Paesi Bassi

 


Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)

CASO MILOSEVICH c. PAESI BASSI

DECISIONE del 19 marzo 2002 SULLA RICEVIBILITA’  del Ricorso n°  77631/2001

 

 

·         Pretesa violazione degli articoli : 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza), 6 (diritto ad un equo processo), 10 (libertà di espressione), 13 (diritto ad un ricorso effettivo),  14 (divieto di  discriminazione), a seguito dell’arresto ed alla sua detenzione e per essere sottoposto al procedimento penale attualmente pendente davanti al Tribunale Penale Internazionale  per l’ex-Yugoslavia (TPIY).

·         NON ammissibilità dell’esame nel merito, delle violazioni allegate dal ricorrente.   Mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, per non aver impugnato in appello ed in cassazione la sentenza  del tribunale olandese di primo grado che pure si era dichiarata incompetente a decidere sulla scarcerazione del ricorrente  e lo aveva consegnato al   Tribunale Penale Internazionale  per l’ex-Yugoslavia (TPIY).

  • Rigetto in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

La decisione così motiva

(traduzione non ufficiale a cura del dott. Carlo Corazza)
 

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

SULLA RICEVIBILITA’ DEL

 

Ricorso n. 77631/01

Da parte di Slobodan MILOŠEVIĆ

contro l’Olanda

 

La Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo (Seconda Sezione), riunita il 19 Marzo 2002 in una Camera composta da

            J.-P. CostaPresidente,
                        L. 
Loucaides,
                        C. 
Bîrsan,
                        K. 
Jungwiert,
                        V. 
Butkevych,
                        W. 
Thomassen,
                        A. 
Mularonigiudici,
 e S. D
ollé
 Cancelliere di Sezione     

Con riguardo al ricorso di cui sopra presentato il 20 Dicembre 2001,

Avendo deliberato, decide come segue: 

 

I FATTI 

     Il ricorrente, sig. Slobodan Milošević, è cittadino della Repubblica Federale di Yugoslavia (da ora in avanti “la RFY”), nato nel 1940. Egli è attualmente detenuto nel centro di detenzione delle Nazioni Unite dell’Aja, Olanda ed è rappresentato davanti alla Corte da N.M.P. Steijnen, un avvocato patrocinante in Zeist (Olanda).

A  Circostanze del caso

I)     I  precedenti del caso

    I fatti, come evidenti da pubbliche informazioni e dai documenti presentati dal ricorrente, possono essere riassunti come segue.

   Il ricorrente fu accusato, insieme ad altri, dal procuratore della Corte Penale Internazionale per la ex-Yugoslavia (da ora in avanti “la CPIY”). Il 24 Maggio 1999 un giudice della Camera Giudicante della CPIY, trovando che prima facie vi fossero argomentazioni contro gli indiziati, confermò l’accusa ed emise una richiesta per il loro arresto. Il ricorrente era allora il Presidente della RFY.

    Nel Settembre del 2000 il ricorrente non fu rieletto all’incarico. Il 6 Ottobre 2000 egli si dimise dalla posizione di Presidente della RFY. Fu quindi arrestato con accuse previste dalla legge interna della RFY.

Il 29 Giugno 2001 il ricorrente fu trasferito all’Aja, nonostante la Corte Costituzionale della RFY avesse emesso un ordine di sospensione della sua consegna alla CPIY, in attesa di un esame circa la legalità di questa.

Il 3 Luglio il ricorrente comparve per la prima volta di fronte  alla Camera Giudicante, dove fu formalmente accusato ed invitato a dichiararsi colpevole od innocente. Il ricorrente rifiutò di effettuare una dichiarazione ed affermò che la CPIY era un’istituzione illegale.  Il giudice che presiedeva la Camera  rifiutò di ascoltare le sue argomentazioni. Constatando il rifiuto del ricorrente di effettuare la dichiarazione, la Camera Giudicante presentò ex officio una dichiarazione di non colpevolezza a suo carico. Inoltre essa ordinò il suo rinvio in carcere.

Il 9 Agosto 2001 il ricorrente presentò una mozione preliminare affermando, per quanto è qui rilevante, che la CPIY era illegale.

