La cassazione riconosce

LA CASSAZIONE ITALIANA RICONOSCE INTEGRALMENTE LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI.

(Avv. Maurizio de Stefano  -Segretario emerito della Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo)

  

 nella rivista “il fisco” (anno 2004, del 16 febbraio 2004, n. 7, I, pag. 929) Editoriale Tributaria Italiana. De Agostini Professionale

Finalmente dopo un braccio di ferro durato quasi  due anni, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione italiana con quattro sentenze emesse il 26 gennaio 2004([1]) riconoscono la prevalenza e la diretta applicabilità nell’ordinamento giuridico italiano della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo  sul tema del risarcimento del danno a carico dello Stato italiano per la durata non ragionevole dei processi in Italia .

Si compone in tal modo il conflitto tra la Cassazione italiana e la Corte Europea di Strasburgo a cui viene riconosciuta una diretta vincolatività, al pari della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo.

Avevamo sempre sostenuto([2]) che i Giudici italiani dovevano tutti considerarsi delle “sezioni distaccate in Italia” della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, quanto all’applicazione della  Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, firmata a Roma il 4 novembre 1950, nei confronti di chiunque dipendesse dalla giurisdizione dello Stato italiano. Il meccanismo era lo stesso della prevalenza (sulle norme nazionali) delle norme comunitarie direttamente applicabili nell’Unione Europea.

A tal proposito avevamo sommessamente ravvisato un pericoloso conflitto tra la Cassazione italiana e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ai limiti del “contempt  of Court” da parte della Cassazione italiana nei confronti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo , prontamente stigmatizzato dalla stessa Corte Europea il 27 marzo 2003 (caso Scordino ed altri c. Italia) che aveva  affermato che la legge Pinto n. 89/2001 deve essere applicata alla luce del principio della immediata e diretta rilevanza nell’ordinamento giuridico italiano della Convenzione e della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ne costituisce parte integrante, e che la Corte Europea è comunque chiamata a verificarne  l’applicazione ([3]).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione italiana con le quattro sentenze emesse il 26 gennaio 2004 hanno mutato radicalmente il precedente orientamento e questa apertura della Cassazione era stata preannunciata il 12 gennaio 2004 all’inaugurazione anno giudiziario daldott. Francesco Favara, Procuratore Generale  presso la Corte Suprema di Cassazione, che aveva detto <<se siamo entrati in Europa non possiamo non tenere conto della giurisprudenza comunitaria. ……Va tenuto peraltro presente che il giudice nazionale è il primo tutore dei diritti dell'uomo, come esige il rapporto di sussidiarietà che sussiste tra la giurisdizione nazionale e quella di Strasburgo. …..Quale che sia il giudizio da dare sulla correttezza o meno della lettura che la Corte di Strasburgo ha dato dell'indirizzo giurisprudenziale italiano, non è certo auspicabile un braccio di ferro tra le due Corti e si può essere fondatamente fiduciosi che la Corte italiana saprà trovare la strada di un ragionevole e limpido chiarimento.>>

Ebbene con le sentenze n. 1338 (Balzini), n. 1339 (Lepore), n. 1340 (Corbo) , n. 1341 (Lepore+1) tutte del 26 gennaio 2004, la Cassazione a Sezioni Unite ha tracciato un quadro complessivo che non può lasciare adito ad alcun dubbio, circa la vincolatività (per il giudice italiano) della giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Queste  quattro sentenze della Corte di Cassazione hanno anche una valenza squisitamente politica, perché siamo giunti finalmente per via giurisprudenziale interna, ad una piena applicazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, anche tramite una evolutiva interpretazione della legge Pinto (n.89/2001) sulla durata non ragionevole dei processi in Italia, senza necessità di una sua modifica legislativa, ma solo applicando i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Il primo effetto pratico di tale mutato orientamento della Cassazione sarà quello di non poter più impugnare direttamente davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani a Strasburgo, i decreti emessi dalle Corti d’appello territoriali in tema di risarcimento del danno sulla durata non ragionevole dei processi (civili, penali, amministrativi, tributari etc.)  in Italia, poiché a decorrere dal 26 gennaio 2004, per i decreti non ancora passati in giudicato,  sussiste nuovamente un rimedio effettivo, il ricorso ex art. 360 del codice di procedura civile davanti alla Corte di Cassazione e la Corte Europea di Strasburgo dovrebbe dichiarare irricevibili i ricorsi ad essa diretti che non abbiano   esaurito tale rimedio interno.

