Caso Ambruosi

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
CASO AMBRUOSI  contro ITALIA
sentenza del 19 ottobre 2000
(Ricorso n° 31227/1996)

 

(violazione dell'articolo 1 del Protocollo n°1 Addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 4.11.1950, sul diritto al rispetto dei beni, nell’ipotesi di una legge che abbia negato la distrazione ex articolo 93 del codice di procedura civile italiano delle spese e degli onorari già maturati da un avvocato antistatario )

STRASBURGO

(traduzione non ufficiale a cura dell’avv. Maurizio de Stefano)

Nel caso  Ambruosi contro Italia,

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (seconda sezione), riunita nella Camera composta da:  Sig. C. L. RozakisPresidente,  Sig. A. B. Baka, Sig. B.Conforti, Sig. P.Lorenzen, Sig. M. Fischbach,  Sig.ra M. Tsatsa-Nikolovska, Sig. E. Levits,  giudici,  e Sig. E. Fribergh,   Cancelliere della Sezione,

Dopo averla deliberata nella camera di consiglio il 28 Settembre 2000,

Pronuncia la seguente sentenza   che  ha adottato in tale data.

PROCEDURA

1.  Il caso ha origine da un ricorso (no. 31227/1996) contro l' Italia   proposto davanti alla Commissione Europea dei diritti dell'uomo (" la Commissione ") nel vigore dell’antico Articolo 25 della Convenzione di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (" la Convenzione "), da una cittadina Italiana, la Signora Virginia Ambruosi ("la ricorrente "), il 4 aprile 1996.

2. La ricorrente è stata rappresentata dal sig. Ascanio Amenduni, un avvocato che esercita in Bari (Italia).   Il Governo italiano (" il Governo ") è stato rappresentato dal suo Agente, il Sig. Umberto Leanza e dal suo co-Agente, il Sig. Vitaliano Esposito.

3.  La ricorrente lamenta, in particolare, che la estinzione attraverso un Decreto Legge di numerosi processi civili e la compensazione delle relative spese legali aveva violato il suo diritto al rispetto dei suoi beni.

4.   Il ricorso è stato trasmesso alla Corte il 1 novembre 1998, quando è entrato in vigore il Protocollo  no. 11 aggiuntivo alla Convenzione (Articolo 5, § 2  del Protocollo no. 11).

 5.  Il ricorso è stato assegnato alla Seconda Sezione della Corte (Articolo 52 § 1 del Regolamento della Corte).   All'interno di questa Sezione, la Camera che doveva esaminare il caso (Articolo 27 § 1 della Convenzione) è stata costituita nella maniera prevista dall’Articolo 26 § 1 del Regolamento della Corte.

 6.  Con decisione del 03 febbraio 2000, la Corte ha dichiarato il  ricorso parzialmente ricevibile.

IN FATTO

I . LE CIRCOSTANZE DEL CASO

 7. Con sentenze no. 495 del 31 dicembre 1993 e 240 del 10 giugno 1994 la Corte Costituzionale ha stabilito che lo Stato doveva rimborsare una parte degli oneri ingiustamente sostenuti  da determinate categorie di pensionati sulle loro pensioni di vecchiaia.

8.  L' esecuzione di queste sentenze attraverso misure legislative non avviene immediatamente, e numerosi pensionati che fanno parte di queste categorie hanno intentato procedure legali contro la Stato davanti ai Tribunali italiani domandando il rimborso in questione.  La ricorrente ha agito quale avvocato per cinquantatre di tali pensionati.  In determinati casi, ha chiesto la distrazione delle sue competenze e spese legali.

9.  Con sentenze no. 3295 del 22 novembre 1995, 3491 del 4 dicembre 1995, 3501 del 4 dicembre 1995, 3504 del 4 dicembre 1995, 3505 del 4 dicembre1995, 3506 del 4 dicembre 1995, 3510 del 4 dicembre 1995, 681 del 5 febbraio 1996 e 1898 del 27 marzo 1996, il Giudice di Trani ha accolto le domande attrici ed ha liquidato le competenze e spese legali della ricorrente, direttamente a quest’ultima.  L’ammontare totale delle spese legali in relazione a queste sentenze era di lire italiane 12.900.000.

