IL DIRITTO DI COMUNICARE E RICEVERE LE INFORMAZIONI E LE IDEE SECONDO IL CONSIGLIO D’EUROPA (Tabella della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla libertà di espressione) |
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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sempre riconosciuto l’importanza cruciale della libertà di espressione e di stampa, che costituisce una delle condizioni preliminari per il buon funzionamento della democrazia. E’ indispensabile esaminare la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo pertinente ad una più completa lettura dell’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[1], che garantisce tale libertà, perché tale giurisprudenza traccia una linea di confine che gli Stati non possono valicare, pena la loro condanna davanti alla stessa Corte Europea ad iniziativa delle vittime, siano essi soggetti privati o gruppi di persone. La Corte Europea si è occupata della libertà dei giornalisti e di qualunque persona, nonché dell’accesso dei privati al servizio pubblico radiotelevisivo, tracciando anche le condizioni, le restrizioni e le limitazioni a questa stessa libertà di espressione giustificate dalle esigenze della democrazia. In aggiunta alla libertà di espressione delle singole persone vi è anche il diritto delle singole persone e della collettività di accedere e di ricevere le informazioni e le idee altrui nel rispetto del pluralismo culturale. Infatti, la libertà di espressione include la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche, e costituisce un fondamento essenziale di una società democratica, una condizione primordiale del suo progresso e dello sviluppo di ogni individuo. La democrazia è indissociabile dal pluralismo, dalla tolleranza e dall'apertura della mente. Prima di esaminare le limitazioni a tale diritto, pur previste nel paragrafo 2 dell’articolo 10 della Convenzione, occorre precisare che la libertà di comunicare e ricevere le informazioni e le idee vale non soltanto per le « informazioni» o « idee » accolte con favore o considerate come inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, scioccano, sconvolgono o inquietano. Una delle principali caratteristiche della democrazia consiste nella possibilità che essa offre di risolvere attraverso il dialogo e senza ricorso alla violenza i problemi che incontra un paese, e ciò anche quando questi problemi possano disturbare il paese. La democrazia si alimenta in effetti con la libertà di espressione, purché tale libertà non costituisca un appello alla violenza, alla rivolta popolare violenta o a qualsiasi altra forma di rigetto o negazione dei principi
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democratici o più esattamente dei valori e degli ideali democratici che sono delineati dal complesso dei principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[1]. Più in generale, sul rispetto dei principi che costituiscono l’essenza della democrazia, occorre ricordare quanto espresso in tema di libertà di propaganda religiosa dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel caso Refah Partisi, Erbakan, Kazan e Tekdal c. Turchia (n° 41340/98 & 41342-4/98), sentenza del 31 luglio 2001. Ivi la Corte ha espressamente negato la compatibilità dei valori della Convenzione con un partito e progetto politico specifico tendente a riaffermare i valori religioso–politici della Shari’a ed a ristrutturare gli stessi principi costituzionali sulla discriminazione nei confronti delle altre credenze religiose. Pertanto, la Corte Europea ha condannato un partito che aveva manifestato una natura religiosa integralista ed intollerante manifestando anche l’intento di ricorrere alla forza al fine di conquistare il potere e di mantenerlo, per imporvi l’applicazione della legge islamica (la Shari’a) così negando i valori della democrazia, i diritti fondamentali della persona e la pace civile[2]. Una correlazione ed un raccordo tra il diritto alla libertà di espressione ed il diritto alla libertà di religione lo rinveniamo nella stessa sentenza nel caso Refah