Legge pinto equa riparazione

<<LEGGE PINTO SULL’EQUA RIPARAZIONE: CONFLITTO TRA CASSAZIONE E CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO>>

 

La legge Pinto, n.89/2001, che ha posto a carico dello Stato italiano il  risarcimento del danno per la durata non ragionevole dei processi in Italia è sicuramente uno strumento innovatore dell’ordinamento giuridico interno, fino al punto che molte Corti d’appello[1], chiamate alla liquidazione dell’equa riparazione l’hanno esclusa per i periodi di durata del processo anteriori all’entrata in vigore della stessa Legge Pinto.

Ad esempio appare  aberrante quanto affermato dalla Corte d’appello di Torino[2]  secondo cui la legge n.89/2001 avrebbe disposto soltanto per il futuro, cioè per i ritardi verificatisi soltanto dopo la sua entrata in vigore (18 aprile 2001),  perché  <<prima di tale entrata in vigore la fattispecie sostanziale non esisteva nel nostro ordinamento >>.

Abbiamo sempre sostenuto che l’art. 2 della legge n.89/2001[3] si rivolgesse fin dalla sua entrata in vigore ai danni già sofferti dalla vittima della durata non ragionevole del processo, in quanto la stessa legge Pinto  fa riferimento alla ratifica avvenuta in Italia fin dal 1955(cinquantacinque) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Pertanto, a nostro sommesso avviso, la legge Pinto n. 89/2001,  non ha fatto nascere un nuovo diritto, perché esso era stato già riconosciuto dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 4.11.1950, quanto al termine di durata ragionevole del processo ed in virtù dell’articolo  1 della stessa Convenzione: « Le  Alte   Parti  contraenti  riconoscono ad ogni  persona sottoposta alla loro   giurisdizione  i Diritti e  le  libertà enunciati nel Titolo primo   della presente  Convenzione ». La legge Pinto n. 89/2001,  non ha fatto nascere una nuova fattispecie di danno o di diritto, ma ha solo dato attuazione all’articolo  13(tredici) della Convenzione[4], che impone allo Stato di predisporre  un ricorso davanti ai giudici nazionali per rimuovere le conseguenze della violazione dei diritti umani, e proprio in difetto di tale ricorso interno, prima della legge n.89/2001 era possibile  adire direttamente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Infatti, il diritto all’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, quanto al termine ragionevole di durata del processo, esisteva per la vittima che reclama l’equa riparazione fin dall’inizio dello stesso processo, essendo sin dall’agosto 1973(settantatre) già in vigore il diritto di ricorso individuale alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, previsto dalla Convenzione Europea, ai sensi dell’art. 34 della stessa Convenzione.

Prima della legge n. 89/2001, il diritto in questione veniva accertato direttamente dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che condannava lo Stato italiano al pagamento dell’equa soddisfazione ex art. 41 della Convenzione. Le migliaia di condanne dello Stato italiano emesse dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)[5] a tale titolo erano pagate dallo stesso Stato italiano e non dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo o dal Consiglio d’Europa! 

Abbiamo sempre sostenuto[6] che i Giudici italiani, così come quelli degli altri quarantaquattro paesi[7] membri del Consiglio d’Europa, devono tutti considerarsi delle sezioni distaccate in Italiadella Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, quanto all’applicazione della  Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, firmata a Roma il 4 novembre 1950, nei confronti di chiunque dipendesse dalla giurisdizione dello Stato italiano.

Abbiamo sempre criticato come i distretti delle Corti d’appello abbiano dato una soluzione quasi sempre  peggiorativa rispetto alla consolidata giurisprudenza della Corte Europea e come la Cassazione italiana non ha potuto fino ad oggi, per la struttura del processo di legittimità, ma  spesso neppure  ha voluto correggere gli errori delle Corti d’appello.

E’ vero che a partire dalla sentenza del 22 ottobre 2002 n. 14885 la stessa Cassazione[8], sembra più rispettosa della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, anche se non ne riconosce ancora una diretta vincolatività, al pari della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo[9]. Siffatto parallelismo tra le due Corti Europee (a detrimento della Corte di Strasburgo, secondo la Cassazione) è aberrante e contraddittorio se si veda la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo che, allorquando applica la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, si riferisce esclusivamente alla diretta vincolatività della  giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[10].

