Il premio è stato erogato dall’U.D.AI. Unione degli Avvocati d’Italia, nel corso della cerimonia di premiazione tenutasi in BARI, Palazzo di Giustizia, il 20 dicembre duemiladue
La Vincitrice Dott.ssa Annalisa RENZULLI, (nata il 27/01/1976) si è laureata il 31 ottobre 2001, a NAPOLI- Università Federico II, Facoltà di Scienze Politiche, con voti centodieci e lode.
Sintesi della migliore TESI DI LAUREA SUI DIRITTI DELL’UOMO
La tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario
Il tema della protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nell’ordinamento comunitario è stato oggetto di ampio dibattito sin dagli esordi dell’esperienza comunitaria e costituisce, ad oggi, uno dei nodi centrali nel processo di integrazione europea.
Un efficace sistema di garanzia dei diritti dell’individuo, infatti, non solo si rende indispensabile in conseguenza della estensione del raggio d’azione comunitario a settori che incidono profondamente sulle posizioni soggettive dei singoli ed in conseguenza dell’irrisolto problema del deficit di democrazia delle istituzioni comunitarie, ma a fronte dell’allargamento, ormai prossimo, ai Paesi dell’Est-Europa, contribuisce alla creazione di uno spazio comune di valori e principi fondanti l’identità europea da cui i Paesi candidati non potranno evidentemente prescindere.
L’assenza di norme a tutela dei diritti umani nei trattati istitutivi delle Comunità Europee si è ulteriormente aggravata, nel corso degli anni, in seguito al graduale ampliamento delle competenze comunitarie che hanno investito in pieno il soggetto, non più soltanto in quanto homo oeconomicus, ma nella varietà dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni.
Quando, in due diverse sentenze degli anni 1963-64, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha sancito il principio dell’applicabilità diretta del diritto comunitario negli ordinamenti interni degli Stati membri ed il principio del primato della norma comunitaria sulla norma nazionale incompatibile, anche se posteriore o di rango costituzionale, si è reso, allora, maggiormente evidente che il diritto comunitario avrebbe inciso sulle Carte costituzionali nazionali e perciò anche sui diritti inviolabili della persona, sottraendoli al sindacato giurisdizionale delle Corti nazionali e rendendo, di fatto, i cittadini degli Stati membri inermi di fronte all’ipotesi di atti comunitari in violazione dei diritti umani.
Tuttavia, in seguito alle pretese nazionali al controllo giudiziale residuo sulla normativa comunitaria che, in risposta a tale situazione, le Corti costituzionali italiana e tedesca hanno prepotentemente avanzato nel corso degli anni ‘60, minacciando dal di dentro l’integrità stessa dell’ordinamento comunitario, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee si è preoccupata di sopperire all’assenza di un esplicito riconoscimento della tutela dei diritti umani a livello comunitario, inaugurando un nuovo corso giurisprudenziale che riconosceva i diritti fondamentali come parte dei principi generali del diritto comunitario, da individuarsi sulla scorta del duplice riferimento normativo alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri ed alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
D’altro canto, la tutela esclusivamente pretoria dei diritti fondamentali, garantita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, seppur aveva il grandissimo merito di introdurre a livello comunitario una forma di protezione dei diritti fondamentali della persona, lasciava quest’ultima, ancora negli anni ‘80, priva di riferimenti normativi.
Difatti, solo nel 1993, l’art. F del Trattato di Maastricht ha tradotto per la prima volta in norma primaria il principio del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed ha codificato i due pilastri, dei principi costituzionali comuni agli Stati membri e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, intorno ai quali la Corte di Giustizia delle Comunità Europee aveva eretto tutto l’impianto della sua giurisprudenza in materia.
Nel 1997 sarà, invece, il Trattato di Amsterdam ad introdurre l’innovazione più vistosa in tema di diritti umani, affiancando al cit. art.F, due meccanismi sanzionatori: uno, politico, a carico degli Stati membri accusati di una violazione grave e persistente dei diritti fondamentali; l’altro, giurisdizionale, a carico delle istituzioni comunitarie soggette, nelle loro azioni, al giudizio di conformità ai diritti fondamentali da parte della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
Tuttavia, pur rafforzando la dimensione umana del progetto di integrazione europea, il Trattato di Amsterdam lasciava la costruzione europea ancora una volta priva di un “catalogo” puntuale dei diritti umani da tutelare in ambito comunitario e ciò proprio mentre le competenze dell’Unione Europea si espandevano ulteriormente e notevolmente.