Il secondo effetto pratico di tale mutato orientamento della Cassazione sarà che i giudici delle Corti d’appello che sono chiamati a valutare non solo la durata eccessiva dei processi, ma soprattutto l’entità del risarcimento del danno che lo Stato italiano deve corrispondere alla vittima, devono conoscere con esattezza i parametri della giurisprudenza della Corte Europea, segnatamente con riferimento al danno non patrimoniale derivante dalla lunghezza del processo.

Si legge, infatti, nella sentenza n. 1340 del 26 gennaio 2004 (Corbo Luigi contro Ministero della Giustizia) delle Sezioni Unite della Cassazione: << i criteri di determinazione del quantum  della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, anche se questi può discostarsi in misura ragionevole dalle liquidazioni effettuate a Strasburgo in casi simili…omissis .. la liquidazione del danno non patrimoniale effettuata dalla Corte d’appello a norma dell’art. 2 della legge n. 89/2001, pur conservando la sua natura equitativa, è tenuta a muoversi entro un ambito che è definito dal diritto, perché deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo,  da cui è consentito discostarsi purché in misura ragionevole. L’ambito giuridico della riparazione equitativa del danno non patrimoniale è, in altri termini, segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei Diritti Umani, per come essa vive nelle decisioni, da parte di detta Corte, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale.  L’accertamento dei casi simili e delle eque soddisfazioni del danno non patrimoniale in essi operate dalla Corte di Strasburgo , pur rientrando nei doveri di ufficio del giudice, può giovarsi della collaborazione delle parti, ed in particolare dell’attore, che ha interesse a fornire al giudicante  ogni elemento utile alla determinazione del quantum del danno nella misura da lui richiesta….>>.

A tal fine e nell’intento di rendere un indispensabile servizio ai giudici, agli avvocati ed ai cittadini ci permettiamo di ricordare  che le ultime sentenze  della Corte Europea di Strasburgo, (quattrocentosessanta) emesse nell’anno 2001, sono state tutte classificate e pubblicate e sono anche accessibili in internet[4] , di talché nessun giudice italiano potrà più dire di non poterle conoscere.

Il terzo e più importante effetto, come abbiamo sempre sommessamente sostenuto, è che questo meccanismo non deve considerarsi circoscritto alla legge Pinto n. 89/2001 sulla durata non ragionevole dei processi in Italia, ma è valido per tutte le altre norme di diritto interno in contrasto con  quelle della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Infatti, l’ampia gamma della tutela dei diritti garantiti dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani consente di ricomprendervi anche la materia tributaria ad esempio non solo  il processo penale per reati tributari, ma anche in genere il processo tributario, come lo ha affermato  recentemente la Corte Europea Corte Europea di Strasburgo in tema di penalità e sanzioni fiscali. Ogni volta che il contribuente si veda infliggere un supplemento di imposta , delle sanzioni civili, sotto forma di penalità per mala fede, queste penalità possono considerarsi siccome  « accusa in  materia  penale » ai  sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione europea dei Diritti Umani[5]:  Questa  Corte europea, in particolare,   ha dichiarato  in tema di rimborsi e crediti di imposta che il comportamento dello Stato nei confronti del contribuente non può infrangere  il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui, segnatamente il diritto al rispetto dei beni garantito dall’articolo 1 del Protocollo n° 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.

