Caso Zubani

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, CASO ZUBANI CONTRO ITALIA sentenza del 07 agosto 1996

 

ricorso n. (43/1995/549/635)

 (violazione dell'articolo 1 del protocollo n°1, sul diritto di proprietà, in ipotesi di  espropriazione)

(traduzione non ufficiale a cura dell’avv. Giovanni Romano e di Maria Grazia Pellegrini)

 (estratto dalla motivazione)

.I FATTI

I. Le circostanze di specie

7. I ricorrenti, tre fratelli e una sorella, sono proprietari di una fattoria e di un terreno adiacente, che usano a scopo agricolo.

8. Il 21 agosto 1979, nell’ambito della realizzazione di  un piano generale di sviluppo adottato conformemente alla legge n° 167/62, il comune di Brescia  (il comune) emise un decreto di occupazione di urgenza del detto terreno, situato in un’area destinata ad edilizia economica e popolare.

9. Il 16 luglio 1980, il comune procedette all’occupazione materiale del terreno con l’assistenza della forza pubblica. Il 6 ottobre 1981, il Consiglio Regionale della Lombardia emise un provvedimento espropriativo.

10. Contestando fin dal principio la legittimità dell’azione dell’amministrazione, gli interessati avviarono diversi processi davanti al Tribunale amministrativo ed a quello civile.

A. L’azione possessoria davanti al Tribunale civile

11. Il 1° ottobre 1980, i ricorrenti si rivolsero al Pretore di Brescia, chiedendo la restituzione del terreno sul presupposto che il decreto di occupazione di urgenza del 21 agosto 1979 avesse perso la sua efficacia in quanto non eseguito nel termine di tre mesi dalla sua emanazione.

Con decisione cautelare del 10 gennaio 1981, il Pretore accolse la richiesta degli interessati. Il comune non ottemperò al giudicato.

Il 16 marzo 1983, deliberando in modo definitivo e sul merito, il Giudice revocò la sua prima decisione, in quanto, nel frattempo, il provvedimento espropriativo del 6 ottobre 1981 (paragrafo 9) aveva legittimato l’occupazione in questione. Dichiarò, tuttavia, illegittima l’occupazione  del  16 luglio 1980 qualificandola come atto di spoliazione e condannò il comune a risarcire il danno subito dai ricorrenti in conseguenza di tale fatto.

12. Il 13 giugno 1983, contestando quest’ultima parte, il comune di Brescia propose appello davanti al Tribunale di Brescia che, il 18 dicembre 1985, confermò la sentenza impugnata. Il testo di quest’ultima fu depositato in cancelleria il 13 giugno 1986.

13. Nel frattempo, il 16 aprile, le due cooperative incaricate dei lavori di costruzione (paragrafo 18) avevano iniziato, nei confronti dei ricorrenti, un nuovo giudizio al fine di   ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo apportato alla realizzazione del programma immobiliare, causati dalle   azioni giudiziarie.

B. La procedura sul merito davanti al Tribunale amministrativo

14. Con atto notificato il 12 novembre 1979, i ricorrenti chiesero al TAR Lombardia di annullare il decreto di occupazione di urgenza del 21 agosto 1979.

Il 22 luglio 1980, presentarono un nuovo ricorso contro l’occupazione materiale del terreno, poi il 6 gennaio 1982, davanti allo stesso tribunale, impugnarono il provvedimento espropriativo del 6 ottobre 1981.

15. Dopo la riunione dei diversi ricorsi, il TAR annullò, il 15 giugno 1984, i vari provvedimenti amministrativi  - incluso il provvedimento espropriativo - ma si dichiarò incompetente a giudicare in merito alla legittimità dell’occupazione del terreno dei ricorrenti, effettuata il 16 luglio 1980, ritenendo  tale questione di competenza del Tribunale ordinario. La sentenza fu depositata in cancelleria il 30 luglio 1984.