10. Il 28 marzo 1996 il Presidente della Repubblica ha firmato il Decreto Legge no. 166 con lo scopo di adempiere le sentenze della Corte Costituzionale, per cui è stato stabilito che lo Stato avrebbe rimborsato nell’arco di sei anni gli importi dovuti mediante assegnazione di titoli del debito pubblico ai pensionati interessati.

11. Il comma 3 dell’Articolo 1 di questo Decreto Legge ha estinto tutti i giudizi pendenti riguardo al rimborso in questione ed ha stabilito che le spese legali fossero considerate compensate fra le parti.  Per di più  ha stabilito che le sentenze che, il giorno dell' entrata in vigore del decreto, ancora non erano  ancora passate in giudicato, fossero private perciò di effetti legali.

12. Le sentenze elencate nel precedente paragrafo 9, non essendo passate in giudicato, sono state private così di tutti gli effetti legali.  Gli altri procedimenti che erano ancora pendenti  sono stati estinti e le spese legali compensate ex lege.

II . IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

13. In base all’Articolo 91 del codice di procedura civile, la parte soccombente nei procedimenti sopporta tutte le spese legali, compresi gli onorari dell'avvocato, costi e spese sostenute dall'altra parte o dalle altre parti.

14.              In base all’Articolo 92 , il giudice può compensare le spese legali tra le parti quando vi sia soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi .

15.              In base all’Articolo 93 del codice di procedura civile,  un avvocato il cui cliente è privo di mezzi  può dichiarare di aver anticipato i costi e le spese dei processi a favore del suo cliente e di non aver ricevuto i suoi onorari, e può di conseguenza chiedere ciò se il suo cliente è vittorioso sulla base dell’Articolo 91, aggiudicandosi le spese legali, la corte attribuisce le spese direttamente all'avvocato (distrazione delle spese)  (vedi per esempio, Cassazione Civile, sentenza No.670 del 30.03.1962). L’Articolo 93 così garantisce una speciale protezione all'avvocato, che entra in diretta relazione con la controparte e ottiene un titolo autonomo. Egli può conseguentemente autonomamente agire contro la parte soccombente per ottenere  i suoi onorari,  costi e spese. Il diritto dell'avvocato di ottenere onorari dal suo cliente tuttavia persiste (vedi, per esempio, Cassazione Civile, sentenze No. 5467del 13.05.1993 e  No. 865 del 12.02.1982).

16.  Il Decreto Legge No. 166/1996 non venne mai convertito in Legge, ma i suoi effetti furono mantenuti con l’Articolo 1 § 6 della Legge No. 608 del  20   Novembre 1996.

17. La questione della compatibilità del comma 3 dell’Articolo 1 del Decreto Legge No. 166/1996 con gli articoli 1 § 1 ( riconoscimento dell'importanza del lavoro), 4 e 35 (tutela del diritto al lavoro ) e   36 (diritto alla retribuzione) della Costituzione Italiana, fu sollevata davanti alla Corte Costituzionale dal magistrato Brescia il 1 Aprile e il 23 aprile 1996. Con ordinanza del 29 aprile 1999, la Corte Costituzionale restituì gli atti al magistrato Brescia, chiedendo di esaminare di nuovo la questione alla luce della successiva Legge No. 448 del 23 dicembre 1998 ( la quale ribadiva inter alia  che le sentenze,  non ancora divenute definitive nel giorno di entrata in vigore del Decreto Legge,  non avrebbero prodotto effetti legali).

IN DIRITTO

I. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N°. 1 DELLA CONVENZIONE.