Ad un colloquio circa la sua condizione il 30 Agosto 2001, il ricorrente tentò di effettuare una dichiarazione orale circa il fatto che la CPIY mancasse di basi legali. Gli fu impedito di farlo dal giudice che presiedeva la Camera, che lo invitò a presentare per iscritto una mozione preliminare. Così fece il ricorrente.

Il 6 Settembre 2001, avendo il ricorrente rifiutato di essere rappresentato davanti al tribunale che egli considerava illegale, la Camera Giudicante designò tre avvocati patrocinanti come amici curiae, per difendere gli interessi del ricorrente. Il 19 Ottobre 2001 gli amici curiae presentarono un riassunto a supporto delle mozioni preliminari del ricorrente del 9 e 30 Agosto.

Il 30 Ottobre, ad un secondo colloquio sul suo stato, la Camera Giudicante prese la decisione orale di rigettare le mozioni preliminari del ricorrente. Gli amici curiaepresentarono una richiesta orale concernente la proposta circa la conduzione del processo. Al ricorrente fu permesso di parlare senza interruzione. Egli affermò che il procuratore della CPIY era influenzato, dal momento che aveva fallito nell’istituire processi in relazione all’intervento militare degli Stati membri della NATO sul territorio della RFY, intervento che aveva avuto atto nel 1999. Egli si lamentò anche delle condizioni nelle quali era detenuto, ed in particolare della mancanza di privacy.

La decisione della Camera Giudicante che rigettava la mozione preliminare del ricorrente, fu pubblicata per iscritto, con motivazioni, l’8 Novembre 2001.

L’accusa del 24 Maggio 2001 è stata rettificata in due   occasioni e due   ulteriori accuse sono state presentate. Il ricorrente ha continuamente rifiutato di dichiarare la sua innocenza o colpevolezza e perciò, sono state presentate delle dichiarazioni in sua vece.

Il 30 Gennaio 2002 si tenne un’udienza davanti alla Camera d’Appello della CPIY, il cui proposito era di decidere se le differenti accuse dovessero essere esaminate in procedimenti separati. Il ricorrente presentò una richiesta per il suo rilascio e promise di comparire ad ogni udienza.

Il 1° Febbraio 2002 la Camera d’Appello della CPIY decise che le tre accuse avrebbero dovuto essere esaminate in un solo procedimento.

Il processo al ricorrente si aprì il 12 Febbraio 2002.

Il 27 Febbraio 2002 fu riferito che il ricorrente aveva reiterato la sua richiesta di rilascio alla Camera Giudicante e che il 6 Marzo 2002 questa era stata rifiutata.

2) Procedimenti davanti al Presidente della Corte          

          Regionale dell’Aja

Il ricorrente presentò un procedimento sommario (kort geding) contro lo Stato olandese davanti al Presidente della Corte Regionale (arrondissementsrechtbank) dell’Aja. Egli richiese un ordine diretto contro lo Stato per il suo rilascio incondizionato; in alternativa, per il suo ritorno nella RFY; o ancora, perché lo Stato effettuasse proteste al “cosiddetto Tribunale” (leggi la CPIY) e agli altri organi ed istituzioni internazionali competenti, ai fini del suo rilascio; in ulteriore alternativa, perché lo Stato effettuasse proteste al “cosiddetto Tribunale” (leggi ancora, la CPIY) ed agli altri organi ed istituzioni competenti per il suo ritorno nella RFY. Egli affermò, essenzialmente, che il suo trasferimento alla CPIY era illegale secondo la legge interna della RFY; che la stessa CPIY era priva di una base di diritto internazionale, essendo stata istituita attraverso una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (vale a dire, la risoluzione no. 827 del 25 Maggio 1993) e non attraverso un trattato multilaterale; che la CPIY era la schiava della NATO e quindi non un tribunale indipendente ed imparziale ai sensi dell’art. 6 della Convenzione; che le azioni del Consiglio di Sicurezza e della CPIY erano discriminatorie; e che egli era titolare d’immunità in quanto ex capo di Stato. Alla luce di tali considerazioni lo Stato olandese stava agendo illegalmente permettendo che egli fosse detenuto e rimanesse in detenzione sul suo territorio.

Un’udienza pubblica fu tenuta il 23 Agosto 2001.