Partisi, Erbakan, Kazan e Tekdal c. Turchia precitata, dove si afferma <<che quando il comportamento incriminato giunge ad un livello elevato di insulto e si congiunge con la negazione della libertà di religione altrui, esso perde perciò stesso il diritto ad essere tollerato dalla società>> richiamando la sentenza resa nel caso Otto-Preminger-Institut c. Austria del 20 settembre 1994, § 47, che a sua volta aveva ritenuto compatibile con l’articolo 10 della Convenzione il sequestro e la confisca d'un film considerato come blasfema dai tribunali austriaci. La Corte Europea ha dedicato particolare attenzione alla tutela dei principali interpreti e protagonisti della libertà di espressione, quali i giornalisti e gli editori di giornali e libri, giungendo persino ad affermare che "la protezione delle fonti giornalistiche e una delle pietre miliari della libertà di stampa ". Ma nei confronti di tutti, privati e professionisti dell’informazione, la Corte Europea ha sempre guardato con molta diffidenza le condanne dei giudici nazionali per il reato di diffamazione, affermando che "...bisogna evitare di scoraggiare i cittadini, con la paura delle sanzioni penali o altre, di pronunciarsi circa i problemi d'interesse pubblico". Tre sono le condizioni richieste dall’articolo 10 della Convenzione, per giustificare l’intervento limitativo dello Stato: l’ingerenza deve essere « prevista dalla legge » , deve perseguire un fine legittimo, quale « la protezione della reputazione o dei diritti altrui » ed infine deve essere « necessaria in una società democratica ». Quest’ultima condizione viene valutata caso per caso dalla Corte Europea al fine di stabilire se l’ingerenza sia stata « proporzionata ai fini legittimi perseguiti » e se i motivi invocati dalle autorità nazionali per giustificarla apparivano « ragionevoli, pertinenti e sufficienti ». L’aggettivo « necessario », ai sensi dell’articolo 10, secondo paragrafo, della Convenzione implica l’esistenza di un « bisogno sociale imperioso ». Gli Stati godono di un certo margine di discrezionalità per giudicare la sussistenza di un tale bisogno, ma questo margine è sempre sottoposto ad un controllo della Corte Europea, sia riguardo alla legge nazionale, che sulle decisioni e sentenze dei giudici nazionali che applicano tale legge , anche quando queste decisioni promanano da un giudice di per sé indipendente. Compete, dunque, alla Corte Europea l’ultima parola per statuire se una « restrizione » imposta dallo Stato nazionale si concilia con la libertà di espressione. Non solo, ma le eccezioni devono essere interpretate in maniera circoscritta e la necessità di qualunque restrizione deve essere stabilita in maniera convincente. Nell’esercizio del suo potere di controllo, la Corte Europea deve esaminare l’ingerenza dello Stato alla luce complessiva del caso, ivi compreso il tenore delle accuse rivolte dall’ordinamento nazionale a colui che si appella alla Corte Europea ed anche il contesto in cui sono stati commessi i fatti condannati dall’ordinamento nazionale, anche sotto il profilo della gravità e proporzionalità della pena o sanzione inflitte. In questa materia, eccezionalmente, la Corte Europea si atteggia ad un ulteriore grado di riesame, quasi a tutto campo, della fattispecie litigiosa sanzionata dall’ordinamento nazionale, anche se non nella direzione di effettuare nuove indagini di fatto o di sostituirsi ai giudici nazionali circa la descrizione dei fatti. Nella materia della diffamazione della reputazione altrui la Corte Europea scende nel dettaglio dell’esame del contenuto delle dichiarazioni ritenute diffamatorie dall’ordinamento nazionale, negando in via di principio il diritto all’insulto, ma per la Corte Europea, ad esempio, l'utilizzazione del termine "imbecille" rivolta ad un uomo politico può essere giustificata se proporzionata alla “indignazione conscientemente suscitata” dai discorsi del medesimo uomo politico. Rilevante esimente della diffamazione è anche il tema del dibattito, specie se è pubblico e riguarda questioni serie e d’interesse generale. La Corte Europea ha