Caso Vittorio Emanuele di Savoia

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 
CASO  VITTORIO EMANUELE di SAVOIA contro ITALIA 
DECISIONE del 13 settembre 2001 SULLA RICEVIBILITA’  
del Ricorso n° 
53360/1999

 
Ammissibilità dell’ esame nel merito, limitatamente alle violazioni allegate dal ricorrente circa 

- il suo divieto d’ingresso e di soggiorno in Italia con riferimento all’articolo 3 § 2 del Protocollo n° 4, (divieto di espulsione dei cittadini), 
- il conseguente  trattamento umiliante e degradante con riferimento all’articolo 3 della Convenzione (proibizione della tortura), 
- la lesione dei diritti elettorali con riferimento all’articolo  3 del Protocollo n° 1 (libere elezioni), 
- violazioni considerate da sole o combinate con l’articolo 14 della Convenzione (discriminazione nel godimento dei diritti e libertà fondamentali).

Non ammissibilità dell’ esame nel merito, delle ulteriori violazioni allegate dal ricorrente circa 

- diritto alla libertà (articolo 5 della Convenzione), 
- del diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8 della Convenzione), 
- del diritto alla libertà di riunione (articolo 11 della Convenzione), 
- diritto di difendersi (articolo 6 della Convenzione), 
- confisca dei beni (articolo 1 del Protocollo n° 1) , 
- restrizione alla sua libertà di circolazione (articolo 2 del Protocollo n° 4).

Comunicato del Cancelliere

IL CASO VITTORIO EMANUELE di SAVOIA c. ITALIA
PARZIALMENTE RICEVIBILE

Il 13 settembre 2001, un collegio della seconda sezione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato parzialmente ricevibile il ricorso nel caso di Vittorio Emanuele di Savoia contro l’Italia (n° 53360/99).

La Corte ha ugualmente deciso di tenere una udienza quanto al merito delle doglianze dichiarate ricevibili. La data sarà fissata ulteriormente.

Fatti

Il ricorrente è il figlio di Umberto II, ultimo re d’Italia. Ha lasciato l’Italia nel 1946 quando, in seguito al referendum del 2 giugno 1946 sul regime politico dell’Italia, il padre è partito in esilio a causa della proclamazione della repubblica italiana. Dopo il decesso di Umberto II, intervenuto il 18 marzo 1983, il ricorrente è il nuovo capo di Casa Savoia.

Con il presente ricorso, il ricorrente si lamenta del divieto di ingresso e di soggiorno in Italia al quale è sottoposto in virtù della costituzione italiana. Adottata il 22 giugno 1947, la costituzione della Repubblica italiana è entrata in vigore il 1° gennaio 1948. La XIII disposizione transitoria e finale riguarda i membri e i discendenti di Casa Savoia. Il primo paragrafo indica che "I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive". Il secondo paragrafo stabilisce che "Agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale".

Quest’ultimo paragrafo è stato oggetto di alcuni pareri (Consiglio di Stato) o decisioni (giudiziarie e costituzionale) che le giurisdizioni italiane sono state portate a prendere.

Per quanto riguarda i pareri del Consiglio di Stato, due sono stati espressi in seguito al decesso di Umberto II. Il terzo, adottato il 1° marzo 2001, riguardava l’interpretazione da dare alla XIII disposizione dopo il decesso di Maria-José di Savoia, avvenuto il 27 gennaio 2001. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che il divieto non poteva non applicarsi nei confronti di tutti i discendenti maschi degli ex re d’Italia.

Doglianze

Davanti alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, il ricorrente si lamenta innanzi tutto del divieto d’ingresso e di soggiorno in Italia. Allega la violazione dell’articolo 3 § 2 del Protocollo n° 4 (divieto di espulsione dei cittadini) alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e chiede alla Corte di dichiarare che lui e i suoi discendenti maschi hanno il diritto di entrare e di soggiornare sul territorio italiano.

Poi, il ricorrente si lamenta di essere oggetto di discriminazione nel godimento dei diritti e libertà fondamentali (articolo 14 della Convenzione), e più particolarmente di essere stato privato del diritto alla libertà (articolo 5), del diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8), del diritto alla libertà di riunione (articolo 11), dei diritti elettorali (articolo 3 del Protocollo n° 1) e del diritto di difendersi (articolo 6 della Convenzione), con la conseguenza della violazione, da parte dello stato italiano, del principio del divieto di un trattamento che, nell’insieme, per la sua durata e per le conseguenze morali e materiali, deve essere considerato come umiliante e degradante (articolo 3 della Convenzione). Il ricorrente si lamenta ugualmente della confisca dei beni (articolo 1 del Protocollo n° 1) e di una restrizione alla sua libertà di circolazione (articolo 2 del Protocollo n° 4).

Decisione

Con la sua decisione, la Corte ha dichiarato ricevibili, riservandosi l’esame degli argomenti sul merito, le doglianze del ricorrente riguardanti l’articolo 3 § 2 del Protocollo n° 4, come pure gli articoli 3 della Convenzione e 3 del Protocollo n° 1, considerati da soli o combinati con l’articolo 14 della Convenzione. La Corte ha dichiarato irricevibile il ricorso per il resto (le altre doglianze).

Il caso è stato esaminato da una camera composta da :

Christos Rozakis, (greco), presidente,
András Baka, (ungherese)
Luigi Ferrari Bravo, (italiano), giudice ad hoc,
Marc Fiscbach, (lussemburghese)
Viera Stráznická, (slovacca)
Margarita Tsatsa-Nikoloska, (cittadina della « ex Repubblica Yugoslava di Macedonia »)
Egil Levits, (lettone), giudici,
Anatoly Kovler, (russo), giudice supplente,

Erik Fribergh, cancelliere di sezione.