16. Il comune propose appello davanti al Consiglio di Stato che, con sentenza del 21 novembre 1985, depositata in cancelleria il 17 gennaio 1986, confermò la decisione del TAR.

C. Le procedure d’esecuzione

1. Davanti al Tribunale amministrativo

17. Poiché il comune non aveva ottemperato a quest’ultima sentenza, i ricorrenti lo citarono in giudizio  davanti al Consiglio di Stato.

18. Il 10 giugno 1986, il Consiglio di Stato si dichiarò incompetente e rinviò la causa al TAR Lombardia.

Il 16 luglio 1986, i ricorrenti si rivolsero al TAR che, il 24 ottobre 1986, accolse in parte la loro richiesta: decise, in sostanza, che l’annullamento del Consiglio di Stato del provvedimento espropriativo in questione imponeva al comune di procedere alla restituzione immediata della parte del suolo occupato su cui non era stato costruito alcun edificio, vale a dire 12.000 m2. Ne dispose, dunque, la restituzione nel termine di trenta giorni. Riguardo al terreno restante, su cui nel frattempo erano stati costruiti degli appartamenti, il TAR si dichiarò incompetente per disporre dei provvedimenti, in quanto, prima dell’annullamento dell’espropriazione, il comune lo aveva ceduto alle due cooperative di costruzione. Perciò, siccome i membri delle cooperative erano diventati gli occupanti materiali e, trattandosi di privati, né il comune né il TAR erano competenti per disporre un provvedimento d’esecuzione. Il TAR dispose che i ricorrenti riassumessero il giudizio davanti al Tribunale civile.

Depositata in cancelleria il 31 ottobre 1986, la sentenza non fu ottemperata.

2. Davanti al Tribunale civile

19. Il 29 luglio 1986, i ricorrenti misero in mora il comune affinché ottemperasse alla sentenza del 15 giugno 1984, confermata dal Consiglio di Stato il 21 novembre 1985.

20. Con atto notificato il 5 agosto 1986, il comune citò i ricorrenti davanti al Tribunale di Brescia, affinché fosse riconosciuta la nullità o l’inefficacia della messa in mora in quanto la decisione in questione non costituiva titolo idoneo per l’inizio di una procedura d’esecuzione.

I ricorrenti spiegarono domanda riconvenzionale al fine di ottenere dal Tribunale, oltre alla restituzione del terreno, la demolizione degli immobili costruiti su una parte dello stesso, la costruzione di una recinzione e il risarcimento dei danni subiti.

21. All’udienza del 26 marzo 1987, il Tribunale riservò la causa in decisione. Il 2 aprile 1987, annullò la messa in mora - in quanto, sebbene la sentenza del TAR avesse annullato i provvedimenti adottati nell’ambito dell’espropriazione, tuttavia non era automaticamente esecutiva - ed accolse la domanda riconvenzionale dei ricorrenti per ciò che riguardava il risarcimento dei danni e la restituzione del terreno.

22. Con un atto notificato il 12 giugno 1987, il comune propose appello.

Il 19 ottobre 1988, la causa fu riservata in decisione. Il 9 novembre 1988, la Corte d’appello di Brescia respinse in parte la decisione impugnata ai sensi della legge n° 458 del 27 ottobre 1988 (la legge del 1988), detta ‘Legge Zubani’. Tale legge, entrata in vigore il 3 novembre 1988, disciplinava quanto affermato dalla giurisprudenza in materia  con la sentenza della Corte di Cassazione (camere riunite) n° 1464 del 16 febbraio 1983, che prevede la cessione forzata del bene alla P.A. nel momento in cui, in seguito alla realizzazione di un’opera pubblica, la restituzione dello stesso diventi impossibile. L’interessato, in tali circostanze, aveva diritto ad un risarcimento integrale.

Con sentenza depositata in Cancelleria il 3 aprile 1990, la Corte di Cassazione rigettò il ricorso: la Corte d’Appello aveva applicato giustamente la legge del 1988 poiché i ricorrenti non avevano ancora ottenuto una decisione definitiva che condannasse il comune alla restituzione del terreno su cui era stato costruito.

