Caso Brusco

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 
CASO  BRUSCO contro ITALIA 
DECISIONE del 06 settembre 2001 SULLA RICEVIBILITA’  
del Ricorso n°  69789/2001

 

NON ammissibilità dell’ esame nel merito, della violazione allegata dal ricorrente circa il termine non ragionevole di durata di un processo penale (articolo 6 della Convenzione),    a seguito della legge italiana del 24 marzo 2001 n. 89, "legge Pinto" sulla "Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo ", ancorché il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo fosse stato inoltrato prima dell’entrata in vigore della predetta legge italiana.

La sentenza così motiva

(traduzione non ufficiale a cura dell’avv. Maurizio de Stefano)

SECONDA SEZIONE

DECISIONE SULLA RICEVIBILITÀ

Del ricorso n° 69789/01
presentato da  Umberto BRUSCO
contro l’Italia

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo (seconda sezione), riunitasi il 6 settembre 2001 in una camera composta da

          Sig..          C.L. Rozakis, presidente,
                    A.B. Baka,
                   P. Lorenzen,
          Sig.ra M. Tsatsa-Nikolovska,
          Sig..   E. Levits,
                   A. Kovler,
                   V. Zagrebelsky, giudici,

e dal Sig. E. Fribergh, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso suddetto presentato il 6 dicembre 2000 e registrato il  31 maggio 2001,

Dopo  averla deliberata,  rende la seguente decisione:

IN FATTO

Il ricorrente, Umberto Brusco, è in cittadino italiano, nato nel 1958 e residente a Quarto Flegreo (Napoli). Egli è  rappresentatato davanti alla Corte da A. Murante Perrotta, avvocato a Napoli.

A.  Le circostanze della fattispecie

I fatti della causa, così come sono stati esposti dal ricorrente, possono sintetizzarsi nei seguenti termini.

1.  La procedura penale diretta contro il ricorrente

Il 23 marzo 1992, il ricorrente, accusato di corruzione ed associazione a delinquere, fu arrestato (arresti domiciliari). Egli fu rimesso in libertà il 17  luglio 1992.

Il 19 febbraio 1993, il Procuratore della Repubblica  di Napoli chiese il rinvio a giudizio del ricorrente e di numerose altre persone. Con una ordinanza del 10 novembre 1993, il giudice dell’udienza preliminare di Napoli accolse tale domanda.

La prima udienza davanti al tribunale di Napoli ebbe luogo il 14 febbraio 1994. Dopo tre udienze, il 30 marzo e 6 e 13 aprile 1994, alcuni testimoni furono interrogati. Il 20 aprile, l’11 maggio e l’ 8 giugno 1994, la causa fu rinviata in conseguenza dello sciopero degli avvocati. Il 28 settembre 1994, il tribunale , avendo constatato che la sua camera era composta da giudici diversi da quelli che avevano partecipato alle udienze precedenti, ordinò la rinnovazione di ogni atto compiuto nel corso del dibattimento. Dopo  numerose udienze –  27 settembre, 4, 11, 18, 23 e 25 ottobre, 3 e 4 novembre 1995 –, le parti presentarono le loro conclusioni.

Con sentenza del 4 novembre 1995, il cui testo fu depositato in cancelleria l’ 11 giugno 1996, il tribunale di Napoli condannò il ricorrente ad una  pena di tre anni di reclusione per corruzione. Prosciolse l’interessato dall’accusa di associazione a delinquere.

Il Pubblico Ministero ed il ricorrente interposero  appello davanti alla corte d’appello di Napoli.

La data della prima udienza fu fissata al 21 aprile 1997. Il 5 maggio 1997, la causa venne rinviata prima al 20 settembre 1997 in conseguenza dello sciopero degli avvocati, poi al 10 novembre 1997 su richiesta degli imputati. Il giorno prefissato, la procedura fu rinviata al 4 maggio 1998 in conseguenza dello sciopero degli avvocati.

Il 3 novembre 1998, gli imputati chiesero un rinvio, osservando che un ricorso concernente una questione pertinente per la decisione della loro  causa era  pendente davanti la Corte costituzionale. La corte d’appello accolse tale istanza. La Corte costituzionale rese la sua sentenza il 22 luglio 1999 e la data dell’udienza davanti la corte d’appello di Napoli fu fissata al 5 ottobre 1999. Dopo numerosi rinvii, le parti presentarono le loro conclusioni il 7 aprile 2000.

Con sentenza del 7 aprile 2000, il cui testo fu depositato in cancelleria il 20 aprile 2000, la corte d’appello di Napoli prosciolse il ricorrente. Questa decisione passò in giudicato il 22 giugno 2000.

