corti d’appello al 18 aprile 2002. DOGLIANZE 1. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente si duole della durata della procedura. 2. Il ricorrente si duole d’essere stato privato del suo terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n° 1. Egli eccepisce segnatamente che il suo terreno è stato occupato in maniera abusiva e che l’opera pubblica è stata costruita prima ancora del decreto d’occupazione d’urgenza. In questa situazione, tenuto conto del principio dell’espropriazione indiretta, il ricorrente sostiene di non avere avuto modo di difendere il suo diritto di proprietà per esigere la restituzione del bene ; egli ha potuto soltanto reclamare i danni. IN DIRITTO 1. Il ricorrente si duole della durata della procedura che egli ha promosso davanti al tribunale di Benevento. Egli invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti, si legge testualmente : Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) che deciderà (…) delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)” La Corte deve dapprima determinare se il ricorrente ha esaurito, conformemente all’articolo 35 § 1 della Convenzione, le vie di ricorso che erano a lui disponibili nel diritto italiano. La Corte ricorda che, nei recenti casi (Brusco c. Italia (decisione), n° 69789/01, 6.9.2001, da pubblicare in CEDH 2001 ; Di Cola c. Italia (decisione), n° 44897/98, 11.10.2001 ; Colacrai c. Italia (decisione), n° 63296/00, 29.11.2001), essa ha ritenuto che il rimedio introdotto dalla legge Pinto è accessibile e che nulla consente ad oggi di dubitare della sua efficacia. Per di più, la Corte ha considerato che stante la natura della legge Pinto e del contesto in cui essa è intervenuta, è giustificato fare una eccezione al principio generale secondo cui la condizione dell’esaurimento deve essere valutata al momento dell’introduzione del ricorso. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che il ricorrente era tenuto, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, di adire la Corte d’appello con una domanda ai sensi degli articoli 3 e 6 della legge Pinto. Non si potrebbe ravvisare, peraltro, alcuna circostanza eccezionale idonea ha dispensarlo dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne. Ne consegue che questa parte del ricorso deve essere rigettata per non-esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. 2. Il ricorrente allega la violazione del suo diritto al rispetto dei beni siccome garantito dall’articolo 1 del Protocollo n° 1, che è così formulato : “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.. Le disposizioni precedenti non arrecano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende>>. Allo stato attuale del fascicolo, la Corte non si ritiene pronta a pronunciarsi sulla ricevibilità di questa doglianza e giudica necessario comunicare questa parte del ricorso al governo convenuto per osservazioni scritte conformemente all’articolo 54 § 3 b) del suo Regolamento. Per questi motivi, la Corte, all’unanimità, Aggiorna l’esame della doglianza del ricorrente fondata sull’articolo 1 del Protocollo n° 1 ; Dichiara il ricorso irricevibile per il surplus. |