posto a raffronto l’interesse privato alla reputazione e l’importante interesse pubblico a ricevere informazioni su questioni che presentavano un legittimo interesse pubblico, privilegiando quest’ultimo. In conclusione, nel suo controllo sulle decisioni date dalle Corti nazionali in virtù del loro potere di valutazione, la Corte europea deve vigilare che le sanzioni adottate contro la stampa siano state rigorosamente proporzionali ed incentrate sulle affermazioni che, effettivamente, superavano i limiti della critica ammissibile, salvaguardando le affermazioni che possono e, quindi, devono godere della protezione dell'articolo 10 della Convenzione. In effetti, l'esercizio della libertà di espressione è complesso e delicato ed una sanzione applicata ad un giornalista è giustificata soltanto finché penalizza quelle parti del suo discorso che hanno superato i limiti citati qui sopra. A tal proposito, è opportuno ricordare che le eccezioni alla libertà di espressione devono essere interpretate in maniera restrittiva. Quanto finora esposto riguarda il dovere dello Stato di astenersi dall’ingerenza nell’esercizio della libertà di espressione, mediante sanzioni a carico del soggetto titolare di questo diritto, ma l’esercizio reale ed efficace di questa libertà può esigere anche delle misure “positive” di protezione, finanche nelle relazioni tra individui. Infatti, l’articolo 10 della Convenzione trova la sua applicazione non solamente nelle relazioni tra i privati che scaturiscono dal diritto pubblico, ma parimenti in quelle che scaturiscono dal diritto privato. In certe condizioni grava sullo Stato l’obbligo positivo di proteggere il diritto alla libertà di espressione contro gli attentati che potrebbero provenire anche da terzi, singoli privati o associati. Per determinare se esiste una obbligazione positiva bisogna considerare un principio di carattere generale che sottende alla Convenzione nel suo insieme: il giusto equilibrio che deve intercorrere tra l’interesse generale e gli interessi dell’individuo. L’ampiezza di questa obbligazione varia inevitabilmente, in funzione della diversità delle situazioni negli Stati, delle difficoltà per la polizia di esercitare le sue funzioni nelle società contemporanee, e delle scelte da fare in termini di priorità e di risorse. Questa obbligazione non deve però essere interpretata in maniera tale da imporre alle autorità un peso insopportabile o eccessivo. Ma l’obbligazione positiva di preservare il diritto alla libertà di espressione dagli attacchi o attentati di terzi, contrari a tale espressione, costringe lo Stato a svolgere una effettiva indagine sugli atti illegali, magari accompagnati da violenza, come spesso fanno i terzi intolleranti e soprattutto perseguire penalmente quest’ultimi. In difetto di tale adeguata protezione contro questi atti illegali, lo Stato diviene diretto responsabile dei danni sofferti dai singoli giornalisti, dagli editori di giornali ed anche dalle private persone, in conseguenza della violazione dell’articolo 10 della Convenzione[3]. Dal punto di vista pubblicistico, il diritto alla libertà di espressione, di stampa, incontra il solo limite della protezione degli interessi vitali dello Stato, come la protezione della sicurezza nazionale o dell’integrità territoriale contro le minacce di violenza o la difesa dell’ordine pubblico o la prevenzione del crimine. Lo Stato, però, in aggiunta all’obbligo di consentire la comunicazione delle informazioni e delle idee sulle questioni dibattute nell’arena politica, anche se sono controverse, deve tener conto che il pubblico ha un vero e proprio diritto di ricevere tali informazioni ed idee. La libertà della stampa fornisce all’opinione pubblica uno dei migliori mezzi per conoscere e giudicare le idee e le attitudini dei dirigenti e degli uomini politici. L’esistenza di un diritto per la collettività di ricevere informazioni è stato diverse volte riconosciuto dalla stessa Corte Europea nei casi relativi a restrizioni alla libertà di stampa, come corollario della funzione, propria dei giornalisti, di divulgare