Per la proprietà transitiva tra Strasburgo e Lussemburgo, la Cassazione italiana avrebbe dovuto almeno  essere coerente ed affermare anch’essa diretta vincolatività per il giudice interno della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

A tal proposito abbiamo sommessamente ipotizzato un conflitto tra la Cassazione italiana e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ai limiti del “contempt  of Court” da parte della Cassazione italiana nei confronti della Corte Europea di Strasburgo[11].

Per dirimere tale conflitto, finalmente, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata insubiecta materia il 27 marzo 2003 (caso Scordino ed altri c. Italia) ed ha affermato che la legge Pinto n. 89/2001 deve essere applicata alla luce del principio della immediata e diretta rilevanza nell’ordinamento giuridico italiano della Convenzione e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ne costituisce parte integrante, e che la Corte Europea è comunque chiamata a verificarne  l’applicazione[12].

Questa statuizione della Corte Europea interviene esaminando proprio un caso promanante da una Corte d’appello italiana che aveva disconosciuto la diretta applicabilità della Convenzione Europea e liquidato  una somma irrisoria a titolo di equa riparazione per la legge Pinto n. 89/2001 e la Corte Europea, dopo aver esaminato ben cento sentenze della stessa Cassazione italiana[13], ha constatato la inadeguatezza della giurisprudenza italiana rispetto alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

In conclusione, ad avviso della Corte Europea non è giustificato  il divario tra la giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo e l’applicazione della Legge Pinto fatta dalla giurisprudenza italiana, pertanto, i giudici italiani sono tenuti a conformarsi alla  giurisprudenza della Corte Europea anche con riferimento all’ammontare dell’equa riparazione concessa[14].

Per il futuro, e fino a quando la Cassazione italiana non muterà il suo indirizzo, è necessario pur sempre adire la Corte d’appello competente per domandare l’equa riparazione ex lege Pinto, ma, in caso di esito insoddisfacente della liquidazione sull’equa  riparazione, si potrà adire direttamente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo[15] senza necessariamente impugnare il decreto della Corte d’appello davanti alla Corte di Cassazione italiana.

Maurizio de Stefano

Avvocato in Roma

Segretario emerito della Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo

 

[1] Corte d’Appello di Roma, decreto  del 1 luglio/ 4 ottobre 2002, n.1543/2002.

[2] Corte d’appello di Torino, decreto n. 177/2002 cron. 586/02 rep.1418, delli 17/30 luglio   2002,  Ferrone c. Ministro Giustizia.

[3] <<Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848,….. ha diritto ad una equa riparazione>>.

[4] Confronta Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza 20 dicembre 2001  Ricorso n°  25639/94 caso  F. L. contro Italia, che testualmente motiva << § 41. A norma della giurisprudenza della Corte, l’articolo 13 garantisce l’esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta di far valere i diritti e le libertà  della Convenzione così come vi si possono trovare consacrati. Questa disposizione impone di conseguenza la previsione, per i reclami che si possono stimare  “difendibili” in base alla Convenzione od ai suoi Protocolli, di un ricorso interno che abiliti l’istanza nazionale competente a conoscere il contenuto del ricorso  e ad offrire una riparazione appropriata , anche se gli Stati contraenti  godono di un certo margine di apprezzamento  circa le modalità con le quali conformarsi agli obblighi loro derivanti da questa disposizione.>>

[5] de  Stefano Maurizio, Tabella di valutazione del danno morale per la durata non ragionevole dei processi, secondo la recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, elaborata dall’avv. Maurizio de Stefano, in “Impresa” n. 12 del 31 dicembre 2001, pag. 1903/1927, ETI-De Agostini Professionale; vedi anche http://www.dirittiuomo.it

[6]  de Stefano Maurizio, L’Italia risarcisce male le vittime dei lunghi processi,  in Rivista “La Previdenza Forense”, periodico della Cassa Nazionale Previdenza Assistenza Forense, (anno 2002, n. 4 pag. 351).