18 - La ricorrente denuncia che essa è stata privata del diritto al pagamento dei suoi onorari, costi e spese in connessione con i procedimenti dichiarati estinti con il Decreto Legge No. 166/1996. Essa invoca l'Articolo 1 del Protocollo No. 1 della Convenzione, il quale prevede:

Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

19. - La  doglianza della ricorrente solleva questioni che sono diverse  se essa ha richiesto o meno la diretta liquidazione dei suoi onorari nei procedimenti nei quali essa è stata coinvolta alla data dell'entrata in vigore del Decreto Legge. La Corte esaminerà le diverse situazioni separatamente. 

A. Processi nei quali la ricorrente ha richiesto la diretta liquidazione dei suoi onorari.

1. Se sussisteva un bene

20. La Corte ricorda che una futura entrata costituisce un “bene” nel significato dell'Articolo 1 del Protocollo No. 1 solo se è stata guadagnata o dove esiste un titolo esecutivo (vedi  Commissione Europea HR, no 19819/92, dec. 5/7/1994, D. R. 78, p. 88).

a) Processi che sono terminati in primo grado e nei quali la ricorrente ha ottenuto decisioni  a sé favorevoli.

21. Nei processi che sono terminati con le sentenze elencate nel paragrafo 9 , il magistrato ha assegnato gli onorari e le spese legali direttamente alla ricorrente, per una somma complessiva di circa 13.000.000 di lire italiane. La ricorrente ha "guadagnato" questa somma in conformità alla normativa esistente sugli onorari degli avvocati, di talché ciò ha costituito un "bene" nel significato dell'Articolo 1 Protocollo No. 1 ( vedi, mutatis mutandis,  Commissione Europea HR ., No. 8410/78, dec. 13.12.1979, D. R. 18, pp. 216, 219). Il Governo argomenta a contrario nelle sue osservazioni (vedi sotto paragrafo 23).

 

     b) Processi che erano ancora pendenti

22. La ricorrente sostiene che lo Stato ha interferito nel rispetto dei suoi "beni" perché essa  aveva agito nei procedimenti nell’interesse dei suoi clienti ed ha richiesto che in caso di vittoria le spese legali fossero liquidate a lei direttamente ; era indubitabile che lo Stato avrebbe perso nei processi , come è confermato dal fatto che il Governo ha emanato  il Decreto Legge no. 166/1996; quindi, in conformità con le leggi applicabili e  con la giurisprudenza, essa avrebbe avuto un diritto autonomo per esigere dallo Stato il pagamento dei suoi onorari.

23. Il Governo sostiene che non sussiste un "bene" nel senso previsto dall'Articolo 1 del Protocollo No. 1, dato che nessuna sentenza  che liquidasse le spese legali era stata ancora emessa. Di conseguenza, a parere del Governo la ricorrente non può sostenere di essere vittima di questa norma.

24. . La Corte ricorda che in base alla vigente normativa sugli onorari degli avvocati, il cliente dell'avvocato è obbligato a pagare gli onorari per ogni atto sostenuto dall'avvocato a suo favore. Nel momento in cui il Decreto Legge No. 166/1996 fu emanato la ricorrente aveva posto in essere   numerosi  atti processuali nell'interesse dei suoi clienti nelle varie fasi dei procedimenti, e quindi aveva titolo per i suoi onorari nei confronti dei suoi clienti. Essa aveva "bene" nel senso previsto dall'Articolo 1 Protocollo No. 1 (vedi mutatis mutandis, Commissione Europea H.R. , No. 8410/78, dec. 13.12.1979, D.R. 18, pp.216, 219).

2. La norma applicabile

25. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’Articolo 1 del Protocollo n.1 che garantisce in sostanza il diritto di proprietà, contiene tre norme distinte (vedi James ed altri contro Regno Unito sentenza del 21 Febbraio 1986, Serie A no. 98, pp. 29-30, § 37). La  prima che è espressa nella prima frase del primo comma ed è di carattere generale, enuncia il principio del rispetto dei beni. La seconda norma, nella seconda frase dello stesso comma, concerne la privazione dei beni e la sottopone a talune condizioni. La terza, contenuta nel secondo comma riconosce agli Stati contraenti, tra l’altro, il potere di disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all'interesse generale. La seconda e terza norma,   che  riguardano casi particolari  di pregiudizio al diritto al rispetto dei beni devono essere interpretate alla luce del principio generale enunciato  nella prima norma. (Immobiliare Saffi contro Italia [GC], No. 22774/93, § 44, ECHR 1999-V).