informazioni o idee su questioni di pubblico interesse. La libertà di ricevere informazioni, menzionata al paragrafo 2 dell’art. 10 della Convenzione, “vieta essenzialmente ad un governo di ostacolare qualcuno nel ricevere informazioni che altri vogliano o possano permettere di fornirgli”, ma non può essere interpretata come impositiva per uno Stato, in ogni circostanza e comunque, di obbligazioni positive di raccolta e divulgazione, motu proprio, delle informazioni. Da quanto finora illustrato può concludersi che la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, siccome interpretata e resa effettiva dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, impone ai quarantatre Stati membri del Consiglio d'Europa, di perseguire l’obiettivo del pluralismo dei mezzi d’informazione. Il Consiglio d'Europa, come istituzione intergovernativa internazionale, ha sempre affermato il suo impegno a favore del pluralismo dei mezzi d’informazione[4]. Numerose e costanti nel tempo sono state le riunioni politiche e di studio promosse dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sui Mass Media[5]. Il Consiglio d’Europa vigila anche sulla concentrazione dei mezzi d’informazione nei vari paesi aderenti ed ha sempre invitato questi Stati a garantire il pluralismo, minacciato dalla globalizzazione dei mercati e dalla convergenza tecnologica tra i mezzi di comunicazione e soprattutto dal gran numero di operazioni di concentrazioni, stigmatizzando anche la tendenza a fare dell’informazione-spettacolo che si vende meglio sul mercato della pubblicità, a detrimento di un giornalismo di qualità. A tal fine, il Consiglio d'Europa ha raccomandato l’adozione di una serie di misure, nel rispetto del principio fondamentale dell’indipendenza editoriale dei media : determinazione delle soglie, per quanto concerne la detenzione d’interessi nei settori della radio-televisione, regolamentazione in materia di accesso equo e non discriminatorio dei vari operatori, misure per promuovere la diversificazione del contenuto dei media, potenziamento del servizio pubblico della radio-televisione, ed altre ancora[6].
Il Consiglio d'Europa ha anche denunciato i più gravi attentati alla libertà di espressione dei media, in paesi come l’Ukraina, l’Azerbaïdjan, la Turchia, la Russia e non ha mai mancato di esercitare pressioni morali e politiche sui governi che violano la libertà di espressione. Ma anche per quanto riguarda la situazione particolare dell’Italia, la Commissione della Cultura, della Scienza e dell'Educazione dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa ha esaminato la situazione dei media in Italia nel corso della sua riunione tenutasi il 13 marzo 2002, a Parigi ed ha rilasciato il seguente comunicato stampa:
<<La Commissione constata con una viva preoccupazione che il Governo controlla la quasi-totalità delle catene nazionali della televisione. Malgrado le promesse fatte in occasione della sua elezione, nel maggio scorso, il Presidente del Consiglio dei Ministri dell'Italia resta proprietario di tre catene di televisione private del paese e di un importante gruppo della stampa, ed egli non ha mai preso le sue distanze con la gestione dei suoi interessi mediatici. Al contrario, una legge adottata recentemente dal Parlamento italiano legittima la proprietà dei mercati mediatici importanti da parte di un Ministro del Governo. La Commissione osserva tuttavia che il nuovo Consiglio di Amministrazione di cinque membri della RAI (Radiotelevisione Italiana), che gestisce tre catene nazionali della televisione di Stato, è diretto da un emerito Presidente della Corte Costituzionale e comprende due rappresentanti dei partiti d’opposizione. La Commissione aderisce alle difese del Presidente italiano, Carlo Azeglio Ciampi, in favore della pluralità e dell'indipendenza dei media, elementi vitali della democrazia>>. Maurizio de Stefano avvocato in Roma
TABELLA DELLA GIURISPRUDENZA SULLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE elaborata dall’avv. Maurizio de Stefano