[7] Albania (1), Andorra (2), Armenia (3), Austria (46), Azerbaigian (5), Belgio (6), Bosnia-Erzegovina (7), Bulgaria (8), Cipro (9), Croazia (10), Danimarca (11), Estonia (12), "ex-Repubblica jugoslava di Macedonia" (13), Federazione di Russia (14), Finlandia (15), Francia (16), Georgia (17), Germania (18), Grecia (19), Irlanda (20), Islanda (21), Italia (22), Lettonia (23), Liechtenstein (24), Lituania (25), Lussemburgo (26), Malta (27), Moldavia (28), Norvegia (29), Paesi Bassi (30), Polonia (31), Portogallo (32), Regno Unito (33), Repubblica Ceca (34), Romania (35), San Marino (36), Serbia e Montenegro (37), Slovacchia (38), Slovenia (39), Spagna (40), Svezia (41), Svizzera (42), Turchia (43), Ucraina (44), Ungheria (45).

[8] Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza del 22 ottobre 2002 n. 14885: <<… se può convenirsi con la tesi secondo cui la legge 89/2001 non ha determinato il recepimento in blocco nel nostro ordinamento della giurisprudenza europea si deve anche affermare che i principi elaborati da quella giurisprudenza vanno considerati nell'interpretazione della citata legge, la quale, per assicurare concreta attuazione agli impegni assunti con la Convenzione, va interpretata in modo da garantire una tutela effettiva sia del termine ragionevole di durata dei procedimenti (secondo la nozione di questi elaborata dalla Corte di Strasburgo) sia del diritto all'equa riparazione in caso di sua violazione.>>. Vedi anche Cassazione, Sezione prima civile, sentenza del 29 ottobre 2002, n. 15233.

[9] Cassazione - sezione prima civile - sentenza 10 giugno-8 agosto 2002, n. 11987 Adamo più 60 - controricorrenti Ministero Grazia  Giustizia, Presidenza del Consiglio dei Ministri, testualmente nella parte motiva: <<Ancorché debba conoscersi alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, quanto ai criteri da essa elaborati per la valutazione della ragionevole durata del processo, valore di precedente, di cui non si può non tener conto, ai fini della interpretazione del contenuto dell'art. 2 1.89/01 - nella misura in cui questo richiama l'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, cui quella giurisprudenza propriamente si riferisce - ciò però che deve escludersi è, infatti, l'asserito vincolo diretto che dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo deriverebbe per il Giudice italiano. Diversamente dalle sentenze della Corte di Giustizia Europea di Lussemburgo - che al pari dei regolamenti del Consiglio CE, hanno (per i profili dell'interpretazione della normativa comunitaria) diretta efficacia nell'ordinamento interno ai sensi dell'art. 189 del Trattato CEE (cfr. Corte Cost. n. 113/85 in relazione a n. 170/84) e, se pronunciate in sede di rinvio pregiudiziale, vincolano espressamente il giudice rimettente - per le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo  non sussistono, nel quadro delle fonti, analoghi meccanismi normativi che ne prevedano la diretta vincolatività per il giudice interno>>. Cfr. sul punto Cassazione, sentenza  02 agosto 2002 n.11573, S.r.l. Samantha Immobiliare  contro Ministero   Giustizia.

[10] Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo sentenza  10 aprile 2003. Nel procedimento C-276/01, Joachim STEFFENSEN.  

Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo sentenza  22 ottobre 2002. Nel procedimento C-94/00. Roquette Frères SA e Directeur général de la concurrence, de la consommation et de la répression des fraudes.

Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo sentenza  15 ottobre 2002. Nei procedimenti riuniti C-238/99 P, C-244/99 P, C-245/99 P, C-247/99 P, da C-250/99 P a C-252/99 P, e C-254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij NV (LVM), DSM NV e DSM Kunststoffen BV, Montedison SpA, Elf Atochem SA, Degussa AG, Enichem SpA, Wacker-Chemie GmbH, Hoechst AG, Imperial Chemical Industries plc (ICI), contro Commissione delle Comunità europee.

Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo sentenza  17 settembre   2002. Nel procedimento C-413/99. Baumbast, R e Secretary of State for the Home Department.