26. Nella presente fattispecie, per quanto riguarda i procedimenti che già si erano conclusi in primo grado, applicando il comma 3 dell’Articolo 1 del Decreto Legge No. 166 del 1996 le sentenze elencate nel  succitato paragrafo 9  che non erano ancora passate in giudicato ed esecutive, sono state private dei loro effetti legali (vedi supraparagrafi 11 in fine e 12); per quanto riguarda i procedimenti che erano ancora pendenti i costi legali e gli onorari sono stati considerati compensati tra le parti (vedisupra paragrafo 11 ) . Tuttavia persiste il diritto della ricorrente di esigere i suoi onorari e le spese dai suoi clienti (vedi supra paragrafo 15 in fine): la ricorrente ha perso unicamente il suo diritto in forza dell’Articolo 93 del Codice di Procedura Civile di esigere quelle somme direttamente dallo Stato ( vedi supra paragrafo 15).

27. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte considera che  la privazione degli effetti legali e la compensazione in questione non assurge ad una privazione della proprietà  siccome enunciata nella seconda frase del primo comma, ma più piuttosto ad una ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni nel senso previsto dalla prima frase del primo comma dell'Articolo 1.

 

 3. Se l' ingerenza era giustificata

 

a) Sullo scopo dell' ingerenza

 

28. Il Governo non ha indicato quale  scopo abbia perseguito attraverso l'emanazione del comma 3 dell’Articolo 1 del Decreto Legge in questione. La Corte tuttavia può arguire in base agli elementi del caso che lo scopo della compensazione delle spese legali era quello di proteggere l’Erario dal relativo esborso. La Corte è convinta che l'ingerenza  è stata emanata "per causa di pubblica utilità " nel senso previsto dall'Articolo 1 del Protocollo No. 1.

 

     b) Sulla proporzionalità dell'ingerenza

 

29. Il Governo sostiene che la perdita dei guadagni che la ricorrente ha sofferto è la conseguenza della sua libera scelta di non esigere i suoi onorari dai i suoi clienti.

 

30. La ricorrente sostiene che una tale pretesa, dopo che si era accordata con i suoi clienti che essa non avrebbe richiesto loro  alcun pagamento ma avrebbe richiesto la distrazione delle sue spese ed  onorari, sarebbe stata contraria alla sua etica professionale. Per di più, questi clienti erano privi di mezzi, e probabilmente non sarebbero stati in grado di pagare.

31. La Corte ricorda che un’ingerenza con i diritti dell'individuo compatibile con l'Articolo 1 del Protocollo No. 1 deve assicurare il "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale ed i requisiti della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo   (vedi Beyeler contro Italia  [GC], No. 33202/96, § 107, ECHR 2000-). Su ciò deve esistere  un rapporto  ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito.

32. Nella presente fattispecie, l'ingerenza è consistita nel privare la ricorrente della possibilità prevista dall’Articolo 93 del Codice di Procedura Civile di richiedere il pagamento delle spese legali ed onorari direttamente allo Stato piuttosto che nei confronti dei suoi clienti che erano privi di mezzi e che avevano concluso un accordo con la medesima, cosicché nel caso di vittoria non avrebbero dovuto sopportare alcuna spesa legale. La ricorrente aveva ottenuto numerose decisioni a suo favore che essa non può far valere  come titolo per l’esecuzione forzata; inoltre, ad essa non sono state riconosciute le spese legali in altri procedimenti  pendenti, malgrado il fatto che essa avesse una legittima aspettativa che il magistrato le avrebbe liquidate direttamente a lei.