25. Inoltre, il 15 novembre 1989, nell’ambito della procedura iniziata dalle cooperative nel 1981 (paragrafo 13), il Tribunale di Brescia sollevò, su prospettazione dei ricorrenti, una eccezione di incostituzionalità dell’art. 3 della legge del 1988. La Corte Costituzionale la rigettò il 12 luglio 1990 (sentenza n° 384 - § 35).

Il 28 novembre, il Tribunale rigettò le richieste degli attori e condannò il comune a risarcire gli interessati per i danni subiti, precisando che la questione doveva essere oggetto di una procedura separata.

26. Il 4 e 5 marzo 1993, i ricorrenti citarono le cooperative e il comune davanti al Tribunale affinché venisse stabilito l’ammontare del risarcimento a cui avevano diritto.

27. Il 26 aprile 1995, il Tribunale, considerando il comune il solo responsabile dell’occupazione in questione e dei danni causati, concesse agli interessati la somma di 599.605.830 lire italiane meno 100.000.000 di lire (rivalutate a 139.650.600, tenuto conto della svalutazione monetaria) versati dal comune nel 1988 come acconto, e lire 22.300.000 per le spese e l’onorario dell’avvocato. Depositata in cancelleria il 2 agosto 1995, la sentenza divenne definitiva l’11 ottobre e fu notificata al comune il giorno 13.

28. Il 29 settembre 1995, il Consiglio Comunale di Brescia dispose il pagamento delle somme dovute in favore dei ricorrenti. La prima, maggiorata degli interessi legali fino alla probabile data del versamento (31 ottobre 1995), ammontava a lire 1.015.255.000.

29. Il 20 ottobre 1995, gli interessati inviarono la messa in mora al comune, che, il 29 novembre successivo,  versò loro la somma di lire 751.164.000.

30. Il 17 gennaio 1996, ai sensi dell’art. 543 del codice di procedura civile, citarono il comune e la sua banca a comparire il 26 marzo 1996 davanti al Giudice dell’Esecuzione affinché questi procedesse al sequestro dei crediti appartenenti al comune in modo da ottenere le somme che ancora gli spettavano. Il 18 gennaio 1996, l’ufficiale giudiziario pignorò lire 250.000.000.

II. Il diritto interno pertinente

A. Le disposizioni legislative

31. L’art. 20 § 1 della legge 865 del 22 ottobre 1988 dispone:

‘L’occupazione di urgenza delle aree da espropriare è pronunciata con decreto del prefetto. Tale decreto perde efficacia ove l’occupazione non segue nel termine di tre mesi dalla sua emanazione’

32. L’art. 3 della legge n° 458 del 27 ottobre 1988 dispone:

‘Il proprietario del terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, ha diritto al risarcimento del danno causato da provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene.

 Oltre al risarcimento del danno spettano le somme dovute a causa della svalutazione monetaria e le ulteriori somme di cui all’art 1124, secondo comma, del codice civile, a decorrere dal giorno dell’occupazione illegittima.’

33. L’art. 1224 § 2 del codice civile dispone:

‘Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non  è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori.’

34. L’art. 543 del codice di procedura civile dispone:

‘Il sequestro del denaro del debitore verso terzi (...) si effettua con atto notificato ai terzi e al debitore...’

B. La giurisprudenza

35. Interpretando l’art. 3 della legge del 1988 la Corte Costituzionale, nella sua sentenza del 12 luglio 1990 (n° 384), ha ritenuto che:

‘Con la norma ora impugnata il legislatore, nel contrasto fra l’interesse dei proprietari dei suoli - quello di ottenere in caso di espropriazione illegittima, la restituzione del terreno - e l’interesse pubblico - realizzato con l’impiego dei predetti   beni per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata - ha dato prevalenza a quest’ultimo interesse.’