2.  L’entrata in vigore della legge n° 89 del 24 marzo 2001

Con lettera del 15 maggio 2001, il cancelliere della Corte ha informato il ricorrente dell’entrata in vigore , il 18 aprile 2001, della legge n° 89 del  24 marzo 2001 (d’ora innanzi « la legge Pinto »), che ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una via di ricorso contro la lentezza eccessiva delle procedure giudiziarie. Il ricorrente è stato contemporaneamente invitato  a sottoporre la sua doglianza innanzitutto alle giurisdizioni nazionali.

Con un fax del  29 maggio 2001, il ricorrente ha indicato che egli non desiderava avvalersi del ricorso offerto dalla legge Pinto ed ha insistito perché il suo ricorso indirizzato alla Corte fosse registrato. Egli ha osservato, segnatamente, che esso era stato presentato il 6 dicembre 2000, cioè prima della pubblicazione e dell’ entrata in vigore della legge Pinto.

B.  Il diritto interno pertinente

Con una  legge di revisione costituzionale n° 2 del 23 novembre 1999, il Parlamento italiano ha deciso  d’inserire il   principio dell’equo processo nella stessa Costituzione. L’articolo 111 della Costituzione, nella sua nuova formulazione e nelle sue parti pertinenti, recita testualmente :

« 1.  La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.

2.  Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. »

Al fine di rendere effettivo a livello  interno il principio della « durata ragionevole », ormai iscritto nella Costituzione, il Parlamento ha successivamente deliberato, il 24 marzo 2001, la legge Pinto, che, nelle sue parti pertinenti, recita testualmente :

Art. 2. (Diritto all’equa riparazione)

    1. Chi ha subíto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione.

    2. Nell’accertare la violazione il giudice considera la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione.

    3. Il giudice determina la riparazione a norma dell’articolo 2056 del codice civile, osservando le disposizioni seguenti:

        a) rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di cui al comma 1;

        b) il danno non patrimoniale è riparato, oltre che con il pagamento di una somma di denaro, anche attraverso adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell’avvenuta violazione.

 

Art. 3. (Procedimento)

    1. La domanda di equa riparazione si propone dinanzi alla corte di appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata.

    2. La domanda si propone con ricorso depositato nella cancelleria della corte di appello, sottoscritto da un difensore munito di procura speciale e contenente gli elementi di cui all’articolo 125 del codice di procedura civile.

    3. Il ricorso è proposto nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, del Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare, del Ministro delle finanze quando si tratta di procedimenti del giudice tributario. Negli altri casi è proposto nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri.

    4. La corte di appello provvede ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione della camera di consiglio, è notificato, a cura del ricorrente, all’amministrazione convenuta, presso l’Avvocatura dello Stato. Tra la data della notificazione e quella della camera di consiglio deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni.

    5. Le parti hanno facoltà di richiedere che la corte disponga l’acquisizione in tutto o in parte degli atti e dei documenti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all’articolo 2 ed hanno diritto, unitamente ai loro difensori, di essere sentite in camera di consiglio se compaiono. Sono ammessi il deposito di memorie e la produzione di documenti sino a cinque giorni prima della data in cui è fissata la camera di consiglio, ovvero sino al termine che è a tale scopo assegnato dalla corte a seguito di relativa istanza delle parti.

    6. La corte pronuncia, entro quattro mesi dal deposito del ricorso, decreto impugnabile per cassazione. Il decreto è immediatamente esecutivo.

    7. L’erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene, nei limiti delle risorse disponibili, a decorrere dal 1º gennaio 2002.

 

Art. 4. (Termine e condizioni di proponibilità)

    1. La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva.

 

Art. 5.(Comunicazioni)

    1. Il decreto di accoglimento della domanda è comunicato a cura della cancelleria, oltre che alle parti, al procuratore generale della Corte dei conti, ai fini dell’eventuale avvio del procedimento di responsabilità, nonché ai titolari dell’azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento.

 

Art. 6.(Norma transitoria)

    1. Nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, coloro i quali abbiano già tempestivamente presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, possono presentare la domanda di cui all’articolo 3 della presente legge qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità da parte della predetta Corte europea. In tal caso, il ricorso alla corte d’appello deve contenere l’indicazione della data di presentazione del ricorso alla predetta Corte europea.

     2. La cancelleria del giudice adìto informa senza ritardo il Ministero degli affari esteri di tutte le domande presentate ai sensi dell’articolo 3 nel termine di cui al comma 1 del presente articolo.

 

Art. 7.(Disposizioni finanziarie)

    1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in lire 12.705 milioni a decorrere dall’anno 2002, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2001-2003, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 2001, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

    2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

DOGLIANZE

Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente si duole della durata della procedura penale intrapresa a suo carico.

