La sentenza così motiva
( traduzione non ufficiale a cura dell’avv. Maurizio de Stefano)
SECONDA SEZIONE
Sentenza del 1° marzo 2001 sul ricorso n° 46969/99 presentato da PROCOPIO
contro Italia
Nel caso Procopio c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (seconda sezione), riunitasi in una camera composta da
A.B. Baka, presidente, B. Conforti, G. Bonello, V. Strážnická, M. P. Lorenzen, M.Tsatsa-Nikolovska, E. Levits, giudici, e da E. Fribergh, cancelliere di sezione,
Dopo averla deliberata, nella camera di consiglio del 8 febbraio 2001, rende la seguente sentenza, adottata nella stessa data:
PROCEDURA
1. All'origine del caso vi è un ricorso proposto contro la Repubblica italiana da parte di un cittadino italiano, signor Saverio Rocco Procopio ( “il ricorrente”), il quale aveva adito la Commissione europea dei Diritti dell'Uomo il 30 ottobre 1997 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, ( “la Convenzione” ). Il ricorso è stato registrato il 22 marzo 1999 con il numero di fascicolo 46969/99. Il ricorrente è rappresentato dall’avv. D. Sommario, avvocato a Rossano Scalo (Cosenza). Il Governo italiano (il “Governo”) è rappresentato dal suo agente Sig. U. Leanza, e dal suo coagente Sig. V. Esposito.
2. La Corte ha dichiarato il ricorso ricevibile il 2 marzo 2000.
IN FATTO
3. Il 14 marzo 1983, il tribunale di Monza dichiarò il fallimento del ricorrente e nominò un curatore fallimentare.
4. Il 3 aprile 1992, il ricorrente sollecitò un concordato con il fallimento. Il 19 agosto 1996, egli dichiarò di rinunciare a questa proposta, che non aveva per lui più interesse, perché il prolungamento della procedura fallimentare gli aveva impedito di trovare un lavoro. Il 20 febbraio 1997, il giudice del fallimento constatò la revoca del concordato. Il 31 agosto 1999, il curatore fallimentare presentò una domanda tendente alla chiusura della procedura fallimentare. Con ordinanza del 15 settembre 1999, il Tribunale di Monza dichiarò la chiusura della predetta procedura.
IN DIRITTO
I. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL' ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
5 Il ricorrente lamenta che la durata del processo non ha rispettato il principio del <<termine ragionevole>> come previsto dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) che deciderà (…) delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)”
6 Il Governo si oppone a questa tesi.
7 Il periodo da considerare è iniziato il 14 marzo 1983 ed è terminato il 15 settembre 1999.
9 Esso dunque è durato più di sedici anni e sei mesi per un grado di giudizio.
9 La Corte ricorda di aver constatato in numerose cause (vedere, per esempio, Bottazzi c. Italia [GC], n° 34884/97, § 22, CEDH 1999-V), l’esistenza in Italia di una prassi contraria alla Convenzione risultante da un cumulo di trasgressioni all’esigenza del « termine ragionevole ». Nella misura in cui la Corte constata una tale trasgressione , questo cumulo costituisce una circostanza aggravante della violazione dell’articolo 6 § 1.
10 Avendo esaminato i fatti della causa alla luce degli argomenti delle parti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte reputa che la durata del processo non corrisponda all’esigenza del « termine ragionevole » e che quivi sussiste ancora una manifestazione della prassi precitata.
Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1.
II SULL’APPLICAZIONE DELL’ART 41 DELLA CONVENZIONE
11 Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, « Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto interno della Alta Parte contraente non permette che in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa. »
A DANNO
12 l ricorrente chiede 100.000.000= di lire italiane (ITL) a titolo di danno materiale e 300.000.000(ITL) a titolo di danno morale che avrebbe subito..
13 La Corte non ravvisa il nesso di causalità tra la violazione constatata e la richiesta di danno materiale e rigetta questa domanda. Per contro, la Corte considera che ci siano i presupposti per concedere al ricorrente 60.000.000 (ITL) a titolo di danno morale.
B. SPESE
14 Il ricorrente si rimette alla Corte quanto alla valutazione delle spese legali sostenute davanti alla Corte.
15 Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente non può ottenere il rimborso delle sue spese legali se non nella misura in cui esse siano accertate nella loro realtà, necessità e carattere ragionevole del loro ammontare (vedi ad esempio, la sentenza Bottazzi precitata, § 30). Nel caso di specie, tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri predetti, la Corte reputa ragionevole la somma di 3.000.000 (ITL) per la procedura davanti alla Corte e la concede al ricorrente.
.C. INTERESSI MORATORI
16 Secondo le informazioni di cui dispone la Corte, il tasso d’interesse legale applicabile in Italia alla data di adozione della presente sentenza era del 3,5 % annuo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1 Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;
2 Dichiara
a) che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro i tre mesi a decorrere dal giorno in cui la decisione è divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, 60.000.000(sessanta milioni) di lire italiane, a titolo di danno morale e 3.000.000(tre milioni) di lire italiane per le spese legali;
b) che questo importo sarà maggiorato dell’interesse semplice del 3,5% annuo dalla data di scadenza di questo termine fino al versamento;
3 Rigetta per il surplus la domanda di equa soddisfazione .
** Redatta in francese, poi comunicata per iscritto il 1° marzo 2001, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento.
Andràs Baka Presidente
Erik Fribergh Cancelliere
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