PROCEDURA DAVANTI ALLA COMMISSIONE

36. I ricorrenti hanno presentato il ricorso alla Commissione il 26 gennaio 1988. Invocando gli artt. 6 § 1 e 8 della Convenzione (art 6-1, art.. 8) e l’art. 1 del protocollo n° 1 (P1-1),  lamentavano:

1) la durata dei processi davanti ai Tribunali civili ed amministrativi;

2) la violazione del diritto al rispetto della loro dimora;

3) la violazione del diritto al rispetto dei loro beni.

37. Il 6 dicembre 1993, la Commissione ha ritenuto il ricorso ricevibile per ciò che riguarda la terza doglianza e l’ha rigettato per il restante. Nel suo rapporto del 21 febbraio 1995 (art. 31), ha concluso all’unanimità che c’era stata la violazione dell’art. 1 del Protocollo n° 1 (P1-1). Il testo completo della sua opinione è annesso alla presente sentenza.

CONCLUSIONI PRESENTATE ALLA CORTE DAL GOVERNO

38. Nella sua memoria, il Governo chiede alla Corte, prima di tutto di rigettare la doglianza dei ricorrenti in quanto, per ciò che riguarda la presentazione del ricorso, non sarebbe stato rispettato il termine di sei mesi o per il non esaurimento delle vie di ricorso interne (art. 26 della Convenzione). In secondo luogo, la prega di dire che non c’è stata alcuna violazione dell’art. 1 del Protocollo n° 1 (P1-1).

IN DIRITTO

I. ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO

A. Ritardo del ricorso

39. Il Governo contesta, in primo luogo, che nel presentare il loro ricorso il 26 febbraio 1988, i ricorrenti abbiano superato il termine di sei mesi stabilito dall’art. 26 della Convenzione (art. 26): il trasferimento della proprietà del terreno in questione era avvenuto non all’entrata in vigore della legge del 1988 (paragrafo 22), ma nel 1981, quando le cooperative avevano costruito gli immobili. Cita la sentenza della Corte di Cassazione n° 1464 del 26 febbraio 1983 (Il Foro italiano, 1983, I, col. 626), secondo la quale, anche in presenza di una espropriazione illegittima, la P.A. acquista la proprietà di un terreno ‘nel momento in cui viene stabilito in modo irreversibile il suo carattere di proprietà [d’interesse] pubblico.’

40. La Corte sottolinea, in primo luogo, che il ricorso alla Commissione da parte degli interessati è precedente all’entrata in vigore della legge del 1988.

Inoltre osserva, con il delegato della Commissione e il consulente dei ricorrenti, che la giurisprudenza menzionata dal Governo, ammesso che sia importante, si riferisce solo all’espropriazione e non all’occupazione di urgenza, ed, inoltre, non può essere ritenuta  un precedente vincolante. Invece, il 2 aprile 1987, il Tribunale di Brescia dispose la restituzione immediata del terreno.

L’eccezione deve, dunque, essere rigettata per mancanza di fondamento.

B. Sul non esaurimento delle vie di ricorso interne

41. In secondo luogo, il Governo sostiene che le vie di ricorso interne non siano state esaurite in quanto le signore ed il signor Zubani si sarebbero sempre rivolti alle giurisdizioni civili per ottenere il risarcimento previsto dalla legge in questione.

42. Secondo la Commissione, i ricorrenti sono obbligati ad esaurire solo i ricorsi effettivi e, nel caso di specie, la lunga durata dei processi priva della sua efficacia la via indicata dal Governo.

43. La Corte constata che il 28 novembre 1991, nell’ambito del processo intrapreso dalle cooperative contro i ricorrenti, questi ultimi ottennero la condanna del comune di Brescia (il comune) al rimborso dei danni subiti  (paragrafo 25). In seguito, le signore e il signor Zubani si rivolsero, il 4 e 5 marzo 1993, dunque nove mesi prima della decisione della Commissione sulla ricevibilità del ricorso (6 dicembre 1993), al Tribunale che, il 26 aprile 1995, stabilì la somma a cui avevano diritto per il risarcimento (paragrafo 26 e 27). In conclusione, i ricorrenti hanno esaurito le vie di ricorso interne e perciò l’eccezione deve essere rigettata.