Il Presidente della Corte Regionale emise la sentenza il 31 Agosto 2001. Egli trovò che la CPIY avesse in realtà sufficienti basi legali; che essa offrisse sufficienti garanzie procedurali; come giudicato dalla Corte Europea dei Diritti Umani nella sua decisioneNaletilić  c. Croatia (no. 51891/99, 4 Maggio 2000); e che avendo il Regno dei Paesi Bassi legalmente trasferito la sua giurisdizione circa gli imputati della CPIY alla CPIY stessa, le corti dei Paesi Bassi non fossero competenti a considerare la richiesta di rilascio del ricorrente.

Questi presentò un appello contro tale sentenza, ma lo ritirò di nuovo il 17 gennaio 2002.

    B. Diritto interno rilevante

L’art. 289 § 1 del Codice di Procedura Civile (Wetboek van Burgerlijke Rechtsvordering) afferma che tutti i casi in cui è richiesta una decisione rapida e provvisoriamente applicabile nell’interesse delle parti, devono essere esaminati con procedimenti sommari dal Presidente della Corte Regionale, che dovrà fissare una data d’udienza in un giorno lavorativo.

L’art. 295 consente un appello contro il giudizio del Presidente, presso la Corte d’Appello (gerechtshof), ed un ulteriore appello – sugli aspetti di diritto – presso la Corte Suprema (Hoge Raad).

L’art. 292 afferma che una decisione provvisoriamente esecutiva presa in procedimenti sommari non dovrà pregiudicare il merito del caso.

 

DOGLIANZE

Il ricorrente lamentava, secondo l’art. 5 § 1 della Convenzione, che la sua detenzione sul territorio olandese, con l’attiva connivenza delle autorità dei Paesi Bassi, era priva di basi nel diritto interno olandese, e che la procedura prescritta da questo non era seguita. In aggiunta a ciò egli affermava che, per prima cosa, la creazione della CPIY, in forza della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, era illegale; inoltre che, le modalità del suo trasferimento dalla RFY all’Aja, erano anch’esse illegali; ed infine, che egli godeva d’immunità dalla giurisdizione in quanto ex capo di Stato. Conseguentemente, la cooperazione delle autorità olandesi con la CPIY nella sua detenzione, erano ugualmente illegali.

Egli lamentava, secondo l’art. 5 § 2, le accuse addizionali presentate contro di lui dal Procuratore della CPIY molto dopo il suo primo trasferimento all’Aja.

Il ricorrente lamentava, secondo l’art. 5 § 4 della Convenzione, che gli era stato impedito di contestare la legalità della sua detenzione, dal momento che dalla sua prima comparizione, e quindi conseguentemente a quello stato del dibattimento, non gli era stato permesso di contestare la legalità della stessa CPIY e dal momento che la procedura della CPIY prevedeva soltanto la possibilità di un rilascio “provvisorio”.

Egli lamentava secondo l’art. 6 § 1 della Convenzione che la CPIY non era un “tribunale indipendente ed imparziale istituito dalla legge”. Esso era un corpo sussidiario del Consiglio di Sicurezza creato illegalmente da tale organo. Inoltre, esso era discriminatorio. Ciò era riflesso non solo dalla sua natura di tribunale ad hoc la cui giurisdizione era limitata ratione loci (il territorio della ex Repubblica Socialista Federativa di Yugoslavia) e ratione temporis (dal 1991 in poi), ma anche da quella che egli affermava essere la unilaterale politica di azione del Procuratore della CPIY, di perseguire “principalmente Serbi” – la Corte intende con ciò persone di origine etnica Serba, senza riguardo alcuno alla loro nazionalità – e di permettere che supposti criminali di differenti origini etniche circolassero liberi, ed il suo fallimento di presentare incriminazioni in relazione all’intervento militare da parte degli Stati membri della NATO sul territorio della RFY, avvenuto nel 1999.

Egli lamentava secondo l’art. 6 § 1 della Convenzione che la procedura della CPIY non era “giusta”, come indicato dal fallimento del Procuratore della stessa, nel perseguire i responsabili del summenzionato intervento militare da parte degli Stati membri della NATO. Inoltre, essa riuniva in un solo organo “funzioni amministrative, legislative e giudiziali”, dal momento che essa aveva il potere di fare ed emendare le sue stesse regole e delegava simili poteri al suo Cancelliere. Più genericamente, il ricorrente lamentava che il totale dei difetti allegati impedisce che qualsiasi processo davanti alla CPIY possa essere mai “giusto”.

