26 gennaio 2004 legge pinto

MASSIME DELLE SEZIONI UNITE CIVILI DELLA CORTE di CASSAZIONE ITALIANA DEL 26 GENNAIO 2004 SULLA LEGGE PINTO n.89/2001

   

1 Cassazione italiana . SEZIONI UNITE CIVILI - sentenza 26 gennaio 2004, n. 1338. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. 
In tema di equa riparazione ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno non patrimoniale é conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale "in re ipsa", ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione, il giudice, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogni qualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente. Siffatta lettura della norma di legge interna, oltre che ricavabile dalla "ratio" giustificativa collegata alla sua introduzione, particolarmente emergente dai lavori preparatori (dove é sottolineata la finalità di apprestare in favore della vittima della violazione un rimedio giurisdizionale interno effettivo, capace di porre rimedio alle conseguenze della violazione stessa, analogamente alla tutela offerta nel quadro della istanza internazionale), é imposta dall'esigenza di adottare un'interpretazione conforme alla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo (alla stregua della quale il danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole del processo, una volta che sia stata dimostrata detta violazione dell'art. 6 della Convenzione, viene normalmente liquidato alla vittima della violazione, senza bisogno che la sua sussistenza sia provata, sia pure in via presuntiva), così evitandosi i dubbi di contrasto con la Costituzione italiana, la quale, con la specifica enunciazione contenuta nell'art. 111, tutela il bene della ragionevole durata del processo come diritto della persona, sulla scia di quanto previsto dalla norma convenzionale. 

2 Cassazione italiana . SEZIONI UNITE CIVILI - sentenza 26 gennaio 2004, n. 1339. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.
Ove la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia già accertato che il ritardo non giustificato nella definizione di un processo, in violazione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ha prodotto conseguenze non patrimoniali in danno del ricorrente, e abbia quindi riconosciuto in suo favore un'equa riparazione "ex" art. 41 della Convenzione, da tale pronuncia deriva che il giudice nazionale adito ai sensi della (sopravvenuta) legge 24 marzo 2001, n. 89, una volta che abbia accertato, con riferimento allo stesso processo presupposto, il protrarsi della medesima violazione nel periodo successivo a quello considerato dai giudici di Strasburgo, non può non indennizzare, in applicazione della citata legge, l'ulteriore danno non patrimoniale subito dalla medesima parte istante, e liquidarlo prendendo come punto di riferimento la liquidazione già effettuata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (dalla quale é peraltro consentito differenziarsi, sia pure in misura ragionevole). Né detta indennizzabilità può essere esclusa sul rilievo dell'esiguità della posta in gioco nel processo presupposto: sia perché trattasi di ragione resa, nel caso, non rilevante dal fatto che la Corte europea ha ritenuto sussistente il danno non patrimoniale per il ritardo nello stesso processo; sia perché, più in generale, l'entità della posta in gioco nel processo ove si é verificato il mancato rispetto del termine ragionevole non é suscettibile di impedire il riconoscimento del danno non patrimoniale, dato che l'ansia ed il patema d'animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano normalmente anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco, onde tale aspetto può avere un effetto riduttivo dell'entità del risarcimento, ma non totalmente escludente dello stesso. 

3 Cassazione italiana . SEZIONI UNITE CIVILI - sentenza 26 gennaio 2004, n. 1340. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. 
Ai fini della liquidazione dell'indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l'ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, é segnato dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, di casi simili a quello portato all'esame del giudice nazionale, di tal che é configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purché in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili. Tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti tra la citata legge e la Convenzione ed essendo espressione dell'obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretezza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di cassazione. L'accertamento dei casi simili e delle eque soddisfazioni del danno non patrimoniale in essi operate dalla Corte di Strasburgo, pur rientrando nei doveri d'ufficio del giudice, può giovarsi della collaborazione delle parti, ed in particolare dell'attore, che ha interesse a fornire al giudicante ogni elemento utile alla determinazione del "quantum" del danno nella misura da lui chiesta, anche nelle ipotesi in cui non sia configurabile a suo carico un onere probatorio. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, le Sezioni unite hanno cassato con rinvio il decreto della Corte territoriale, avendo questo fissato una riparazione del danno non patrimoniale in misura pari a meno di un decimo di quella accordata in casi simili dalla Corte europea, e quindi in un importo notevolmente ed irragionevolmente difforme dalla normativa della CEDU, come interpretata ed applicata dai giudici di Strasburgo).