II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N° 1

44. I ricorrenti adducono una violazione del diritto al rispetto dei loro beni derivante dall’occupazione illegale del loro terreno da parte delle autorità. Invocano l’art. 1 del Protocollo n° 1 che dispone

...omissis...

45. La Corte sottolinea che il Governo e la Commissione concordano col dire che l’ingerenza in questione fosse da considerarsi una privazione di proprietà come indica la seconda frase dell’art. 1 (P1-1), che è prevista dall’art. 3 della legge del 1988 (paragrafo 32) e che ha come scopo un interesse di pubblica utilità, vale a dire la costruzione di immobili destinati ad una categoria di persone svantaggiate.

46. Di conseguenza, si tratta unicamente di ricercare se è stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e i diritti fondamentali dell’individuo (vedere in particolare la sentenza Sporrong  e Lonnroth c. Svezia del 23 settembre 1982, serie A n° 52, p. 26, § 69).

47. Il Governo ha sostenuto che, adottando la legge del 1988, il legislatore italiano abbia valutato per bene gli interessi in gioco prevedendo un risarcimento integrale per le ‘vittime’ di espropriazioni illegittime. L’eccezione di incostituzionalità dell’art. 3 della detta legge, sollevata dai ricorrenti, era stata rigettata il 12 luglio 1990 per tale ragione (paragrafi 25 e 35). L’argomento della Commissione secondo cui l’amministrazione sarebbe incoraggiata a commettere degli abusi se sapesse in anticipo che qualsiasi irregolarità sarebbe resa legittima con provvedimenti aventi efficacia retroattiva, si fonderebbe su una conoscenza piuttosto superficiale della procedura di espropriazione. In effetti, il funzionario responsabile di un atto amministrativo illegittimo può essere chiamato a rimborsare allo Stato il danno che il suo comportamento ha causato.

Il Governo sottolinea anche l’importanza, in rapporto alla superficie totale occupata dagli immobili costruiti dalle cooperative, della somma (1.015.255.000 di lire solo per 8670 m2) concessa ai ricorrenti, che avrebbero chiesto tra le altre cose solo nel maggio 1993 il risarcimento per la perdita del loro terreno.

In conclusione, lo Stato italiano non avrebbe superato il limite di valutazione stabilito dal secondo paragrafo dell’art. 1 del Protocollo n° 1 (P1-1-2).

48. I ricorrenti denunciano la spoliazione del loro terreno di cui sono state vittime il 16 luglio 1980 ed il rifiuto da parte del comune di ottemperare alle sentenze dei Tribunali amministrativi e civili che  ordinavano loro sia la restituzione del suolo in questione sia il risarcimento dei danni. Contestano anche il tentativo del comune di applicare alla disputa, durata oltre sei anni, la legge n° 549 del 28 dicembre 1995 (la legge del 1995) che autorizzava la riduzione del 40% dei risarcimenti per le espropriazioni illegittime. Tale comportamento del legislatore sarebbe in netto contrasto con lo spirito della legge del 1988 e l’interpretazione del suo articolo 3 fatta dalla Corte Costituzionale nel 1990.

