Legge Pinto n89/2001

LEGGE PINTO n.89/2001 :
COMPETENZA TERRITORIALE NEI GIUDIZI AMMINISTRATIVI. CONTRORDINE DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE.
SI REGOLA SUL DOMICILIO DEL CREDITORE DANNEGGIATO

(a cura di Avv. Giovanni Romano   e  Avv. Margherita Cardona Albini)

   

Dopo l’emanazione dell’ordinanza della Cassazione italiana del 04 febbraio 2003 n.1653 (Caso Libertucci) risolutiva, almeno in apparenza, dei problemi concernenti la competenza territoriale per i giudizi di merito pendenti dinanzi ad organi giurisdizionali  amministrativi, in applicazione della legge Pinto n. 89/2001, la stessa Cassazione a distanza di pochi mesi ci ripensa manifestando una tendenza del tutto contrastante rispetto a quella precedente.

Sono ben quattro le pronunce di rito di identico tenore alle quali in questa sede bisogna riferirsi e precisamente le n. 7721 ( Ragni Pio c/ PCM), 7722 (Casazza Pasquale c/PCM), 7723 (Grasso Pasquale c/PCM) e 7724 (D’Amato Clara c/PCM) tutte del 18 febbraio 2003,  pubblicate il 16 maggio 2003,   successive alla proposizione, da parte dei ricorrenti, dell’istanza per regolamento di competenza.

 Trattasi di ipotesi relative a giudizi pendenti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale (T.A.R. -organo giurisdizionale amministrativo di primo grado), nelle quali oltre a ribadire in parte quanto statuito nella precedente ordinanza della Cassazione del 4 febbraio 2003, si assiste ad una inversione di tendenza con riguardo all’interpretazione sull’ambito applicativo dell’art. 25 c.p.c. ed implicitamente degli articoli 20, 21 c.p.c. e 1182 c.c. .

Sottolineata ancora una volta l’inapplicabilità dell’ art 3 legge Pinto n.89/2001, in materia di competenza territoriale, ai giudizi pendenti dinanzi ai Tribunali Amministrativi , stante la non appartenenza di questi ultimi ad un distretto di corte d’appello (art 11 c.p.p.) e la più volte asserita non applicabilità della norma in questione in via  analogica in quanto norma speciale e per questo derogatoria dei normali principi in tema di competenza, l’elemento di rottura  rispetto alla prima ordinanza del febbraio 2003 riguarda,  come già accennato, l’interpretazione dell’art.25 c.p.c..

 Infatti, posto che per i giudizi amministrativi c’è unanimità di vedute nelle diverse pronunce sul fatto che ritornino ad essere operanti i normali criteri di individuazione del giudice competente a conoscere della controversia, la diatriba si apre sul contenuto sostanziale delle norme del codice di procedura civile in materia di competenza territoriale.

Orbene, occorre a tal punto partire dal contenuto della prima ordinanza della Suprema Corte in tal senso la n.1653 del 04 febbraio 2003, evidenziando che nella stessa si legge:” la competenza per i giudizi pendenti dinanzi ai giudici diversi da quello ordinario va individuata con riferimento all’art.25 c.p.c., che nel disciplinare il foro della Pubblica Amministrazione, prevede quando essa è convenuta, la competenza del giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione od in cui si trova la cosa mobile od immobile oggetto della domanda, in applicazione dei criteri previsti dagli articoli 20 e 21 c.p.c., sempre con l’ulteriore specifico riferimento al luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato”.  Tali norme comportano un implicito richiamo all’art 1182 c.c. che disciplina il luogo dell’adempimento delle obbligazioni e, precisamente all’ultimo comma, prevede che qualora si tratti del pagamento di somme non ab initio liquide ed esigibili, così come accade in tutti i casi in cui si tratti di debiti di valore, il locus  solutionis deve intendersi il domicilio del debitore.

Solo dopo pochi mesi da una pronuncia del tenore appena citato la Cassazione si rimangia quanto appena sostenuto per appoggiare una tesi del tutto contraria, non supportata stavolta però da argomentazioni logiche nella suddetta direzione. Pertanto, con le ordinanze n.7721, 7722, 7723 e 7724 del 18.02.2003,  pubblicate il 16 maggio 2003, i Giudici Supremi di legittimità hanno stravolto quanto sancito dal codice civile in tema di locus solutionis accomunando le ipotesi in cui l’obbligazione è sin dall’inizio di carattere squisitamente pecuniario a quelle in cui non presenta tale spiccata caratteristica  avendo in realtà funzione indennitaria e risarcitoria, prevedendo così per entrambi i casi l’applicazione della regola del pagamento al domicilio del creditore trasformando in tal modo anche i debiti chiedibili in debiti portabili. Questo orientamento di recente manifestato stravolge i più elementari principi in tema di distinzioni classificatorie tra  i differenti tipi di obbligazioni creando una ingiustificata commistione di trattamento tra i debiti di valuta e debiti di valore i quali, non essendo per loro intrinseca natura liquidi ed esigibili, non possono che seguire la disciplina sancita dal quarto comma dell’art. 1182 c.c. e non quella del terzo comma che, per espressa disposizione legislativa si riferisce ai soli debiti ab initio pecuniari.

Ebbene precisare dinanzi a tale cambiamento di rotta manifestato dalla Corte di Cassazione che, la stessa ha da sempre sostenuto che continua a costituire obbligazione pecuniaria (per cui deve sostenersi l’applicazione del criterio del pagamento al domicilio del creditore) il debito che sia sorto originariamente come tale, ossia avente ad oggetto sin dalla sua costituzione la prestazione di una determinata somma di denaro ed il cui ammontare sia, pertanto, già fissato al momento in cui l’obbligazione è venuta in essere. Ne consegue che costituisce obbligazione pecuniaria, da adempiere, ai sensi dell’art.1182 c.c., al domicilio del creditore al tempo della scadenza, l’obbligazione derivante da titolo che ne abbia stabilito la misura e la scadenza. Invece, qualora tale determinazione non sia stata compiuta sin dall’origine dal titolo, l’obbligazione deve essere adempiuta, salvo diversa pattuizione, al domicilio del debitore, ai sensi dell’ultimo comma della citata norma, non trattandosi di credito liquido ed esigibile (Cass. 27.01.1996  n. 633,  Cass. 25.03.1997 n.2804, Cass. 15.12.2000 n.15849). 

Tale inversione di tendenza volta a confondere la natura giuridica dei debiti di valuta ( obbligazioni pecuniarie) con quella dei debiti di valore (obblighi risarcitori ed indennitari) e quindi le relative discipline, sortisce l’esito di vanificare ancora una volta la portata del rimedio di giurisdizione domestica già di per se claudicante, in quanto, in base a tali ultime pronunce, la sua immediata applicazione  non può più neanche basarsi sull’interpretazione autentica delle norme del codice civile completamente rivisitate e manipolate. Pertanto, si auspica che la Corte Suprema, in virtù del delicato compito affidatole dall’ordinamento giuridico interno, ritorni a ricoprire la funzione di garante della corretta applicazione delle norme modificando l’ultimo orientamento manifestato ripristinando una chiara  ed efficace lettura del dato normativo in questione.

 

Benevento 25 giugno 2003

Avv. Giovanni Romano                                Avv. Margherita Cardona Albini