[1] Ad esempio sulla questione del diritto alla autodeterminazione del popolo kurdo, la Corte Europea ha osservato che anche se un simile progetto politico fosse considerato incompatibile con i principi e le attuali strutture dello Stato turco, ciò non lo rendeva contrario alle regole democratiche. Risiede nell’essenza della democrazia il permettere la proposta e la discussione di progetti politici diversi, anche quelli che rimettono in causa l’assetto organizzativo attuale di uno Stato, purché tali progetti non mirino ad attentare alla stessa democrazia e siano proposti nel rispetto delle regole democratiche, in maniera pacifica ed equa, senza incitare all’uso della violenza, né alla resistenza armata, né alla rivolta violenta. [2] Per una più ampia prospettiva della giurisprudenza della Corte europea sulla libertà religiosa, vedi: BELGIORNO de STEFANO Maria Gabriella, Foulard Islamico e Corte Europea dei Diritti dell’uomo, in Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale, Anno III n.9 sett./dic. 2001 pag.73 ss. [3] Una fattispecie eclatante di tale ipotesi si ricava dal caso Özgür Gündem c. Turchia, sentenza del 16 marzo 2000, dove la Corte Europea ha dichiarato la violazione dell’articolo 10 della Convenzione, avendo accertato in fatto l’omessa adozione di misure positive di protezione dei giornalisti, del personale e dei distributori di un giornale sostenitore del Partito PKK, a fronte di aggressioni sistematiche, generalizzate ed anche violente , con morti e di sparizioni ed omesse indagini di polizia su tali fatti criminosi, nonché di perquisizioni ed arresti e condanne penali dei giornalisti. Questo accumulo di eventi aveva costretto il giornale alla sua chiusura. [4] Tra le tante, vedi la Dichiarazione sulla libertà d'espressione e d'informazione, adottata il 29 aprile 1982, nella 70ma Sessione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Vedi la Convenzione Europea sulla Televisione Transfrontaliera, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 15 marzo 1989 (entrata in vigore il 1° maggio 1993) ed il suo Protocollo di emendamento, adottato dal Comitato dei Ministri il 9 settembre 1998. Vedi la Raccomandazione n° R (96) 4 e la Dichiarazione sulla Protezione dei giornalisti in situazione di conflitto e di tensione, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 3 maggio 1996. Vedi laRaccomandazione n° R (96) 10 sulla Garanzia dell'indipendenza del servizio pubblico della radiodiffusione, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa dell’11 settembre 1996. Vedi la Raccomandazione n° R (99) 1 sulle Misure tendenti a promuovere il pluralismo dei media, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 19 gennaio 1999. Vedi la Raccomandazione n° R (99) 15 sulle Misure relative alla Copertura delle Campagne Elettorali da parte dei media, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 19 settembre 1999 nella 678ma Sessione del Comitato dei Ministri.
[5] 1) Prima Conferenza Ministeriale Europea (Vienna, 9-10 Dicembre 1986): The future of television in Europe (L'avenir de la télévision en Europe); 2) SecondaConferenza Ministeriale Europea (Stoccolma, 23-24 novembre 1988): European Mass Media Policy in an international context (Politique européenne des communications de masse dans un contexte international); 3) Terza Conferenza Ministeriale Europea (Nicosia, (9-10 ottobre 1991): Which way forward for Europe's media in the 1990 ? (Quel avenir pour les media en Europe dans les années 1990 ?); 4) Quarta Conferenza Ministeriale Europea (Praga, 7-8 dicembre 1994): The media in a democratic society (Les media dans une société démocratique); 5) Quinta Conferenza Ministeriale Europea (Tessalonica, 11-12 dicembre 1997): The Information Society: a challenge for Europe (La Société de l'Information: un défi pour l'Europe); 6) Sesta Conferenza Ministeriale Europea (Cracovia, 15-16 giugno 2000): A media policy for tomorrow. [6] Vedi anche per un più ampio panorama in dottrina, Augusto SINAGRA, La disciplina comunitaria del settore televisivo, con riguardo all’ordinamento italiano, Giuffré Editore, , Milano,2001, pag.1/ 215. |