[11] de Stefano Maurizio, Brevi considerazioni sul principio di sussidiarietà nel sistema giuridico del Consiglio d’Europa, in Rivista, Diritti dell’Uomo, Cronache e Battaglie (organo dell’Unione Forense per la Tutela dei Diritti dell’Uomo,  anno 2002, n. 2, pag.76).

[12] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  prima  sezione  decisione del 27 marzo 2003, sulla ricevibilità  del ricorso n° 36813/97, presentato da  Giovanni Maria SCORDINO ed altri contro l’Italia , testualmente nella parte motiva: << Anche se gli Stati contraenti non hanno l’obbligazione formale di incorporare la Convenzione nel sistema giuridico interno (sentenza James ed altri c. Regno Unito del 21 febbraio 1986, serie A no 98, p. 48, § 86; Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], no28957/95, CEDH 2002, § 113), dal suddetto principio di sussidiarietà discende che le giurisdizioni nazionali devono, per quanto possibile, interpretare ed applicare il diritto interno in modo conforme alla Convenzione. Infatti, se è vero che spetta innanzitutto alle autorità nazionali interpretare ed applicare il diritto interno, la Corte è comunque chiamata a verificare se il modo in cui il diritto interno è interpretato ed applicato produce effetti conformi ai principi della Convenzione (Carbonara e Ventura c. Italia, no 24638/94, CEDH 2000-VI, § 68; Streletz, Kessler e Krenz c. Germania, [GC], no 34044/96, 35532/97, 44801/98, § 49, CEDH 2001-II), della quale la giurisprudenza della Corte costituisce parte integrante. Omissis….. Nondimeno la Convenzione, che vive attraverso la giurisprudenza della Corte, ha ormai applicabilità diretta praticamente in tutti gli Stati contraenti.>>

[13] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  prima  sezione  decisione del 27 marzo 2003, sulla ricevibilità  del ricorso n° 36813/97, presentato da  Giovanni Maria SCORDINO ed altri contro l’Italia , testualmente nella parte motiva: <<..La Corte ha effettuato un esame comparativo delle cento sentenze della Corte di Cassazione ad oggi disponibili. Ha potuto constatare che i principi stabiliti nelle due sentenze citate dai ricorrenti (vedere nella parte relativa al diritto interno rilevante) sono stati costantemente applicati, precisamente: mancato riconoscimento, al diritto ad un processo in tempi ragionevoli, dello status di diritto fondamentale (dell’uomo n.d.t.); negazione della applicabilità diretta della Convenzione e della giurisprudenza di Strasburgo in materia di equa soddisfazione. La Corte non ha rinvenuto alcun caso in cui la Corte di Cassazione abbia preso in considerazione una doglianza relativa all’insufficienza delle somme accordate dalla Corte d’Appello rispetto al pregiudizio allegato o alla loro inadeguatezza rispetto alla giurisprudenza di Strasburgo. Si tratta effettivamente di censure che vengono rigettate dalla Corte di Cassazione perché considerate o come questioni di fatto, non rientranti nella sua competenza, o come questioni sollevate alla luce di disposizioni non applicabili direttamente.>>

[14] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  prima  sezione  decisione del 27 marzo 2003, sulla ricevibilità  del ricorso n° 36813/97, presentato da  Giovanni Maria SCORDINO ed altri contro l’Italia , testualmente nella parte motiva: <<Tuttavia, nel presente caso, la somma accordata ai ricorrenti dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria non presenta un rapporto ragionevole con la somma accordata dalla Corte negli analoghi casi sopra citati – somma che è dieci volte superiore a quella accordata ai ricorrenti dalla Corte d’Appello. Pur nel rispetto del margine di discrezionalità di cui dispongono i giudici nazionali, essi si debbono conformare alla giurisprudenza della Corte anche concedendo un risarcimento consequenziale. Tenuto conto degli elementi che emergono dal fascicolo, la Corte ritiene che un tale divario tra la giurisprudenza di Strasburgo da una parte e l’applicazione nel caso di specie della Legge Pinto dall’altra non sia giustificato. Pertanto, ritiene che la somma accordata ai ricorrenti non possa considerarsi adeguata e idonea a riparare la violazione dedotta.>>

[15] Per i formulari di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, vedihttp://www.dirittiuomo.it/