IN DIRITTO

Il ricorrente si duole  della durata della procedura penale intrapresa a suo carico. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, recita testualmente :

 « Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…)entro un termine ragionevole da un tribunale (…), il quale deciderà (…)della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. »

La Corte deve innanzitutto stabilire se il ricorrente ha esaurito, conformemente all’articolo 35 § 1 della Convenzione, le vie di ricorso che gli erano aperte nel diritto italiano.

Essa ricorda che la regola dell’esaurimento tende  ad offrire agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o di riparare le pretese violazioni allegate contro essi prima che queste allegazioni siano sottoposte alla Corte (vedere, tra le tante, la sentenza Selmouni c. Francia [GC], n° 25803/94, § 74, CEDH 1999-V). Questa  regola si fonda sull'ipotesi, oggetto dell'articolo 13 della Convenzione – e con il quale essa presenta strette affinità –, che l'ordinamento interno offra un ricorso effettivo quanto alla violazione allegata (ibidem). Di modo che , essa costituisce un aspetto importante del principio secondo il quale  il  meccanismo di salvaguardia instaurato dalla Convenzione riveste  un carattere sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di garanzia dei Diritti dell’Uomo (sentenze Akdivar ed altri c. Turchia del 16 settembre 1996, Recueil des arrêts et decisiones 1996-IV, p. 1210, § 65, e Aksoy c. Turchia del 18 dicembre 1996, Recueil 1996-VI, p. 2275, § 51).

Tuttavia, le disposizioni dell'articolo 35 della Convenzione  prescrivono l’esaurimento solo nel caso di ricorsi,  relativi alle violazioni incriminate, che siano nello stesso tempo  , accessibili ed adeguati. Essi devono esistere con un grado sufficiente  di certezza non soltanto in teoria ma anche in pratica, senza di ciò manca la loro l'effettività e l'accessibilità richieste (vedere, segnatamente, le sentenze Akdivar ed  altri precitate, p. 1210, § 66, e Dalia c. Francia del 19 febbraio 1998, Recueil 1998-I, pp. 87-88, § 38). Inoltre, secondo i « principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti », certe circostanze particolari possono dispensare il ricorrente dell'obbligo dell’esaurimento delle vie di ricorso interne che gli si offrono (sentenza Selmouni predetta, § 75). Tuttavia, la Corte sottolinea che il semplice fatto di nutrire dei dubbi circa le prospettive di successo di un dato ricorso che non è di tutta evidenza votato all’insuccesso non costituisce una valida ragione per giustificare la mancata utilizzazione dei ricorsi interni (sentenze Akdivar, predetta, p. 1212, § 71, e Van Oosterwijck c. Belgio del 6 novembre 1980, serie A n° 40, p. 18, § 37 ; vedi anche Koltsidas, Fountis, Androutsos ed altri c. Grecia, ricorsi no 24962/94, 25370/94 e 26303/95 (riuniti), decisione della Commissione del 1°  luglio 1996, Decisioni e Rapporti (DR) 86-B, pp. 83, 93).

Nel caso di specie , la Corte osserva preliminarmente che il ricorrente può avvalersi della norma transitoria contenuta nell’articolo 6 della legge Pinto. Il ricorso alla corte d’appello dunque è a lui  accessibile.

Essa rileva inoltre che la legge Pinto mira , tra l’altro, a rendere effettivo a livello interno il principio della « durata ragionevole », inserito nella Costituzione italiana dopo la riforma dell’articolo 111. Peraltro, come la Corte lo ha ricordato nella sua sentenza Kudła c. Polonia (sentenza del 26 ottobre 2000, § 152), il diritto di ciascuno di vedere la sua causa  trattata entro un termine ragionevole non può essere che meno effettivo se non esiste alcuna possibilità di adire prima una autorità nazionale circa le doglianze scaturenti dalla Convenzione. Bisogna ricordare, inoltre, che nella sentenza in questione la Corte aveva concluso per la  violazione dell’articolo 13 della Convenzione stante l’assenza, nel diritto polacco, di un ricorso che  permettesse al ricorrente d’ottenere la sanzione del suo diritto a vedere la sua causa « trattata entro un termine ragionevole » (sentenza Kudła predetta, §§ 132-160).