Egli lamentava secondo l’art. 6 § 2 della Convenzione che lo Statuto della CPIY prescriveva il perseguimento di “persone responsabili” o “persone presunte responsabili” di specifici crimini, con ciò riflettendo una presunzione di colpevolezza ancor prima dell’inizio di un qualche processo.

Egli lamentava secondo l’art. 6 § 3 (c) della Convenzione che la CPIY aveva designato degli “amici curiae” per difendere i suoi interessi, quindi usurpando il suo diritto di difendersi da solo, ed aveva impedito i suoi contatti con un legale di sua scelta.

Egli lamentava secondo l’art. 10 della Convenzione le restrizioni dei suoi contatti con la stampa ed i media.

Egli lamentava secondo l’art. 13 della Convenzione che il solo “rimedio” disponibile contro le altre violazioni che egli allegava, era quello offerto dalla CPIY stessa.

Riferendosi generalmente alle accuse di discriminazione descritte sopra, egli protestava anche secondo l’art. 14 della Convenzione.

DIRITTO

L’Articolo 35 della Convenzione, nella parte relativa, prescrive quanto segue:

“1. La Corte non può essere adita se non dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne, come è inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.”

“4.La Corte respinge ogni ricorso che consideri irricevibile in applicazione del presente articolo. Essa può procedere in tal modo in ogni stato  del procedimento.”

La Corte nota in principio che non è chiaro se tutte le  doglianze furono già presentate anche a livello interno. Nel caso che esse non lo fossero, c’è stata una mancanza di esaurimento dei ricorsi interni disponibili (vedi, fra le molte altre autorità, la sentenza Akdivar e Altri Vs. Turchia, del 19 Settembre 1996, Reports of Judgments and Decisions 1996-IV, p. 1210, § 66).

Nel caso che le doglianze fossero state presentate a livello interno, il ricorrente non ha proseguito fino a conclusione nel suo appello contro la sentenza emessa in forma sommaria il 31 Agosto 2001 dal Presidente della Corte Regionale. Sembra quindi che anche a questo proposito i ricorsi interni non sono stati esauriti.

La questione quindi consiste nel fatto se i ricorsi disponibili per il ricorrente fossero per qualche motivo inadeguati o inefficaci alle particolari circostanze del caso, o se esistano speciali motivi che assolvano il ricorrente dalla necessità di esaurire quegli stessi ricorsi.

Il ricorrente afferma che la sentenza emessa dal Presidente della Corte Regionale dell’Aja, mostra chiaramente che non ci sono ricorsi interni disponibili che siano adeguati ed effettivi. Nella sua richiesta ciò è confermato dal fatto che il Presidente della Corte Regionale ritenne che in quella sentenza la Corte olandese non avesse giurisdizione per prendere in considerazione le sue diverse doglianze.

Comunque, il ricorrente non fece uso delle opportunità offerte dalla legge olandese di ricorrere contro tale pronuncia, egli ritirò il suo appello presso la Corte d’Appello e, facendo ciò, si privò anche della possibilità di presentare un successivo appello sui punti di diritto alla Corte Suprema .

La Corte ripete che l’esistenza di meri dubbi circa le prospettive di successo di un particolare ricorso che non sia ovviamente vano, non è una valida ragione per tralasciare di esaurire i ricorsi interni (vedi, fra le molte altre autorità, la summenzionata sentenza Akdivar e Altri c. Turchia del 16 Settembre 1996, p. 1210, § 66-67; Muazzez Epözdemir c. Turchia (dec.), 31 Gennaio 2002, n. 57039/00; e Allaoui and Others c. Germania (dec.), n. 44911/98, 19 Gennaio 1999).

In tali circostanze la Corte conclude che il caso deve essere rigettato nella sua interezza per non esaurimento dei ricorsi interni, conformemente all’art. 35 § 1 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,

     Dichiara il ricorso irricevibile.

J.-P. Costa 
S. Dollé         
(cancelliere)