49. Con il delegato della Commissione, la Corte sottolinea come la scelta legislativa, mirante a privilegiare l’interesse della collettività in casi di espropriazione o di occupazione illegittima di terreni, sia ragionevole; il pagamento integrale dei danni subiti dai proprietari interessati costituisce un risarcimento sufficiente perché, oltre al rimborso dei danni, l’amministrazione è tenuta a pagare anche una somma equivalente alla svalutazione monetaria da calcolare a partire dal giorno dell’atto illegittimo. Tuttavia, la legge in questione è entrata in vigore nel 1988, quando il contenzioso che interessava la proprietà dei ricorrenti durava già da otto anni (paragrafo 11) e, sebbene il comune in un primo tempo, il 29 settembre 1995, avesse accettato di versare agli interessati le somme concessegli dal Tribunale di Brescia, successivamente appariva  tuttavia riluttante a pagare l’intera somma. Inoltre, e anche se questa circostanza non sia da ritenersi essenziale, il verbale della seduta del Consiglio comunale di Brescia tenuto in quest’ultima data, indica che la proposta di chiedere alla Corte dei Conti di stabilire la responsabilità amministrativa per il danno subito dal bilancio comunale era stata rigettata con ventiquattro voti contro sei, con un astenuto.

Per ciò che riguarda, infine, gli altri argomenti del Governo convenuto, la Corte ritiene che l’importanza della somma concessa dal Tribunale di Brescia non potrebbe essere determinante nel caso di specie tenuto conto della durata dei processi iniziati dalle signore e dal signor Zubani.

La Corte si limita a sottolineare che se la somma di lire 1.015.255.000 può sembrare enorme in rapporto alla superficie effettivamente occupata dagli alloggi, non si deve dimenticare che la proprietà dei ricorrenti - 21.960 m2 che costituiva il supporto alla loro attività di allevatori - era stata ugualmente attraversata da una nuova strada, in modo che le parti restituite erano, e sono, difficilmente accessibili agli interessati.

50. Tenendo conto dell’insieme di questi elementi, la Corte ritiene che il ‘giusto equilibrio’ tra la salvaguardia del diritto di proprietà e ‘le esigenze dell’interesse generale’ sia stato rotto. Pertanto, c’è stata la violazione dell’art. 1 del Protocollo n° 1 (P1-1).

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 50 DELLA CONVENZIONE

51. Ai sensi dell’art. 50 della Convenzione

...omissis...

52. I ricorrenti reclamano diversi miliardi di lire italiane per il danno morale subito e per le spese e l’onorario dell’avvocato. Denunciano l’impossibilità di rientrare in possesso del loro bene e i tentativi del comune, che invoca la legge del 1995 (paragrafo 48), per sottrarsi al pagamento integrale delle somme concesse dal Tribunale di Brescia il 26 aprile 1995 (paragrafo 30).

53. Per ciò che riguarda il danno materiale e morale e i costi e le spese davanti ai Tribunali interni e agli organi della Convenzione, la Corte ritiene, insieme al delegato della Commissione, che la questione dell’applicazione dell’art. 50 non sia pronta per la decisione, in quanto i comparenti non hanno fornito delle informazioni accurate su tale punto. Pertanto, è necessario riservare la decisione sul punto e fissare il processo in data da stabilirsi tenendo conto della possibilità di un accordo tra lo Stato convenuto e i ricorrenti (art. 56 § 1 e 4 del regolamento B).

PER TALI MOTIVI, LA CORTE ALL’UNANIMITA’,

1. Rigetta le eccezioni preliminari del Governo;

2. Afferma che c’è stata la violazione dell’art. 1 del Protocollo n° 1 (P1-1);

3. Afferma che la questione dell’art. 50 non è pronta per la decisione per ciò che riguarda i danni materiali e morali, per i costi e le spese davanti ai Tribunali nazionali e agli organi della Convenzione;

Di conseguenza,

a) riserva la decisione su tale punto;

b) invita il Governo ed i ricorrenti a presentargli per iscritto, nel termine di tre mesi, le loro osservazioni sulla detta questione ed in particolare a comunicargli ogni possibile accordo al quale possano giungere;

c) rinvia il processo e delega al Presidente il compito di rifissarlo se del caso.

Redatto in francese e in inglese, poi pronunciata in udienza pubblica nel Palazzo dei Diritti dell’Uomo, a Strasburgo, il 7 agosto 1996.