33. Di conseguenza, la ricorrente si sarebbe vista costretta a non rispettare l'accordo che aveva concluso con i suoi clienti e chiedere nei loro confronti  il pagamento dei suoi onorari. Per di più, il recupero degli onorari nei confronti di individui privi di mezzi sarebbe stato a rischio di maggior difficoltà e lentezza se paragonato a  quello nei confronti dello Stato.

34. La Corte non ritiene irragionevole o arbitraria la scelta della ricorrente di non chiedere ai suoi clienti il pagamento dei suoi onorari. Essa considera perciò che il comma 3 dell’Articolo 1 del Decreto legge No. 166/1996 ha imposto alla ricorrente un onere eccessivo e di conseguenza   ha rotto, in suo danno, l'equilibrio che deve sussistere tra la salvaguardia del  diritto al rispetto dei beni di ciascuno ed i requisiti della pubblica utilità.

Di conseguenza, c'è stata una violazione  dell'Articolo 1 del Protocollo No. 1 della Convenzione.

B) Processi nei quali la ricorrente non aveva richiesto la distrazione dei suoi onorari

Se sussisteva un “bene” ed inoltre un’ingerenza

35. Dal punto di vista della Corte, nella misura che la ricorrente aveva guadagnato indiscutibili onorari in ragione delle attività già effettuate rispetto a questi processi, essa ha avuto un "bene" nel senso previsto dall'Articolo 1 del Protocollo No1. Tuttavia, nulla ha impedito alla ricorrente di esigere questi onorari dai suoi clienti, a prescindere dalla estinzione dei processi. Nessun rapporto diretto fra la ricorrente e lo Stato è stato cercato o è stato stabilito neanche attraverso un ricorso ai sensi dell’Articolo 93. L’estinzione dei processi perciò non ha inciso sul diritto della ricorrente di esigere i suoi onorari nei confronti dei suoi clienti per quanto riguarda le attività effettuate fino ad allora, così che il Decreto Legge No. 166/1996 non ha “interferito” con i beni della ricorrente.

36. Di conseguenza non c'è stata una violazione dell'Articolo 1 del Protocollo No.1 della Convenzione a tale riguardo.

IV. APPLICAzIONe dell’ARTICoLo 41 della CONVENzIONe

37. L'Articolo 41 della Convenzione prevede:

Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa”.

38. La Corte ricorda che in base all’Articolo 60 del Regolamento della Corte, ogni domanda di equa soddisfazione deve essere dettagliata e presentata per iscritto insieme con i necessari documenti o giustificativi , “in mancanza di ciò la Camera può rigettare la domanda, in tutto o in parte”.

39. Nella presente fattispecie,  l'8 febbraio 2000, dopo che il ricorso è stato dichiarato parzialmente ricevibile, la ricorrente è stata invitata dalla Cancelleria a presentare le sue domande per l’equa soddisfazione,   la ricorrente che nel ricorso aveva espresso la sua intenzione di chiedere un riconoscimento  per equa soddisfazione nel successivo stadio della procedura, non ha mai presentato   simili domande. Né  essa chiede il rimborso delle spese legali per la procedura davanti alla Corte.

40. In queste circostanze, la Corte considera che la sentenza dichiarativa della violazione costituisce in sé la soddisfazione sufficiente di ogni danno non patrimoniale patito dalla ricorrente. Così la Corte ritiene  che non è appropriato concedere qualsivoglia assegnazione ai sensi dell’Articolo 41 (vedi Apeh Üldözötteinek Szövetsége, Iványi Róth and Szerdahelyi  contro Ungheria, No. 32367/96, § 47, ECHR 2000-).

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE ALL’UNANIMITA’

Dichiara che vi è stata una violazione dell’Articolo 1 del Protocollo No. 1  della Convenzione.

Redatta in inglese e poi comunicata per iscritto  il 19 Ottobre 2000, secondo l’Articolo 77 §§ 2 e 3  del Regolamento della Corte.

Erik Fribergh            Christos Rozakis        Cancelliere        Presidente