In effetti, con il parere 2/94 del 1996, la Corte di giustizia delle Comunità Europee si era espressa negativamente circa l’ipotesi di adesione dell’Unione Europea alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, mandando disilluse le speranze di quanti vi rinvenivano la possibilità di offrire una base sicura di diritto positivo all’opera della stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo, e rilanciando, nel contempo, con straordinario vigore, l’ipotesi di un Bill of Rights, interno alla Comunità, quale soluzione migliore all’annosa questione della tutela dei diritti umani nell’ordinamento comunitario.
Nuovo impulso all’ipotesi di un catalogo dei diritti fondamentali proprio della Comunità venne dal Rapporto del Comitato Simitis, presentato nel 1999, a conclusione del lavoro di approfondimento sull’opportunità ed i limiti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che il gruppo di esperti aveva affrontato su incarico della Commissione Europea.
Le indicazioni del Comitato furono accolte dai Consigli europei di Colonia e Tampere del 1999, in cui capi di Stato e di governo deliberarono la predisposizione di una Carta dei Diritti fondamentali la cui elaborazione sarebbe stata affidata ad un organismo apposito e del tutto innovativo nel panorama istituzionale dell’Unione Europea, lontano dal modello classico della conferenza intergovernativa, ovvero la Convention.
Il prodotto finale dei lavori della Convention era condensato in un documento di 54 articoli, raggruppati attorno ai sei valori fondamentali della dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.
In occasione del Consiglio europeo di Nizza del 7 dicembre 2000, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea veniva, così, solennemente proclamata ad opera del Consiglio, del Parlamento e della Commissione, senza che ad essa fosse conferito valore giuridico vincolante e deferendo alla futura Conferenza intergovernativa del 2004 il problema dell’individuazione del suo status.
Preme, a tal punto, sottolineare che, sebbene parte della dottrina concordi nel riconoscere alla Carta efficacia giuridica nonostante la mancanza di una espressa forza vincolante, in ragione del valore di testo privilegiato di riferimento cui la Corte di Giustizia delle Comunità Europee si richiamerebbe nella sua opera giurisprudenziale di ricostruzione dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il singolo rimane ugualmente privo della possibilità di adire il giudice europeo per lamentare la lesione di un suo diritto fondamentale da parte delle istituzioni comunitarie, la possibilità di ricorso individuale rimanendo prerogativa del sistema della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Da ultimo si vuole ricordare che la Carta di Nizza, ancor prima della sua proclamazione, aveva aperto un vigoroso dibattito sulle riforme costituzionali dell’Unione Europea che aveva attraversato tutte le istituzioni ed i soggetti politici comunitari e nazionali.
Si era fatta strada, cioè, l’idea che essa potesse rappresentare la prima parte di una futura costituzione del popolo unito d’Europa, una sorta di “Magna Charta”, strumento di tutela e di garanzia per i cittadini dell’Unione e, al contempo, manifesto dei valori e delle libertà fondanti la comune identità europea per quei Paesi che dell’Unione aspirassero a divenire membri.
Ne sarebbe risultato come la fonte ultima di legittimità delle istituzioni dell’Unione Europea risieda nei cittadini e come non possa esistere un’identità europea senza un’adesione piena ai valori fondamentali di democrazia e di libertà.
In sostanza, sebbene già all’indomani della sua proclamazione la Carta di Nizza risultasse ridimensionata nel valore giuridico e politico, le tante aspettative che intorno ad essa erano montate non mancarono di evidenziare come un sistema davvero funzionale di garanzia dei diritti dell’individuo nell’ordinamento comunitario non potesse prescindere da un apposito momento sostanzialmente costituente dell’Unione Europea.
BARI, Palazzo di Giustizia 20 dicembre 2002
dott. Annalisa RENZULLI
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