Per quanto riguarda, in particolare l’Italia, sempre in tema di rimborsi e crediti di imposta, i principi espressi dalla Corte  di Strasburgo sono forieri di applicazione ad una molteplicità di situazioni analoghe, essendo ampiamente diffusa la prassi dell’amministrazione fiscale di considerare i diritti di credito dei contribuenti verso lo Stato, non sullo stesso piano dello speculare diritto dello Stato verso i contribuenti  ([6]).

In conclusione,  la Corte di Cassazione italiana con le quattro sentenze del 26 gennaio 2004, anticipa e precorre addirittura  la nuova Costituzione dell’Unione Europea, che a sua volta vorrebbe  recepire in blocco  la Carta dei Diritti Fondamentali proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000,   dove si afferma nuovamente ed espressamente che i diritti fondamentali garantiti dalla  Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950  <<fanno parte del diritto dell’Unione Europea in quanto principi generali>> e si richiama espressamente <<la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e (..) quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo>>.

Oggi la Corte di Cassazione italiana si pone nel fecondo solco del diritto pretorio delle due Corti europee (Strasburgo e Lussemburgo) e lancia un forte segnale al legislatore ed ai giudici nazionali, circa la tutela dei diritti umani in Italia.


 

[1] Cassazione italiana, Sezioni Unite Civili,  sentenze n. 1338 (Balzini), n. 1339 (Lepore), n. 1340 (Corbo), n. 1341 (Lepore) tutte del 26 gennaio 2004.

[2]  M. de  Stefano, La diretta applicabilità dei diritti umani nell’ordinamento giuridico italiano, in “il fisco” n. 12 del 26 marzo 2001, pag. 4689 ss..

[3] M. de Stefano, Legge Pinto  sull’equa riparazione: conflitto tra Cassazione e Corte Europea dei Diriti dell’Uomo,  in “il fisco”  n. 26 del 7 luglio 2003, pag. 4033 ss.. Commento della decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  prima  sezione  del 27 marzo 2003, sulla ricevibilità  del ricorso n° 36813/97, presentato da  G.  M. Scordino ed altri contro l’Italia: testualmente nella parte motiva  di tale decisione : <<..La Corte (europea) ha effettuato un esame comparativo delle cento sentenze della Corte di Cassazione ad oggi disponibili. Ha potuto constatare che i principi stabiliti nelle due sentenze citate dai ricorrenti (vedere nella parte relativa al diritto interno rilevante) sono stati costantemente applicati, precisamente: mancato riconoscimento, al diritto ad un processo in tempi ragionevoli, dello status di diritto fondamentale; negazione della applicabilità diretta della Convenzione e della giurisprudenza di Strasburgo in materia di equa soddisfazione. La Corte non ha rinvenuto alcun caso in cui la Corte di Cassazione abbia preso in considerazione una doglianza relativa all’insufficienza delle somme accordate dalla Corte d’Appello rispetto al pregiudizio allegato o alla loro inadeguatezza rispetto alla giurisprudenza di Strasburgo. Si tratta effettivamente di censure che vengono rigettate dalla Corte di Cassazione perché considerate o come questioni di fatto, non rientranti nella sua competenza, o come questioni sollevate alla luce di disposizioni non applicabili direttamente.>>

[5].Corte Europea dei Diritti Umani  sentenza Bendenoun c. Francia del  24 febbraio 1994, série A no 284, p. 27, § 58) Kadri c. Francia ricorso  no 41715/98, decisione del  26 settembre 2000;  sentenza . Faivre  c. Francia (no 2) del  16 dicembre 2003,  ricorso  no 69825/01.

[6]  M. de  Stefano, Il mancato o ritardato rimborso delle imposte costituisce violazione dei diritti umani, in “il fisco” n. 36 del 6 ottobre 2003, pag. 5597 ss.. ove è anche pubblicata per esteso la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Strasburgo) , sez. I, Presidente Rozakis, del 3 luglio 2003, Buffalo s.r.l.   contro Italia , ricorso n. 38746/1997.