Per quanto riguarda l’efficacia di questo rimedio,  conviene notare che ai sensi della legge in questione, ogni persona che sia parte di una procedura giudiziaria ricadente sotto l’ambito dell’articolo 6 § 1 della Convenzione può introdurre un ricorso tendente a far constatare la violazione del principio del « termine ragionevole », ed ottenere, se del caso, una equa soddisfazione che copra i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali subiti. Inoltre, come si evince dal paragrafo 2 dell’articolo 2 della legge, il giudice nazionale è chiamato nella valutazione del carattere ragionevole della durata di una procedura, ad applicare i principi emanati dalla giurisprudenza della Corte, segnatamente la complessità della causa, il comportamento del ricorrente e quello  delle autorità competenti (vedi, tra molte altre, le sentenze Pélissier et Sassi c. Francia [GC], n° 25444/94, § 67, CEDH 1999-II, e Philis c. Grecia (n° 2) del 27 giugno 1997, Recueil 1997-IV, p. 1083, § 35). In queste  circostanze, la Corte considera che nulla permette  di pensare che il ricorso introdotto dalla legge Pinto non offrirebbe al  ricorrente la possibilità di fare riparare la sua doglianza, o che non avrebbe alcuna prospettiva ragionevole di successo.

E’ vero che il presente ricorso è stato introdotto prima dell’entrata in vigore della legge Pinto, e che  per conseguenza al momento in cui il ricorrente ha per la prima volta formulato la sua doglianza a Strasburgo, lo stesso  ricorrente non disponeva, nel diritto italiano, di alcun ricorso efficace per contestare la durata della procedura litigiosa.

A tal riguardo, la Corte ricorda che l’esaurimento delle vie di ricorso interne si valuta  normalmente alla data d’introduzione del ricorso davanti ad essa. Tuttavia, questa regola non è senza eccezioni, che possono essere giustificate dalle circostanze particolari di ogni caso di specie (vedi la sentenza Baumann c. Francia (terza sezione) del 22 maggio 2001, ricorso n° 33592/96, § 47, non pubblicata).

La Corte considera che nel presente caso, numerosi elementi giustificano una eccezione al principio generale secondo cui la condizione dell’esaurimento deve essere apprezzata al momento dell’introduzione del ricorso.

Essa osserva segnatamente che la frequenza crescente delle sue constatazioni di non-rispetto, da parte dello Stato italiano, dell’esigenza del « termine ragionevole » l’aveva indotta a concludere che l’accumulo di queste mancanze costituiva una pratica incompatibile con la Convenzione ed a richiamare l’attenzione del Governo sul « pericolo importante » che la « lentezza eccessiva della giustizia » rappresenta per lo stato di diritto (vedi le sentenze Bottazzi c. Italia [GC], n° 34884/97, § 22, CEDH 1999-V, e Di Mauro c. Italie [GC], n° 34256/96, § 23, CEDH 1999-V). Peraltro, l’assenza di un ricorso efficace per denunciare  la durata eccessiva delle procedure aveva  obbligato i soggetti alla giurisdizione a sottoporre sistematicamente alla Corte di Strasburgo  dei ricorsi che avrebbero potuto essere istruiti anzitutto ed in maniera più appropriata nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano. Questa situazione rischiava, a lungo termine, di affliggere il funzionamento, sia sul piano nazionale che sul piano internazionale, del sistema di protezione dei diritti dell’Uomo costruito dalla Convenzione (vedi, mutatis mutandis, la sentenza Kudła predetta, § 155).

Ora, la via di ricorso  introdotta dalla legge Pinto si iscrive nella logica di permettere agli organi dello Stato convenuto di riparare le mancanze all’esigenza del « termine ragionevole » e di ridurre, per conseguenza, il numero dei ricorsi che la Corte sarà chiamata a trattare. Ciò non vale soltanto per i ricorsi presentati dopo la data d’entrata in vigore della legge, ma anche per i ricorsi che , alla data in questione, erano già iscritti nel ruolo della Corte.

A tal riguardo , una importanza particolare deve essere data al fatto che la norma transitoria contenuta nell’articolo 6 della legge Pinto si riferisce esplicitamente ai ricorsi già presentati a Strasburgo  e mira dunque a far ricadere nel campo di competenza delle giurisdizioni nazionali ogni ricorso pendente davanti alla Corte e non ancora dichiarato ricevibile. Questa disposizione transitoria offre ai soggetti alla giurisdizione italiana una reale possibilità di ottenere una riparazione della loro doglianza a livello interno, possibilità  di cui è doveroso ,  in principio,   far uso.

Alla luce di quanto precede, la Corte reputa che il ricorrente era  tenuto, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, ad adire la corte d’appello con una domanda ai  sensi degli articoli 3 e 6 della legge Pinto. Non si potrebbe ravvisare, peraltro, alcuna circostanza eccezionale atta a dispensarlo dall’obbligo di esaurimento delle vie di ricorso interne.

Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato per non esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

Pe questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

 

            Erik Fribergh            Christos Rozakis
           Cancelliere            Presidente